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    25 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Biodiversità, ricchezza dei popoli

    Il termine biodiversità è stato inventato da Walter G. Rosen nel 1985 e sta ad indicare la varietà delle forme di vita esistenti, considerando sia la diversità tra le specie, sia le differenze genetiche all'interno di una stessa specie, e anche le interazioni che avvengono tra queste diversità.
    La diversità genetica riveste una grande importanza soprattutto in presenza di fattori patogeni: è grazie alla biodiversità se batteri o virus riescono ad infettare solo una parte della popolazione. Annullandola o riducendola un singolo agente patogeno potrebbe sterminare un'intera specie.
    La storia ci offre numerosi casi che stanno ad indicare l’importanza di questo valore. Un esempio significativo riguarda la carestia che si verificò in Irlanda nel XIX secolo: la patata, importata dal Nuovo Mondo, era in breve tempo diventata un alimento base degli irlandesi, soprattutto dei più poveri. Ma di questi tuberi venivano coltivate pochissime varietà che si rivelarono particolarmente vulnerabili ad un morbo che comparse nel 1845 e resistette per 5 anni. Solo quando i ricercatori trovarono nelle Ande una nuova varietà di patate resistente alla malattia fu possibile riprendere la coltivazione, ma nel frattempo era morto più di un milione di persone e tante altre erano state costrette ad emigrare in Nord America.
    Pochi anni dopo in Brasile andò distrutta metà dell’intero raccolto di caffè, basato su un’unica varietà importata dall’Indonesia. Agli inizi degli anni ’70 negli USA una malattia distrusse, per lo stesso motivo, gran parte del raccolto di mais. In Danimarca invece si è recentemente constatato che un quinto delle mucche del paese soffrivano di malattie cardiache: tutte le mucche danesi discendono da soli 5 tori, uno dei quali era ammalato al cuore.
    La biodiversità rappresenta una delle principali ricchezze dell’umanità, e si tratta, in gran parte, di una ricchezza ancora da esplorare. I vari organismi viventi presenti sulla terra possono racchiudere innumerevoli caratteristiche utili (gran parte dei farmaci che attualmente utilizziamo sono frutto della biodiversità). Ogni volta che una specie si estingue perdiamo irrimediabilmente una parte importante di possibilità.
    L’uomo occidentale e il modello socio-economico di cui è portatore sottovalutano questa ricchezza in quanto non traducibile in guadagno monetario immediato. Così avviene che ogni anno si estinguono quasi 30.000 specie viventi. La FAO stima una perdita di circa il 75% delle varietà agricole presenti all’inizio del ‘900.
    Una delle principali cause di perdita di biodiversità è proprio l’introduzione di specie estranee all’ambiente. La natura vive e si evolve nel quadro di equilibri molto complessi, all’interno dei quali i vari elementi si “controllano” a vicenda: introdurre elementi estranei all’ambiente significa modificare questi equilibri con conseguenze anche molto gravi. Diffondere una specie in un ambiente “troppo” favorevole, in cui non esistono agenti che ne regolano lo sviluppo, consente a questa specie di diffondersi senza limiti mettendo in pericolo l’ecosistema.
    L’agricoltura industriale, basata sulle monocolture, ha enormi responsabilità rispetto alla perdita di biodiversità. Su gran parte dei terreni agricoli in tutto il mondo, la moltitudine di varietà coltivate sono state sostituite da un ridotto numero di specie adatte alla produzione industriale per renderne più semplice la trasformazione. Molte varietà sono sparite dai cataloghi delle industrie sementiere e non si trovano più nemmeno nelle cosiddette “banche dei semi” create per conservare il patrimonio genetico: una sorta di museo dell’assurdo.
    10.000 anni fa la popolazione umana si nutriva di 5.000 diverse specie di piante. Fino a poco tempo fa, in Europa, se ne coltivavano diffusamente circa 2000. Oggi l’alimentazione si basa su 150 piante, e all’interno di queste varietà il 50% è rappresentato da tre specie (grano, riso e mais), mentre prodotti come farro, miglio, grano saraceno, orzo, avena, quinoa, cicerchia, carrube, semi di girasole, semi di zucca e sesamo, ottimi per sapore e valore nutritivo, rappresentano una fetta di consumi molto ridotta. Tutta la soia piantata negli USA (cioè il 75% della produzione mondiale) deriva da sole 6 varietà originarie. Nello stesso paese, in 80 anni si è estinto il 97% delle varietà dei vegetali coltivati, l’86% delle varietà di mela e l’87% delle varietà di pera. In India, fino a pochi decenni fa, si coltivavano 30.000 varietà di riso, oggi 10 sole varietà coprono il 75% della produzione.
    Altre cause della perdita di biodiversità sono la deforestazione (circa metà delle specie viventi popolano le foreste pluviali tropicali), il prelievo di risorse, il commercio di specie in via di estinzione, la desertificazione, l'inquinamento delle acque e della catena alimentare.

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