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    25 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    L’invasione degli OGM

    Le biotecnologie, in senso letterale, esistono da millenni. Questo termine, infatti, indica l’utilizzo di fenomeni biologici per ottenere qualcosa che in natura non si verificherebbe senza l’intervento umano. In questo senso sono biotecnologie i processi di produzione di birra, vino, yogurt, formaggio. Nel linguaggio comune la parola biotecnologie viene usata per indicare la manipolazione dei geni, ossia la capacità, acquisita negli anni '70, di modificare o sostituire porzioni di informazione genetica. Gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati) sono organismi in cui sono stati inseriti geni a loro estranei, ottenendo una specie nuova. In natura fenomeni simili possono avvenire solo in casi eccezionali e limitati.
    A partire dagli anni '80 sono nate le prime aziende biotecnologiche (prima nel campo bio-medico e poi in quello agro-alimentare). Da allora le manipolazioni genetiche hanno trovato innumerevoli applicazioni diventando un grande affare economico. Nel settore alimentare gli OGM stanno compiendo una vera e propria invasione, spodestando le colture tradizionali. Numerose sono le prove su effetti negativi per l’ambiente e la salute, e su molti altri rischi la discussione è ancora aperta, tuttavia gran parte dei governi del pianeta hanno ritenuto di non doversi opporre al potere economico che ne promuove la diffusione e i cittadini, spesso ignari, si ritrovano a fare da cavie inconsapevoli.
    Per molti aspetti la diffusione delle biotecnologie agricole sta seguendo la dinamica della “rivoluzione verde” e allo stesso modo è propagandata come soluzione alla fame nel mondo e addirittura come soluzione dei problemi ecologici.

    Danni ambientali

    Non è un caso che le principali imprese del settore transgenico siano anche le maggiori produttrici di sostanze chimiche per l’agricoltura. La propaganda propone le biotecnologie come mezzo per ridurre l’uso di sostanze chimiche, la realtà è che gran parte degli OGM coltivati nel mondo sono piante manipolate per diventare più resistenti agli erbicidi prodotti dalle stesse multinazionali, così l’agricoltore può spargerne dosi massicce sui campi senza preoccuparsi di danneggiare il raccolto, trascurando le conseguenze per l’ambiente, per i lavoratori del settore e per i consumatori che i pesticidi se li ritrovano nel piatto.
    Sul versante dei parassiti l’industria ha creato piante che sviluppano batteri insetticidi. Questo accelera la selezione delle specie aumentando la resistenza degli insetti dannosi e, allo stesso tempo, si danneggiano gli insetti utili, come i predatori che si nutrono di parassiti.
    La diffusione delle biotecnologie prelude ad una ulteriore riduzione della biodiversità, in quanto tende a restringere la produzione agricola ad un numero sempre più limitato di specie selezionate.
    Numerose ricerche scientifiche hanno confermato le preoccupazioni rispetto all’inquinamento genetico, ossia la diffusone nell’ambiente di caratteri genetici che in quel dato ambiente possono produrre effetti sconvolgenti e modificare gli equilibri naturali. Gli OGM sono in grado di interagire con altre forme di vita, riprodursi, trasferire le loro caratteristiche e mutare in risposta alle sollecitazioni ambientali. Frequenti sono i casi in cui il polline di piante OGM ha contaminato coltivazioni biologiche o tradizionali, provocando danni ai coltivatori.

    Danni alla salute

    Attorno alle preoccupazioni sulle conseguenze sanitarie degli OGM si sviluppa il macabro balletto degli esperti che affermano che la pericolosità non è ancora dimostrata, in barba al principio di precauzione secondo cui sono i promotori di una nuova tecnologia a doverne dimostrare l’innocuità. In realtà molti pericoli sono già stati dimostrati e tanti altri emergeranno nel lungo periodo.
    Tra le conseguenze sanitarie degli OGM ci sono le nuove allergie. La manipolazione genetica introduce nella dieta umana proteine che non ne facevano parte. Gran parte della popolazione umana potrebbe non subire effetti dall’ingestione di queste proteine, mentre alcuni soggetti potrebbero essere allergici e subirne gravi conseguenze. Per migliorare il potere nutrizionale della soia vi è stato introdotto un gene della noce brasiliana, alimento a cui circa il 5% della popolazione mondiale risulta allergico. Alcuni di questi consumatori ignari, ingerendo soia manipolata, si trovarono ad ingerire senza saperlo ciò che per loro è veleno.
    Altro problema è lo sviluppo delle resistenze. L’abuso di farmaci tende a sviluppare la resistenza degli agenti patogeni che causano le malattie. Anche per questo si consiglia di farne un uso moderato. E’ ampiamente dimostrato come l’aumento della resistenza dei batteri e la diminuzione dell’efficacia dei farmaci abbia tra le sue cause l’inclusione sistematica di antibiotici nella dieta degli animali destinati al consumo umano. Nei processi di manipolazione genetica sono utilizzati geni che forniscono la resistenza agli antibiotici e che potrebbero passare all’organismo che li ingerisce, trasferirsi ai patogeni rendendoli immuni alle cure mediche, con grave danno per l’organismo che li ospita.

    Conseguenze sociali

    Sul piano socio-economico la diffusione degli OGM sta già producendo conseguenze negative che vanno a discapito di un modello produttivo sostenibile e di qualità e delle condizioni di vita di tanti coltivatori e abitanti del sud del mondo.
    Siamo di fronte ad una nuova evoluzione dell’agricoltura moderna, trasformata da attività produttiva tradizionale a vera e propria industria. Questo mutamento non può essere liquidato come semplice evoluzione tecnologica e va letto in tutte le sue ripercussioni sociali, economiche e politiche, come storia di potere, di espropriazione della libertà e della sicurezza alimentare; come fenomeno di controllo sociale.
    L‘industrializzazione ha provocato la quasi scomparsa dell’artigianato e della produzione su piccola scala. Allo stesso modo l’industrializzazione dell’agricoltura ha prodotto la progressiva cancellazione delle piccole aziende e la concentrazione economica della produzione. Il meccanismo è lo stesso: quando entrano in gioco fattori di produzione costosi, capaci di aumentare la produttività (e quindi diminuire i prezzi), che richiedono grandi investimenti, i piccoli imprenditori non riescono più a stare sul mercato. Per acquistare tecnologie costose occorrono capitali inaccessibili a chi non offre solide garanzie. Molti restano indietro e poi soccombono, schiacciati e “assorbiti” dai vincitori della gara. I frutti avvelenati di questo processo sono la distruzione delle comunità locali, l’urbanizzazione selvaggia e disordinata, disoccupazione e criminalità.
    Già oggi il mercato delle biotecnologie è in mano ad un ristretto numero di multinazionali, le stesse che controllano i settori paralleli dell’agricoltura: sementi e chimica, e anche quello farmaceutico.
    Le biotecnologie prefigurano un ulteriore salto in avanti in questo processo drammatico. L’idea di fabbriche in cui ortaggi e cereali crescono, non più a terra, ma dentro immensi bagni di coltura, è ormai uscita dall’immaginario della fantascienza per farsi realtà in laboratori di ricerca. In poco tempo questo trasformazione epocale e devastante potrebbe rendere “superflui” milioni di contadini in tutto il mondo. Alla fine degli anni ‘80 un laboratorio americano ha annunciato di essere in grado di produrre vaniglia direttamente in fabbrica, saltando completamente un processo di lavorazione molto complesso che richiedeva un meticoloso intervento umano. E’ facile immaginare le conseguenze per un paese come il Madagascar che basa una fetta consistente della sua economia sull’esportazione di questo prodotto. Allo stesso modo è già possibile coltivare in laboratorio del cotone e vescicole di arance e limoni, senza tronchi, rami e bucce.

    Brevetti e biopirateria

    La concentrazione di potere nelle mani di poche multinazionali è favorita dalla legislazione sui brevetti. Il brevetto è una forma di tutela giuridica di un? invenzione, in base alla quale si riconosce all’inventore la paternità della sua creazione ed il diritto a godere di una parte dei proventi del suo sfruttamento commerciale.
    I brevetti sono stati originariamente concepiti per tutelare l’invenzione di cose, escludendo le forme di vita, ma sin dai primi esperimenti di ingegneria genetica le imprese hanno chiesto la possibilità di brevettare i loro prodotti e le tecnologie utilizzate. Questa richiesta viene motivata con la necessità di recuperare con i proventi commerciali gli investimenti effettuati nella ricerca. Nelle loro campagne a favore della brevettabilità le imprese parlano sempre di ricerca farmaceutica, accusando gli oppositori dei brevetti di voler scoraggiare ricerche che potrebbero portare alla cura di tante malattie.
    Il primo brevetto su un essere vivente (su un batterio) è stato concesso nel 1980 negli Stati Uniti. Infranto il tabù le multinazionali hanno iniziato una crociata per vedere riconosciuto quel “diritto” in tutto il mondo. La battaglia si è giocata in seno a numerose conferenze internazionali in cui gli USA fecero pesare tutta la loro forza di ricatto. I paesi ricchi posero il problema come una semplice questione commerciale mentre si trattava di una questione politica ed etica dato che molti paesi avevano già delle leggi che vietavano di brevettare beni di prima necessità come alimenti e farmaci. Il negoziato per l’”Accordo sui Diritti Intellettuali” (Trade Related Aspects of Intellectual Property – TRIPs) fu tutt’altro che democratico e si concluse con l’imposizione degli interessi delle multinazionali. Da allora gli Stati Uniti incassano ogni anno centomila miliardi di lire dai paesi del sud del mondo come diritti sui brevetti.
    Le norme sui brevetti sugli OGM rappresentano un’enorme forzatura dei principi basilari del diritto, secondo i quali un oggetto può essere brevettato solo dimostrando che si tratta effettivamente di un’invenzione, e non di una scoperta; se è descrivibile in modo completo e tale da consentire ad un esperto di riprodurlo; se l’oggetto è nuovo e utilizzabile a scopi commerciali. Il brevetto è stato concepito per le cose, ed estenderlo alla materia vivente significa già implicitamente equiparare la vita a qualunque altra merce. L’unicità della vita dovrebbe per natura renderla non inventabile, non completamente descrivibile e non riproducibile in laboratorio. Ma anche sul piano tecnico questo principi non reggono, infatti una pianta o un animale non sono certamente un invenzione dell’uomo, il fatto di averne modificato il DNA non significa avere realizzato qualcosa di nuovo, tant’è vero che nessuno potrebbe brevettare come sua la Divina Commedia dopo averne sostituito un brano con un brano di un altro poema. Eppure è questo che avviene con la ricombinazione del DNA. In più, brevettando materia vivente, si brevettano i geni, la pianta e tutta la sua discendenza, possibilità che non esiste con nessun oggetto.
    Mentre le multinazionali affermano che i brevetti sono necessari per incoraggiare la ricerca, la realtà ha mostrato in più occasioni che sono proprio i brevetti ad inibirla. Essi l’imitano l’utilizzo di geni e di organismi brevettati anche per scopi sperimentali e fanno lievitare i costi (dovuti al pagamento di licenze) della ricerca.
    In campo agricolo gli organismi, i geni e le tecnologie sotto brevetto sono proprietà delle imprese che vendono agli agricoltori delle semplici licenze di utilizzo, sulla base di precisi contratti che li vincolano a produrre secondo determinate condizioni. Tra l’altro agli agricoltori è fatto divieto di conservare parte del raccolto da usare come semi, costringendoli a ricomprarli ogni anno.
    I brevetti proteggono i prodotti tecnologici e chi li sviluppa, ma non garantiscono in alcun modo i popoli che detengono la diversità genetica originaria da cui questi prodotti derivano, a differenza di quanto prevede la Convenzione sulla Biodiversità. Ciò ha favorito il diffondersi della biopirateria, una vera e propria rapina, da parte delle multinazionali occidentali, del patrimonio genetico costituito e conservato in millenni di storia dalle popolazioni mondiali. In pratica si prelevano piante e microrganismi con particolari caratteristiche, se ne analizza la struttura genetica e la si brevetta, al che se ne diviene proprietari. Un esempio tipico è rappresentato dall’albero neem, i cui derivati da più di un migliaio di anni vengono utilizzati in India in campo medico e agricolo. Questa scoperta appartiene alla storia ed alla cultura del popolo e nel tempo è stata sempre messa a disposizione di tutte le popolazioni dell’area dell’Oceano Indiano, senza nemmeno concepire la possibilità di chiedere i diritti d’autore. Con la crisi della medicina occidentale ed il diffondersi delle medicine alternative, tradizionali e naturali, il neem ha acquisito un valore commerciale anche da noi. Diverse società, intravedendo l’affare, hanno chiesto e ottenuto brevetti sull’uso di questa pianta e dei suoi principi, senza avere inventato nulla, ma semplicemente copiando quanto i contadini locali facevano da tempo immemorabile
    Esempi di biopirateria si ritrovano in tutti i paesi del sud del mondo. Di tutte le specie vegetali conosciute, il 90% proviene dai paesi della fascia tropicale; circa i ¾ di tutti i prodotti farmaceutici derivanti da piante (il cui mercato corrisponde ad un valore di oltre 43 miliardi di dollari) provengono proprio dalle medicine tradizionali. Ma la biopirateria non riguarda solo le piante e ci sono già diversi casi di “rapina” di geni umani. In un solo anno un’unica ditta americana ha richiesto di brevettarne 6500.
    I paesi industrializzati, di fatto, controllano l’agricoltura a livello mondiale già da tempo. Biotecnologie e brevetti contribuiscono ad accentrare nelle mani di poche multinazionali tutta la produzione di cibo mondiale, con gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare dei cittadini, sia al sud che al nord del mondo, e con pericolose conseguenze geopolitiche.

    Sicurezza alimentare

    I profeti biotecnologici affermano che gli OGM consentiranno di aumentare la produzione alimentare a livello mondiale, facendo finta di non sapere che il problema della fame nel mondo non è una conseguenza della scarsità di risorse. Già oggi le risorse alimentari prodotte sul pianeta sarebbero sufficienti a sfamare una popolazione di circa 9 miliardi di persone. Basta ricordare le enormi quantità di prodotti agricoli che anche nel nostro paese restano invenduti o vengono distrutti, nonostante la produzione sia molto inferiore a quella potenziale. Dagli anni ’70 la fame è andata progressivamente aumentando nonostante un aumento della disponibilità di cibo pro capite dell’8/9%; almeno 800 milioni di esseri umani (la maggior parte dei quali bambini) sono denutriti, mentre una buona parte di risorse alimentari viene distrutta in nome delle regole economiche, per non far crollare i prezzi, per rispettare i parametri dei trattati commerciali e così via.
    La fame nel mondo ha poco a che fare con la produzione di cibo, e molto con la sua distribuzione, con le scelte politiche, con le regole dell’economia internazionale, con la distribuzione della ricchezza e del potere.
    Nel corso degli anni, ai paesi del Sud del mondo è stato imposto un sistema industriale che ha sempre più espropriato i contadini delle loro terre per ricavarne prodotti da esportazione che arricchiscono solo piccole minoranze. Milioni di contadini hanno perso le loro terre generando un meccanismo di dipendenza alimentare esterna. Là dove gli agricoltori producevano per il mercato locale e si garantivano la sicurezza alimentare con l’autoproduzione, ora dominano le monocolture destinate ai mercati ricchi (caffè, cacao, cotone, frutta tropicale...).
    I contadini espropriati dipendono dal denaro per l’acquisto di cibo e se non hanno fonti di reddito, situazione tutt’altro che insolita, non serve a nulla raddoppiare la produzione mondiale di cibo. Anziché risolvere il problema della fame, le biotecnologie agricole contribuiranno a consolidare quel sistema economico e produttivo che sta alla base del problema.

    Animali e chimere

    Le biotecnologie trovano numerose applicazioni anche sul mondo animale. Basti pensare a tutte le polemiche sulla clonazione, oppure alla produzione di cavie su misura, manipolate per sviluppare determinate malattie, o alla produzione di organi per trapianti umani. Naturalmente non sfugge il settore alimentare, cioè gli animali da allevamento. Spesso la manipolazione genetica in questo campo ha lo scopo di accelerare e aumentare la crescita. Conseguenza di questi interventi sono enormi sofferenze per questi animali deformi i cui organismi non rispondono più all’evoluzione raggiunta in millenni di storia. Ma i rischi, come è facile immaginare, riguardano anche il consumatore che si troverà ad ingerire carne geneticamente manipolata.

    Un partita aperta

    Rispetto agli OGM i consumatori europei si sono mostrati più attenti che su altre questioni, dando vita ad un importante movimento di opposizione. Questo ne ha rallentato la diffusione e ha favorito l’introduzione di alcune norme, ma la battaglia è tutt’altro che vinta. Le lobby delle multinazionali continuano il loro lavorio sotterraneo e i cittadini non si possono permettere distrazioni.

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