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    Beni comuni

    18 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Economia non monetaria

    La moneta non è di certo un'invenzione recente, ma se per gran parte della storia essa ha svolto un ruolo di intermediazione, oggi essa ha assunto una funzione predominante nell'economia, tramutandosi da mezzo in fine. La nostra economia è essenzialmente monetaria e il denaro è assolutamente centrale. Produzione, scambio e gli stessi bisogni che dell'economia dovrebbero essere il presupposto, sono posti in secondo piano rispetto al denaro.
    L'altraeconomia rimette in discussione questo ruolo del denaro e ha già dato vita a numerosi esperimenti di economia non monetaria, ossia relazioni economiche che fanno a meno della moneta così come noi la conosciamo. Il più delle volte si tratta di recuperare idee dal passato, aggiornandole e adattandole alla realtà attuale.
    La prima forma di economia non monetaria, come abbiamo già visto, è l'autoproduzione, ossia il lavoro finalizzato al soddisfacimento diretto dei propri bisogni. Siccome non tutto ciò di cui si ha bisogno può essere autoprodotto, può essere utile mettere in rete più produttori affinché si scambino i beni e si integrino a vicenda.
    La divisione del lavoro introdotta con la rivoluzione industriale ed esasperata con la globalizzazione ha rivelato tutti i suoi difetti e una serie di conseguenze negative. Ma la divisione del lavoro non va demonizzata in se, si tratta di riportarla su una piccola scala. Se alcuni lavori è bene che ognuno li faccia per sé, per altri è necessario che qualcuno si specializzi e li svolga per una comunità più ampia, mentre al mercato nazionale e internazionale dovrebbero essere affidati solo ambiti marginali, non di certo la produzione delle zucchine.
    All'interno di un circuito economico locale, su piccola scala, dove ognuno autoproduce dei beni e dei servizi (detersivi, ortaggi e altri alimenti, capi di abbigliamento, piccole riparazioni, formazione...) non è necessario utilizzare il denaro come intermediario. A volte può bastare il baratto, in altri casi sistemi più articolati, come le banche del tempo, la moneta locale e così via.
    I sistemi di scambio non monetario si basano sul rapporto di fiducia tra persone che si conoscono direttamente. La fiducia è un bene che si propaga autoriproducendosi, man mano che si creano nuove relazioni sociali cresce il capitale di fiducia e la maggiore fiducia produce ulteriori relazioni. I sistemi di scambio non monetario su scala locale, l'economia informale basata sul rapporto umano piuttosto che sul denaro, animano questa dinamica, tant'è che in diversi contesti i sistemi di economia non monetaria sono utilizzati proprio allo scopo di rinsaldare il tessuto sociale.
    Non si tratta di abolire il denaro (almeno per ora), ma di ridimensionarne il ruolo, di usarlo solo quando serve e di sostituirlo con sistemi più conviviali ogni volta che sia possibile.

    Il baratto

    L'idea del baratto potrebbe far storcere il naso, abituati come siamo a pensarlo come ad una pratica arcaica, relegata alle pagine della preistoria, associato a contesti poco civilizzati. Eppure, per fortuna, il baratto non è stato mai del tutto cancellato dalla storia, protetto nelle pieghe residue della socialità, continua a vivere nei rapporti parentali e di vicinato, nello scambio di vestiti per i bambini e attrezzature per i neonati, nel dono reciproco di frutta, verdura e alimenti autoprodotti come marmellate e conserve, nello scambio di favori.
    In alcune località, amministrazioni locali o gruppi di cittadini hanno anche ricominciato ad organizzare veri e propri mercatini del baratto, dove ognuno può portare cose che non gli servono più e scambiarle con altre. In altri paesi, come Brasile e Argentina, le reti di scambio informale sono molto più sviluppate, mentre in molte comunità africane continuano ad essere la vera base dell'economia.

    Le banche del tempo

    Alti livelli di disoccupazione e basso potere di acquisto del salario di chi lavoro sono due dei problemi principali della nostra economia. Tutti abbiamo bisogni che non riusciamo a soddisfare per carenza di denaro, e allo stesso tempo abbiamo capacità che non riusciamo a valorizzare perché nessuno ci assume o non siamo in condizione di metterci in proprio.
    E' proprio da un gruppo di persone che si è trovato a ragionare su questo paradosso che, all'inizio degli anni Ottanta, nasce in Canada l'esperienza del LETS (Local Exchange Trade System - Sistema di Scambi e Commercio Locale). Dato che il problema non è trovare chi svolge un servizio, ma la scarsità di denaro, la soluzione, geniale quanto banale, è fare a meno del denaro. All'interno del LETS ognuno mette in gioco le proprie competenze e capacità, offrendole agli altri aderenti. Le prestazioni vengono conteggiate in ore di lavoro e annotate su un apposito registro che riporta "debiti" e "crediti" di ogni aderente, come un normale conto corrente.
    L'esperienza canadese si è poi evoluta e diffusa in molti paesi, introducendo nel circuito anche lo scambio di beni e una unità di conto non più equivalente alle ore di lavoro, rappresentata da appositi assegni con cui pagare le prestazioni.
    In Francia il sistema ha preso il nome di SEL e ogni gruppo si è dato una propria "moneta" con nomi stravaganti, il cui valore non è determinato, ma lasciato alla libera contrattazione, legato all'economia reale del gruppo.
    Una delle differenze tra i due sistemi è che i LETS hanno soprattutto la funzione di rispondere al bisogno materiale di disoccupati o persone in difficoltà economica, mentre i SEL nascono principalmente per ricreare legami sociali tra le persone.
    In Italia l'esperienza è stata ripresa dalle Banche del Tempo. In alcuni casi queste sono state create nell'ambito delle politiche e dei movimenti femminili, per dare risposta ai bisogni delle donne schiacciate tra lavoro formale e lavoro domestico. In molti casi sono state promosse dagli enti pubblici, altre volte da gruppi di cittadini. Di recente la materia è anche diventata oggetto di leggi nazionali e regionali che hanno riconosciuto il valore di queste esperienze.

    Condivisione dei saperi

    Una forma particolare di scambio non monetario è la "rete di condivisione dei saperi", ideata negli anni settanta dall'insegnante elementare francese Claire Héber-Suffirin ad Orly, cittadina povera della cintura parigina. L'insegnante si rende conto che molti cittadini di Orly hanno un basso livello di istruzione, ma un grande patrimonio di conoscenze di altro tipo. Convinta che ognuno abbia qualcosa da insegnare e da imparare crea la "rete di scambi reciproci del sapere" (RERS - http://www.mirers.org). Chi aderisce compila una scheda dichiarando cosa è disposto ad insegnare e cosa desidera imparare e lo scambio avviene sulla base del baratto, senza alcune intermediazione di denaro.
    Il contenuto di ogni scambio, i metodi d'apprendimento o di trasmissione, le modalità pratiche di realizzazione sono stabiliti dagli interessati in funzione dei loro desideri, mezzi, problemi o disponibilità.
    Nel 2000 esistevano 600 RERS in Francia e nel 2002 circa 150 in altri paesi, collegate in rete tra loro. Come per le banche del tempo, la RERS contribuisce alla nascita di nuove relazioni tra persone

    Condivisione dei beni

    Siamo talmente abituati al possesso e intrisi dalla cultura della proprietà privata che ci viene automatico associare la soddisfazione di un bisogno all'acquisto di un bene (o, al limite, al furto). Questo ci porta ad accumulare beni di cui facciamo un uso limitato rispetto alle potenzialità. Basti pensare a gran parte degli elettrodomestici, a diverse attrezzature per il fai da te, all'automobile che rimane parcheggiata per gran parte della sua vita, agli indumenti o a prodotti culturali come libri, dischi e videocassette.
    Rimettendo in discussione la cultura del possesso potremmo renderci conto che non è la proprietà di un bene che ci permette di soddisfare i nostri bisogni, ma la possibilità di disporne. In sostanza si tratta di recuperare il valore della condivisione e dell'utilizzo comunitario degli oggetti. Alcuni esempi interessanti li abbiamo già incontrati parlando di car sharing, ossia di uso collettivo dell'automobile, oppure di lavatrici condivise tra più abitanti di uno stesso stabile. Lo stesso principio può essere applicato a diversi beni ed in vari modi. Un sistema molto semplice, già sperimentato, consiste nel creare delle piccole reti di condivisione nell'ambito delle quali ognuno compila un elenco di beni che è disposto a condividere con altri attraverso la formula del prestito (libri, dischi, attrezzature e così via). Gli elenchi vengono poi fatti circolare all'interno della rete in modo che ognuno sa quali sono i beni disponibili e a chi può rivolgersi per chiederli.
    Come le altre forme di economia non monetaria anche la condivisione dei beni, oltre ad alleggerire il bilancio familiare, contribuisce a rinsaldare i legami sociali sviluppando relazioni e fiducia.
    BOX: bookcrossing
    Una forma di condivisione dei beni che si sta diffondendo a macchia d'olio è il bookcrossing. Chiunque può partecipare semplicemente abbandonando un libro in un luogo in cui qualcun altro potrà prenderlo. Di solito il libro abbandonato viene corredato da un segnalibro o un adesivo che spiega l'iniziativa e che invita chi lo trova ad abbandonarlo nuovamente dopo la lettura. Gli adesivi si possono stampare scaricandoli già pronti direttamente da interenet (http://www.bookcrossing-italy.com).

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