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    Democrazia Deliberativa e Sviluppo

    E’ ormai ampiamente riconosciuto che e’ la diversa qualità del c.d. capitale istituzionale a determinare, in gran parte, le differenze di performance economica dei vari paesi, anche se caratterizzati da dotazioni sostanzialmente simili di capitale fisico e di capitale umano. In altro modo, senza nulla togliere alla perdurante importanza dei fattori geografico-naturali e di quelli socio-culturali, è un fatto che l’assetto istituzionale di un paese è, oggi, l’elemento che più di ogni altro spiega la qualità e l’intensità del processo di sviluppo di una determinata comunità...
    16 settembre 2009 - Stefano Zamagni

    E’ ormai ampiamente riconosciuto che e’ la diversa qualità del c.d. capitale istituzionale a determinare, in gran parte, le differenze di performance economica dei vari paesi, anche se caratterizzati da dotazioni sostanzialmente simili di capitale fisico e di capitale umano. In altro modo, senza nulla togliere alla perdurante importanza dei fattori geografico-naturali e di quelli socio-culturali, è un fatto che l’assetto istituzionale di un paese è, oggi, l’elemento che più di ogni altro spiega la qualità e l’intensità del processo di sviluppo di una determinata comunità.

    Le istituzioni cui alludo sono sia quelle politiche sia quelle economiche. L’esempio più rilevante delle prime è costituito dal modello di democrazia in essere: elitistico-competitivo, oppure populistico, oppure comunitarista, oppure deliberativo. Le istituzioni economiche, invece, riguardano quell’insieme complesso di regole che attengono sia al modo in cui vengono garantiti i diritti di proprietà – senza i quali un’economia di mercato neppure potrebbe funzionare – sia alle regole di accesso al gioco economico da parte dei cittadini. Regole che precludessero o rendessero particolarmente onerosa ad alcuni gruppi di cittadini la partecipazione all’attività economica - si pensi alle varie forme di razionamento del credito, all’esistenza di elevati vincoli burocratici, alla non disponibilità di strumenti finanziari quali il venture capital o il private equity - non favorirebbero certo lo sviluppo.

    E’ evidente che il nesso causale tra le due tipologie di istituzioni procede da quelle politiche a quelle economiche, anche se è indubbio che i risultati economici conseguiti da un paese in un determinato periodo e la conseguente distribuzione delle risorse tra gli agenti economici concorrono a modificare, in un senso o nell’altro, l’assetto futuro delle istituzioni politiche. Ma è la diversa velocità del cambiamento a far sì che quella direzione causale resti confermata: notoriamente le istituzioni politiche mutano assai più lentamente di quelle economiche.

    Ciò premesso, la tesi che, mi limito ad enunciare è che, con riferimento all’attuale passaggio d’epoca, il modello elitistico-competitivo di democrazia, i cui meriti storici sono fuori di ogni dubbio, non è più in grado di dare vita a istituzioni economiche capaci di assicurare elevati tassi di crescita e di dilatare gli spazi di libertà dei cittadini. Sostengo, invece, che per tale duplice obiettivo il modello deliberativo di democrazia si dimostra più adeguato, oltre che più efficace.

    Tre sono le caratteristiche essenziali del modello elitistico-competitivo dovuto a Max Weber e a Joseph Schumpeter. La democrazia è principalmente un metodo di selezione di un'elite che, essendo esperta, è capace di prendere le decisioni necessarie, date le circostanze. La democrazia è dunque la procedura per arrivare a selezionare, all'interno della società, coloro che sono in grado di prendere le decisioni di volta in volta richieste dal corpo politico. La seconda caratteristica è quella di ostacolare gli eccessi di potere della leadership politica. Poiché il rischio della degenerazione e dell'abuso di autorità non può mai essere scongiurato, è opportuno inserire negli ingranaggi del potere “granelli di sabbia”. E quale modo migliore per conseguire un tale risultato di quello di far soffiare, sui partiti politici, il vento della competizione? La terza caratteristica, infine, è che il modello in questione si qualifica per il suo orientamento alla crescita economica e al progresso della società. Si noti l'analogia: come nell'arena del mercato le regole della competizione economica servono ad assicurare un'efficiente allocazione delle risorse e quindi il più alto tasso possibile di sviluppo, così, alla stessa stregua, nella sfera politica i partiti gareggiano fra loro per vincere le elezioni massimizzando i rispettivi consensi e le regole della gara elettorale devono essere tali da impedire la formazione di grumi di potere, che favoriscano l’uno o l’altro dei contendenti. In definitiva, l'idea di base del modello è che le imprese gestiscono i mercati e i governi regolano le imprese; d'altra parte, le burocrazie di vario tipo gestiscono l'amministrazione pubblica e il governo controlla e regola la burocrazia. Con il che è alla sfera della politica che è demandato il compito di tracciare il sentiero di marcia della società intera.

    Notevoli sono stati i risultati positivi che questo modello di democrazia - con le sue molteplici varianti nazionali - ha consentito di ottenere a partire del secondo dopoguerra. Ma alcuni mutamenti di portata epocale – quali la globalizzazione e ’introduzione nel processo economico delle nuove tecnologie infotelematiche - l'hanno reso inadeguato, non più funzionale a raccogliere le nuove sfide.

    La democrazia deliberativa, invece, mostra di essere all’altezza della situazione. Basicamente, la ragione è che per tale modello non è ammissibile che il benessere, lo star bene degli emarginati e degli svantaggiati dipenda – a seconda delle circostanze – dallo “stato benevolente” o dalle istituzioni del “capitalismo compassionevole”. Piuttosto, esso deve essere il risultato di strategie di inclusione nel circuito della produzione – e non della redistribuzione – della ricchezza.

    Come noto, tre sono i caratteri essenziali del metodo deliberativo. Primo, la deliberazione riguarda le cose che sono in nostro potere. (Come insegnava Aristotele, non deliberiamo sulla luna o sul sole!). Dunque, non ogni discorso è una deliberazione, la quale è piuttosto un discorso volto alla decisione. Secondo, la deliberazione è un metodo per cercare la verità pratica e pertanto è incompatibile con lo scetticismo morale. In tale senso, la democrazia deliberativa non può essere una pura tecnica senza valori; non può ridursi a mera procedura per prendere decisioni. Terzo, il processo deliberativo postula la possibilità dell'autocorrezione e quindi che ciascuna parte in causa ammetta, ab imis, la possibilità di mutare le proprie preferenze e le proprie opinioni alla luce delle ragioni addotte dall'altra parte. Ciò implica che non è compatibile col metodo deliberativo la
    posizione di chi, in nome dell'ideologia o di interessi di parte, si dichiara impermeabile alle altrui ragioni. E’ in vista di ciò che la deliberazione è un metodo essenzialmente comunicativo.

    Certo, non pochi sono i nodi teorici e pratici che devono essere sciolti perché il modello di democrazia deliberativa possa costituire una alternativa pienamente accettabile rispetto a quella esistente. Ma non v'è dubbio che la concezione deliberativa di democrazia, sia, oggi, la via che meglio di altre – in particolare, meglio della via neo-democratica o comunitarista che crescente popolarità va guadagnando in America - riesce a affrontare i problemi dello sviluppo e del progresso dei nostri paesi. Ciò in quanto essa riesce a pensare alla politica come attività non solo basata sul compromesso e l'inevitabile tasso di corruzione che sempre lo accompagna, ma anche sui fini della convivenza stessa e dell’essere in comune. Inoltre, essa è anche la via più efficace per contrastare l’invadenza del “politico” (nel senso di Hobbes) e quindi per rilanciare il ruolo del civile. Il che vale a far sì che lo spazio pubblico cessi di essere pericolosamente identificato con lo spazio statale.


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