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    Beni comuni

    18 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Economia locale

    Abbiamo già detto come, nella nostra epoca, la produzione e lo scambio delle merci avviene ormai su scala globale (globalizzazione dei mercati). Questa non è una novità assoluta se pensiamo a Marco Polo che partiva per l'oriente per importare spezie e altri prodotti esotici. L'assurdità è che oggi Marco Polo attraversa il mondo per commerciare ortaggi o vestiti. E non gli ortaggi e i vestiti tipici dei paesi di provenienza, ma esattamente gli ortaggi ed i vestiti tipici della nostra cultura e dei nostri territori. Parlando di acqua abbiamo già accennato alla follia dei camion che trasportano su e giù per il mondo carichi di bottiglie per venderli quanto più possibile lontano dalla fonte, proprio là dove altre fonti potrebbero dissetare le persone.
    Questo meccanismo è talmente diffuso da rappresentare uno dei tratti distintivi della globalizzazione e si porta dietro svariati problemi di cui abbiamo già parlato: l'enorme inquinamento e spreco di risorse legato ai trasporti, assieme agli altri problemi dovuti al traffico; lo sfruttamento umano e ambientale provocato dalle delocalizzazioni selvagge e le altre conseguenze sociali ed economiche sia per i paesi di nuova industrializzazione che per i paesi occidentali (perdita di posti di lavoro, disgregazione sociale ecc.); la perdita di qualità delle merci che rispondono sempre più a criteri economici anziché agli interessi dei consumatori; riduzione del controllo sociale sulla produzione dovute alla crescente distanza tra luoghi di lavorazione e luoghi di consumo.
    L'altreconomia si oppone a questa dinamica recuperando i valori della dimensione locale, della produzione e del consumo su piccola scala. Per il consumatore significa maggiore qualità e controllo, ossia il ritorno all'ormai dimenticato rapporto di fiducia che non si può avere con una multinazionale anonima e immateriale; significa, in campo alimentare, maggiore genuinità e freschezza, minore ricorso a prodotti di sintesi insalubri. Per l'economia significa salvaguardare posti di lavoro e alimentare circuiti virtuosi sul territorio, valorizzando risorse e conoscenze tipiche del luogo; significa maggiore "biodiversità", cioè salvaguardia dei prodotti e dei processi produttivi caratteristici che la globalizzazione tende a cancellare. Per la collettività significa maggiore salvaguardia dell'ambiente e minore spreco di risorse, anche perché tornando ad una economia prevalentemente locale torneremo a percepire il valore del territorio in cui viviamo e staremo più attenti a tutelarlo, come avveniva per le generazioni passate; significa un diverso rapporto con il consumo, più consapevole e attento.
    Valorizzare l'economia locale non vuol dire chiudersi dentro le mura della città e tagliare ogni rapporto economico con l'esterno, bensì eliminare le assurdità del mercato globale e restituire al commercio con luoghi lontani il suo vero ruolo di scambio di prodotti utili che sul territorio non si possono trovare o produrre. I beni che ci arrivano da lontano, frutto della cultura di altri popoli, hanno un valore particolare. Solo fuori dal consumo di massa questo valore potrà essere interamente riconosciuto.

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