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    Manifesto sul futuro del cibo

    Questo Manifesto è il risultato di un lavoro comune dei partecipanti alle riunioni della Commissione Internazionale sul Futuro del Cibo tenutesi in Toscana (Italia) fra la fine del 2002 e la prima metà del 2003.
    21 settembre 2006 - Redazione Rees Marche

    Questo Manifesto è il risultato di un lavoro comune dei partecipanti alle riunioni della Commissione Internazionale sul Futuro del Cibo tenutesi in Toscana (Italia) fra la fine del 2002 e la prima metà del 2003. La Giunta della Regione Toscana ha sostenuto e partecipato attivamente ai lavori della Commissione. Il Manifesto vuol essere una sintesi del lavoro e delle idee esposte da centinaia di organizzazioni in tutto il mondo e migliaia di persone che cercano attivamente di capovolgere l'attuale tendenza all'industrializzazione e globalizzazione della produzione alimentare.

    Se pure comprende una critica dei pericoli insiti negli orientamenti attuali dei governi, l'aspetto più importante del manifesto è la sua esposizione di idee, programmi e di una prospettiva concreta volte ad assicurare che l'agricoltura e l'alimentazione diventino più sostenibili socialmente ed ecologicamente, più accessibili, e che la qualità e la sicurezza degli alimenti e la salute pubblica abbiano la precedenza davanti ai profitti delle imprese multinazionali. Ci auguriamo che questo manifesto funzioni da catalizzatore per unire e rafforzare il movimento verso l'agricoltura sostenibile, la sovranità alimentare, la biodiversità e la diversificazione agricola, e che perciò aiuti ad alleviare la fame e la miseria nel mondo intero. Sollecitiamo le persone e le comunità a tradurlo e usarlo, secondo le loro necessità, disseminando i principi e le idee che contiene in tutti i modi possibili.

    La spinta crescente verso l'industrializzazione e la globalizzazione del mondo agricolo e dell'approvvigionamento alimentare mette in pericolo il futuro dell'umanità e il mondo naturale.

    Gli interventi tecnologici, venduti dalle multinazionali come panacea per la soluzione di tutti i problemi di "inefficienza della produzione su piccola scala", e presumibilmente come rimedio alla fame nel mondo, hanno avuto esattamente l'effetto opposto.

    L'intero processo di conversione dalla produzione alimentare su piccola scala per le comunità locali, alla produzione specializzata su larga scala per l'esportazione, ha portato anche al declino di tradizioni, culture, piaceri, e moltissime forme di collaborazione e convivialità, collegate per secoli ai circuiti locali di produzione e mercati comunitari. Ciò ha ridotto molto l'esperienza della produzione alimentare diretta e le gioie, a lungo celebrate, di condividere gli alimenti prodotti a livello locale su terre locali.


    Efficienti sistemi agricoli costruiti dalle comunità indigene locali hanno alimentato gran parte del mondo per millenni, mantenendo l'integrità ecologica e continuano a farlo in molte parti del pianeta. Ma oggi vengono rapidamente sostituiti da sistemi tecnologici e monocolture controllati dalle multinazionali e finalizzati all'esportazione. Questi sistemi di gestione manageriale a distanza incidono negativamente sulla salute pubblica, sulla qualità alimentare e nutritiva, sulle forme tradizionali di sussistenza (sia agricole che artigianali) e sulle culture indigene e locali, accellerando l'indebitamento di milioni di agricoltori e il loro allontanamento dalle terre che hanno tradizionalmente nutrito intere popolazioni, comunità e famiglie. Questa transizione aumenta la fame, i senza tetto, la disperazione ed i suicidi fra i contadini. Nel contempo degrada i processi su cui si fonda la vita sul pianeta e aumenta l'alienazione della gente dalla natura e dai legami storici, culturali e naturali degli agricoltori e di tutti gli altri cittadini con le fonti di cibo e sussistenza. Contribuisce, infine, a distruggere le basi economiche e culturali delle società, minaccia la sicurezza e la pace e crea un ambiente che produce la disintegrazione sociale e la violenza.

     

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