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    PURA VIDA... e altri racconti raminghi

    Perché il titolo Pura Vida? Pura vida in Costa Rica è il saluto nazionale. Ci si saluta dicendosi pura vida come noi diciamo “buongiorno”, si risponde pura vida se qualcuno domanda “come va?” e ancora si usa pura vida come noi usiamo “arrivederci”. Il significato di pura vida è molto vicino all’hakuna matata (“non c’è problema”) keniota o al mai ping rai (“nessun problema, si vive lo stesso”) thailandese o ancora al chi choen (“qual’è il problema?”) ladako.
    15 febbraio 2010 - Andrea Bizzocchi

    di Andrea Bizzocchi
    Terra Nuova Edizioni
    cod. EA057 - pp. 134 - € 11.00
    (prezzo per gli abbonati alla rivista € 9.90)


    Perché il titolo Pura Vida? Pura vida in Costa Rica è il saluto nazionale. Ci si saluta dicendosi pura vida come noi diciamo “buongiorno”, si risponde pura vida se qualcuno domanda “come va?” e ancora si usa pura vida come noi usiamo “arrivederci”. Il significato di pura vida è molto vicino all’hakuna matata (“non c’è problema”) keniota o al mai ping rai (“nessun problema, si vive lo stesso”) thailandese o ancora al chi choen (“qual’è il problema?”) ladako.

    Queste due parole riassumono un'intera filosofia di vita, e sono testimonianza linguistica della calma e della gentilezza che appartengono a questo popolo, della semplicità e della modestia che li caratterizza, del loro saper prendere la vita senza ansie e senza fretta, senza arrabbiarsi né strepitare. In aggiunta ai due diari di viaggio dei racconti e qualche aneddoto, riflessione e frase colta qua e là, che hanno lasciato un qualche segno sull'autore.

    Profondo conoscitore del Centro America, e della Costa Rica in particolare, l'autore condivide con il lettore questo suo vagabondare alla ricerca di un nuovo modello di vita. Dunque non solo un libro di viaggi, di riflessioni e di avventure ma anche un invito sincero a prendere la vita nelle proprie mani per intraprendere una strada diversa da quella della crescita economica senza limiti ed essere noi stessi il cambiamento che vorremmo ci fosse nel mondo.


    Eccovi un assaggio del libro tratto da pagina 52 e seguenti:

    Arnulfo il guardiaparco

    Eravamo seduti al Mirador, da dove la vista si perdeva nell’infinito tutt’attorno a noi. Io stavo facendo ad Arnulfo alcune domande ma lui pareva assente, quando d’improvviso mi guardò fisso negli occhi con un’intensità alla quale non sono abituato e che devo ammettere mi provocò imbarazzo: Come si può tagliare in cinque minuti un albero che ha impiegato cento o duecento anni per crescere? La gente non capisce che c’è qualcosa di profondamente innaturale in tutto questo?”.
    Colsi nel suo tono e nel suo sguardo – forse mi riuscì anche di vedere dentro al suo cuore – un’innocenza che mi commosse profondamente. Che bella, semplice domanda. Ce la siamo mai posta? Gli risposi che non si può, che non ha senso. E lui di rimando: “E allora perché lo fanno?”.

    Non potevo mettermi a spiegare che l’economia non può permettersi di guardare in faccia a niente, che deve produrre per andare avanti, che siamo arrivati a un punto in cui le tanto famigerate multinazionali non sono più colpevoli di noi che non sappiamo più rinunciare a nulla. Stiamo segando il ramo dell’albero su cui l’umanità è seduta dall’inizio dei tempi e lo facciamo pure con una terribile incoscienza che si trasforma in violenza inaudita. Ma non importa, perché tutti urlano che il progresso non si ferma, che indietro non si torna, e che ad attenderci c’è un futuro meraviglioso e migliore (il futuro, chissà perché, è meglio del passato a prescindere; è un assunto senza necessità di dimostrazione. Lo è per un suo supposto valore intrinseco); fino a quando un futuro non ci sarà più. “Non lo so Arnulfo. Però tu tieni duro. Vedrai che un po’ alla volta la gente capirà”.
    Che altro avrei potuto dirgli? Ci sono momenti nella nostra vita in cui le cose si “sentono”, in cui l’istinto, l’intuito, ci dicono ciò che è “giusto” e ciò che non lo è senza bisogno di teorie e spiegazioni, senza la necessità dello sdoganamento concesso dalla ragione: noi dobbiamo amare la Natura non per salvarla (si salva da sé e senza neppure troppa fatica) ma per il semplice motivo che l’uomo fa parte in tutto e per tutto della Natura e se ne fai parte, se dunque è parte di te, non puoi non amarla. Significherebbe non amare se stessi. Lì, seduto al Mirador assieme ad Arnulfo, questa cosa l’ho “sentita” con tutto il mio essere.

    Arnulfo era anche proprietario di una finca di ventidue ettari in cui si recava durante ogni suo momento libero. Anche lui, come Francisco a Monteverde, piantava alberi: seimilacinquecento alberi di teca e dodicimila di pochote negli ultimi dieci anni. E cominciava a vederne i risultati: gli alberi si erano popolati di uccelli, di monos (le scimmie urlatrici) e di tanti altri animali.

    “È ricomparso anche il pipistrello bianco. Sai che non si vedeva più da decenni?”, mi disse con l’anima in subbuglio per la gioia. Purtroppo non sono abituato a simili manifestazioni spontanee di semplice felicità. Andò in subbuglio anche la mia anima, non per il pipistrello bianco ma per lui. La sera, a letto, dopo la cena preparata dalla moglie a base di riso e fagioli, formaggio e verdure, mi lasciai andare ai miei pensieri. E mi domandavo come mai un uomo così, e tanti altri come lui, che dedicano la loro vita alla conservazione dell’ambiente – l’unico bene che ci è davvero indispensabile per vivere – non conti nulla, mentre altri personaggi senza senso riempiono le pagine dei giornali e gli schermi televisivi. Forse se Arnulfo andasse a finire su un giornale, il giornale non venderebbe, o forse fa il gioco dell’economia parlare di personaggi che muovono soldi, o più semplicemente abbiamo superato ogni dose di buon senso e non riusciamo più a capire tutto questo.

    Arnulfo era una persona semplicissima, anche ignorante se vogliamo. Non aveva studiato, non aveva viaggiato, non parlava una sola parola di nessuna altra lingua pur essendo spesso a contatto con stranieri per via del suo lavoro. Forse le sue scelte erano limitate. Però, mi domandavo, noi siamo davvero più liberi? Di fare cosa? Di scegliere tra le marche di un vestito o di un’automobile o di uno stereo? Di scegliere la temperatura dell’aria condizionata? O di andare in palestra usciti dal lavoro o ad abbronzarci sotto una lampada cancerogena che ci assicura non esserlo ma che invece lo è? E soprattutto, siamo più sereni e in pace? Perché lui sereno e in pace lo era davvero....

    L'autore:
    Andrea Bizzocchi, nato a Fano nel 1969, risiede per lunghi periodi dell'anno in Costa Rica, terra che ha dato i natali alle due figlie. Persona eclettica e dagli innumerevoli interessi, ha pubblicato nel 2004 il saggio Piccole riflessioni di un criceto in gabbia e nel 2009 il saggio Ritorno al passato. La fine dell'era del petrolio e il futuro che ci attende.


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