Ebola: un virus nel cuore delle tenebre

La tragica epidemia in corso dimostra fino a che punto la sfrenata ricerca del profitto privato sia incompatibile con la salute pubblica, in particolar modo quella delle masse povere dei paesi dominati.
9 ottobre 2014 - Jean Batou (Traduzione di Titti Pierini)

Filoviridae Ebola è un virus formato da una decina di proteine, identificato per la prima volta nel 1976, nello Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo – RDC). Se ne conoscono cinque tipi; quello che oggi si ritrova in Africa occidentale è una mutazione del primo ceppo conosciuto.[2]Il serbatoio principale sono sicuramente i pipistrelli della frutta; questi mammiferi volanti lo trasmettono alle scimmie e ad altri animali, ma anche direttamente all’uomo. Questo agente patogeno provoca epidemie ricorrenti di una febbre mortale, i cui primi sintomi sono di tipo influenzale, prima di provocare astenia, diarrea, vomito e spesso emorragie, manifestazioni che sono confondibili con altre affezioni. Provoca la morte entro una decina di giorni in oltre un caso su due.

Dopo la prima irruzione di Ebola nella RDC, una ventina di epidemie hanno colpito una decina di paesi, dapprima nel bacino del fiume Congo (Ebola è appunto il nome di uno dei suoi affluenti ) poi più di recente in Africa occidentale, specie in Guinea, Liberia e Sierra Leone, in Nigeria e recentissimamente in Senegal.[3]Certamente quindi l’epidemia in Africa occidentale in corso mieterà più vittime dell’insieme degli episodi registrati finora: dal 1976 al 2013, Ebola avrebbe causato 2.345 morti, mentre l’OMS stima intorno a 20.000 circa (con le debite riserve) il numero di persone che l’attuale pandemia dovrebbe colpire. Essa infatti, per la prima volta, si è liberata una strada verso importanti centri urbani, tra cui Conakry (Guinea), Monrovia (Liberia) e Freetown (Sierra Leone). Facciamo infine notare che sono le donne a pagare il tributo più pesante a questo virus, perché sono loro che prodigano le cure ai malati.

 

Ebola e accaparramento di terre

 

Come spiegare il passaggio all’uomo del germe, in precedenza limitato alla fauna selvatica? Deriva dal sempre più intenso sfruttamento della savana africana, un’ampia zona di 400 milioni di ettari, dal Senegal al Sudafrica, che la FAO e la Banca Mondiale presentano come il nuovo Eldorado agricolo mondiale.[4]L’arretrare della piccola agricoltura contadina a pro dell’agrobusiness  d’esportazione, lo sradicamento di piccoli produttori pauperizzati e la concentrazione di terre nelle mani di grandi compagnie multinazionali ne sono le conseguenze più note. Questa “accumulazione tramite spossessamento”, in pieno sviluppo nei paesi toccati dal virus Ebola, si traduce nel dissodamento di notevoli spazi, che comportano la progressiva messa in contatto di comunità di villaggio precarizzate, con una selvaggina braccata, spinta sempre più lontano nel cuore delle foreste tropicali. Certamente, le scimmie, i piccoli mammiferi e i pipistrelli fanno parte da tempo dell’alimentazione tradizionale delle popolazioni di queste zone. Ma le loro crescenti carenze di proteine, che le spingono sempre di più a nutrirsi di “carni della boscaglia”, le espongono a nuovi agenti patogeni.[5]Per giunta, lo sconvolgimento degli ecosistemi, derivanti dal dissodamento su larga scala degli ultimi anni, ha contribuito ad aumentare i contatti tra animali infetti e gruppi umani. Soprattutto la deforestazione – 4 milioni di ettari nell’Africa subsahariana, dal 2002 al 20010, rappresentano un terzo del disboscamento globale (Fao) – e il riscaldamento climatico globale hanno accentuato l’aridità e la durata della stagione secca, entrambi fattori che favoriscono lo scatenarsi di epidemie, in quanto spingono gli animali portatori di numerosi virus a uscire dalle loro nicchie ecologiche tradizionali.[6]

Nella fase recente, i paesi colpiti dall’epidemia in corso sono stati tutti particolarmente presi di mira dagli investitori tradizionali, per la loro abbondanza di terre coltivabili “disponibili”, per la vulnerabilità dei piccoli contadini dediti all’agricoltura di sussistenza e per le condizioni politiche favorevoli (promozione della libera impresa e ripiegamento dello Stato). È così che grossi interessi italiani (Nuove Iniziative Industriali, vedi) e statunitensi (Farm Land of Guinea) hanno messo gli occhi sulla Guinea. Troviamo anche interessi malesiani in Liberia (Sime Darby), ma anche svizzeri (Addax) e cino–vietnamiti in Sierra Leone. Essi controllano soprattutto una produzione di eco-carburanti in piena espansione.

Un piccolo contadino fornisce come segue la testimonianza delle ripercussioni sociali del controllo della compagnia malesiana Sime Darby sui migliori terreni liberiani: «Attualmente manchiamo di cibo […]. Non abbiamo ospedali, non abbiamo scuole. Non abbiamo più lavoro. Non siamo più in grado di pagare gli insegnanti, che quindi se ne vanno».[7]Il fatto è che l’accaparramento di terre ad opera delle compagnie private straniere interviene sull’onda di vari decenni di “aggiustamenti strutturali”, che hanno letteralmente distrutto le infrastrutture pubbliche, in particolare scolastiche e sanitarie, dei paesi più poveri dell’Africa subsahariana. Oggi, Ebola aggraverà ulteriormente questa miseria endemica, provocando una specifica crisi alimentare nelle zone più colpite, come diretta conseguenza delle misure di quarantena imposte, che sconvolgono le attività agricole e gli scambi commerciali, generando un preoccupante aumento dei prezzi dei generi alimentari basilari.[8]

 

Prezzo della miseria

 

Il primo focolaio dell’epidemia in atto sembra essersi sviluppato, dal dicembre 2013, nel villaggio che sta intorno alla città di Guéckédou, a Sud della Guinea, un agglomerato che ha visto la sua popolazione praticamente triplicarsi in dieci anni, dal 2000 al 2010, a causa dell’afflusso di profughi delle guerre civili in Sierra Leone e nella Liberia. Naturalmente, le sue infrastrutture pubbliche sono incompatibili con le elementari esigenze degli abitanti, con autorità che sono totalmente screditate. Com’era prevedibile, il personale medico, scarso e insufficientemente attrezzato, non riesce a far fronte all’afflusso dei malati e a proteggersi dal contagio, trasformando così le fragilissime strutture sanitarie in centri di propagazione dell’epidemia.

In simili condizioni, quando non c’è ancora alcun test disponibile in loco per stabilire se una persona è stata infettata (per questo, occorre inviare un prelievo in Europa o in Nordamerica), l’epidemia è ben presto sfuggita a qualsiasi controllo. Ha colpito progressivamente gli agglomerati vicini, tanto più che Guéckédou è sede di un importante mercato regionale, per poi raggiungere le capitali della Guinea, della Liberia e della Sierra Leone. Bisogna rendersi conto che, stando alle indagini epidemiologiche in corso, ciascun malato può avere avuto mediamente contatti con 20–40 persone, che in teoria occorrerebbe identificare e seguire per 21 giorni.[9]

In Europa o in America settentrionale non sarebbe difficile sradicare il contagio, che si trasmette soprattutto con il contatto diretto con i fluidi corporei dei malati (saliva, sudore, vomito, urina, feci, sperma, sangue, ecc.), anche se non sembra esclusa la possibilità di infezione per via aerea.[10]

Contrariamente all’AIDS, infatti, il tempo di incubazione di Ebola è breve (in media, una decina di giorni) e le persone colpite non sono contagiose se non nel breve periodo in cui presentano sintomi. Basterebbe perciò disporre di strutture sanitarie che consentissero di assistere il malato in tutta sicurezza (indossando camici, guanti e maschere efficaci, usando siringhe sterilizzate, ecc.), evitando che abbia contatti non protetti con i familiari, ma anche informando e seguendo le persone con cui ha avuto rapporti.

Tuttavia, nei paesi che dispongono di un medico su 50.000 abitanti, «il personale del luogo non ha accesso al materiale indispensabile per proteggersi e proteggere i pazienti. Molti ospedali sono devastati, per cui il controllo dell’infezione è limitatissimo e non c’è alcun modo o quasi di individuare le persone a rischio».[11]In totale, secondo l’OMS, quasi l’8% delle vittime di Ebola apparterrebbe quindi al personale medico:[12]«In Sierra Leone, nella città di Kenema, 18 tra medici e infermiere hanno contratto l’Ebola, e almeno 5 ne sono morti»; «alcune infermiere hanno smesso di lavorare: dovevano percepire un supplemento di 13 dollari a settimana, per 12 ore al giorno in tenuta protettiva, ma il governo non ha onorato le sue promesse»; «In Liberia, interi reparti del settore sanitario vanno alla deriva […]. Gli ospedali di Monrovia, la capitale, sono sovraccarichi di pazienti colpiti da Ebola e respingono i nuovi casi […]; cadaveri infetti giacciono per le strade: l’epidemia sta per assumere andamenti da Medioevo».[13]

 

Indispensabile la mobilitazione popolare

 

Un’efficace lotta contro l’epidemia comporterebbe mezzi più rilevanti, ma soprattutto una mobilitazione popolare al fianco degli operatori sanitari, certamente per evitare che i malati vengano nascosti dai loro parenti, per rendere sicure le cerimonie funebri – in quel momento i cadaveri sono particolarmente contagiosi – e disinfettare le case dei morti, ma anche e soprattutto per esigere una politica sanitaria all’altezza dei bisogni delle popolazioni minacciate. Altrettante condizioni che mancano in zone dove si ha ben motivo di diffidare delle autorità, pronte più a criminalizzare le famiglie che si prendono cura dei propri parenti senza dichiararli, e a dispiegare militari per impedire i movimenti di popolazione che non a rafforzare il finanziamento e l’assunzione collettiva delle indispensabili misure sanitarie.[14]

Del resto, perché mai gli abitanti dei paesi interessati dovrebbero fidarsi degli stranieri che intervengono, in larga maggioranza bianchi (OMS, MSF, Unicef, Croce Rossa, ecc.), sparsi per il territorio con i loro scafandri, che pretendono di strappargli i loro morti per infilarli in sacchi di plastica? Visto il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali nell’imposizione, da una trentina d’anni, dei micidiali piani di “aggiustamento strutturale”, non ci sono piuttosto tutti gli elementi per alimentare teorie complottiste, il sospetto che gli interessi razzisti e imperialisti abbiano scientemente provocato le epidemie di Sida ed Ebola per appropriarsi ancora una volta delle ricchezze dell’Africa?[15]

Iniziative spontanee da parte di artisti, cantanti e attori, ma anche di bloggers, per mettere in allerta i cittadini e spingerli a prendere misure di protezione, come pure l’impegno dei malati sopravvissuti nelle campagne di prevenzione offrono sicuramente una prima idea delle piste che andrebbero privilegiate.[16]Una vera e propria organizzazione popolare della resistenza all’epidemia avrebbe però bisogno del riconoscimento dei diritti democratici fondamentali e della loro traduzione sul piano organizzativo, tutte cose incompatibili con la salvaguardia degli enormi privilegi delle borghesie locali e dei loro tutori internazionali.

Infine, a livello internazionale, la tardiva e incerta reazione dell’OMS risulta tanto più irridente in quanto l’ammontare delle dotazioni di crisi di cui dispone per affrontare le epidemie è stata dimezzata nel corso degli ultimi due anni: da 469 milioni di dollari nel 2012-2013 si è passati a 228 milioni nel 20014-2015. Segno dei tempi, è stata la BM a sbloccare d’urgenza 200 milioni di dollari, per supplire alle carenze dell’agenzia ONU.[17]Del pari, sono ONG come MSF, o ordini religiosi come quello di San Juan de Dios cui apparteneva il sacerdote spagnolo recentemente vittima dell’epidemia, a trovarsi in prima fila negli interventi sul campo:[18]una immagine eloquente della privatizzazione dei compiti essenziali, sempre più abbandonati dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali che ne dipendono

 

Il fallimento morale del capitalismo

 

Dopo che l’OMS ha denunciato con grave ritardo,[19]l’8 agosto scorso, come l’epidemia in Africa occidentale fosse diventata un’urgenza sanitaria internazionale, le start-up farmaceutiche più avanzate - ad esempio Tekmira, Serepta, BioCryst, NanoViricides, Mapp Bio (che ha concepito ZMapp, un coktail di tre anticorpi somministrato con successo a due operatori umanitari statunitensi contaminati, ma che è invece fallito su un sacerdote spagnolo e un medico liberiano) – hanno visto le loro azioni impennarsi in Borsa. Esse dispongono infatti di sostanze, certo in quantitativi sperimentali, ma praticamente pronte alla sperimentazione sull’uomo.[20]

Per il professor Daniel Bausch (Tulane School of Public Healt and Tropical Medicine), l’ostacolo principale alla produzione di farmaci efficaci non è di ordine tecnico o scientifico, ma economico: Le compagnie farmaceutiche sono poco motivate a investire dollari in ricerche e sviluppo per il trattamento di una malattia che appare in modo sporadico in paesi africani con bassi redditi».[21]Per questa ragione, il dottor John Ashton, preside della facoltà britannica di Sanità pubblica, parla di «bancarotta morale» dell’industria farmaceutica e del capitalismo.[22]

Finora, Ebola era riuscito a interessare solo i militari, in nome della prevenzione del bioterrorismo. Ma le maggiori compagnie farmaceutiche si erano rifiutate di finanziare test clinici indispensabili e molto costosi. Ora perciò l’OMS ha dovuto dichiarare eticamente accettabile l’uso di sostanze non omologate sulle persone colpite, dato l’elevatissimo tasso di letalità del virus. «C’è urgenza», sostiene Peter Piot, co-scopritore di Ebola e membro fondatore del Comitato per l’annullamento del Debito del Terzo Mondo (CADTM): «Una volta finita l’epidemia, non ci saranno più sforzi di investimento nella ricerca sui trattamenti  e i vaccini. Quando sopraggiungerà una nuova epidemia, non si sarà fatto niente. Dopo quella del 1976, l’OMS aveva affermato di voler creare una squadra d’intervento internazionale, ma l’iniziativa è rimasta lettera morta». Il ricercatore belga di fama mondiale caldeggia quindi il finanziamento da parte dei fondi per l’Aiuto allo sviluppo di una ricerca che tenda a fornire cure gratuite sotto la responsabilità dell’OMS.[23]

La tragica epidemia in corso dimostra fino a che punto la sfrenata ricerca del profitto privato sia incompatibile con la salute pubblica, in particolar modo quella delle masse povere dei paesi dominati. Il leader d’estrema destra francese, Jean-Marie Le Pen, non fa che spingere la logica di una simile barbarie alle sue estreme conseguenze, quando dichiara che “Monseigneur Ebola” ha i mezzi per bloccare l’’esplosione demografica in tre mesi. Per andare oltre la legittima indignazione e cambiare realmente lo stato di fatto, occorre in realtà rompere con l’attuale disordine del mondo. Innanzitutto, la sanità pubblica non deve andare disgiunta dagli obiettivi ecosocialisti che portiamo avanti, perché dipende dal nostro quadro di vita e dal fatto che l’attuale produttivismo favorisce incessantemente l’emergere di nuove patologie, somatiche e psichiche, che il capitalismo scarica sulla società, quali che ne siano i costi. Inoltre, l’industria e la ricerca farmaceutiche potranno rispondere ai bisogni dell’umanità, soprattutto dei suoi settori più sguarniti, solo quando non stabiliranno le loro priorità in funzione della domanda solvibile, per lasciarsi guidare dalle scelte democratiche delle popolazioni interessate, il che implica la loro socializzazione e il finanziamento da parte del settore pubblico. Non potrebbe, ad esempio, quest’ultimo cominciare a destinarvi gran parte delle enormi somme fagocitate, parassitariamente, dall’interesse del debito, al Nord come al Sud?

Traduzione di Titti Pierini da Inprecor.

 



.[1] Jean Batou, docente di storia all’Università di Losanna, è membro della direzione di SolidaritéS (movimento anticapitalista, femminista, ecologista per il socialismo del XXI secolo. Ha pubblicato, in particolare, Quand l’ésprit de Genève s’embrase: au delà de la fusillade du 9 novembre 1932, Ed. d’en bas, Losanna 2012.

[2] Gire et al., in Science, 28 agosto 2014.

[3] Un’epidemia più leggera è scoppiata anche in Congo lo scorso luglio, probabilmente connessa a un altro ceppo di Ebola.

[4]Awakening Africa’s Sleeping Giant – Prospects for Commercial Agriculture in the Guinea Savannah Zone and Beyond, 2009.

[5]Questo tipo di meccanismi sono stati studiati di recente a livello globale da David Quammen (Spillover: Animal Infections andthe  Next Human Pandemic, W.W. Norton, 2012).

[6] Daniel G. Bausch, Lara Schwarz, “Outbreak of Ebola Virus Disease in Guinea; Where Ecology Meets Economy”, in PLoS Negl Trop Dis 8 (7), 31 luglio 2014; Wired, 18 agosto 2014, Calestous Juma, Africa Ebola Outbreak: How to Present It?”, in Al Jazeera, 13 agosto 2014.

[7]The Globe and Mail, “Land Grabs in Africa: Liberia”,

www.youtube.com/watch?v=8R6mLsSIXb4.

[8] USA Today, 28 agosto 2014.

[9] Rosa Crestani (MSF), in Le Monde, 5 agosto 2014.

[10]Amerikan Thinker,24 agosto 2014.

[11]Vox, 9 agosto 2014.

[12]The Spokesman Review, 24 agosto 2014.

[13] The New Yorker, 11 agosto 2914.

[14] E-International Relations, 26 luglio 214: Le Monde, 1 agosto 2014.

[15] Si veda al riguardo l’esposizione delle ragioni della petizione lanciata dal  matematico Pascal Adjamagbo, il dottor Guy Alovor e Mutombo Kanyana, che chiede all’Unione africana e al Consiglio di sicurezza dell’ONU, di insediare una commissione d’indagine sulle origini dell’Aids e dell’Ebola (http://www.petitions24.net/petition_a_lunion_africaine_sur_lesida_et_lebola_en_afrique).

[16] NPR, 19 agosto 2014;abcNEWS, 26 agosto 2014.

[17] The Lancet, settembre 2014.

[18] Quest’ordine religioso è in parte finanziato dalle rendite dei titoli del debito pubblico dello Stato spagnolo (La Jornada, 17 agosto 2914.

[19] Dal 24 giugno, MSF aveva denunciato come l’epidemia fosse fuori controllo (The Lancet, settembre 2914).

[20] Reuters, 8 agosto 2014; Forbes, 3 agosto 2014.

[21] Naked Capitalism, 3 agosto 2014.

[22] Independent on Sunday, 3 agosto 2014.

[23] Le Monde, 7 agosto 2014.

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