Il progetto Nuova Specie
Il Progetto “Nuova Specie” è nato nel 1966 come risposta di Mariano Loiacono al proprio “disagio” di diciottenne, letto non in termini di “malattia” ma come “spia-sintomo” che rimandava a quattro profonde verità. Prima verità. Il disagio personale stava a indicare che non aveva funzionato bene la propria “gravidanza psiché”, cioè la crescita adulta del proprio “mondo interno” programmata e realizzata dalla famiglia, dalla religione, dalla scuola e da altre agenzie che in genere si propongono un tale obiettivo. Questa crescita inadeguata o parziale non gli permetteva di esprimere tutta la propria specificità. Come indica l’etimologia della parola “disagio”, si sentiva di “non giacere vicino”, di “essersi allontanato” da se stesso, dal proprio intero, da “ciò che solo io sono”. Questo disagio-allontanamento si faceva vedere e sentire concretamente nella sua vita attraverso i diversi sintomi-difficoltà che avvertiva in se stesso e nei diversi rapporti. Seconda verità. Prima di esporre questa seconda verità è utile fare una premessa. L'Uomo per fare “teoria” sulla vita - cioè per cercare di “vedere-osservare-contemplare” cosa è la vita, qual è il senso del viaggio che la vita sta percorrendo -, si è avvalso da sempre e si avvale ancora di tre punti di vista o epistemologie: “mitico-religiosa, filosofica, scientifica”. Dopo aver prodotto la propria “teoria” sulla vita, ogni punto di vista-epistemologia ha fatto e fa scaturire una propria “prassi”: cioè definisce e decide “come” vivere la vita, cosa fare praticamente ogni giorno, che cambiamenti adottare, cosa far crescere o distruggere, cosa preservare o far modificare delle realtà esistenti, come far avvenire la gravidanza psiché degli esseri umani che devono diventare adulti ecc.. Ora, se nell’esperienza personale tutte queste agenzie di crescita erano state inadeguate, bisognava dedurre che erano da considerare inadeguati-limitati i vari “punti di vista” o epistemologie che le avevano generate, strutturate e mantenute in vita. Terza verità. La soluzione non stava nel trovare un rimedio per i sintomi in sé (“soluzione sintomatica”) ma nel cercare e definire un “nuovo” punto di vista, una “nuova” epistemologia che fosse meno parziale delle precedenti, o meglio, che fosse “globale” e potesse generare un “metodo globale” in grado di sanare in profondità i sintomi-difficoltà, rigenerando l’individuo nella sua interezza e facendolo tornare in agio, ovvero vicino a se stesso, al proprio intero, a “ciò che solo io sono”. Una simile rigenerazione avrebbe fatto venir fuori una nuova qualità di vita non solo nel rapporto con se stesso, ma in tutti i suoi rapporti, sì da caratterizzare una “specie” evolutivamente “nuova”. Una simile “epistemologia globale” non poteva nascere allo stesso modo delle altre. Infatti, le tre epistemologie storiche (“mitico-religiosa, filosofica, scientifica”) erano state messe a punto dall'Uomo a partire dal codice “verbale” o delle “parole” (“verbum” in latino significa “parola”): un codice mai prima utilizzato nella storia della vita. Bisognava, allora, mettere a punto e definire un “nuovo codice” che fosse esso stesso globale e rispettasse tutti gli altri codici che sono comparsi nell’antico viaggio della vita su questa terra, che dura da quattro miliardi e mezzo di anni. Quarta verità. Essendo una spia delle radici vitali divenute inadeguate, il disagio personale progressivamente sarebbe diventato “disagio diffuso” a tutti gli individui, a tutti i gruppi, a tutte le istituzioni, indipendentemente dall’età, dal ceto sociale, dalle condizioni di vita, dalla scolarità, dalle epistemologie adottate, dalle etnie di appartenenza, ecc.. Bisognava, dunque, darsi da fare subito e lavorare in anticipo per questo “progetto nuova specie”, nonostante gli indicatori di vita nel 1966 fossero abbastanza efficaci ed efficienti sul piano economico, politico, tecnologico, religioso.