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    Italia: il paese con gli ammortizzatori sociali peggiori d’Europa?

    Rapporto Ue: lavoratori a rischio povertà più numerosi della media europea. Manca il reddito minimo garantito. E le nostre misure sono utili solo nel 17% dei casi.
    5 ottobre 2009 - Luisa Grion – Giorgio Lonardi
    Fonte: Da Repubblica, mercoledì 30 settembre 2009

    Rapporto Ue: lavoratori a rischio povertà più numerosi della media europea. Manca il reddito minimo garantito. E le nostre misure sono utili solo nel 17% dei casi.

    Avere un lavoro può non bastare, la povertà avanza – in Italia più che in Europa – e i sistemi di protezione messi in atto per aiutare le famiglie hanno un impatto troppo basso per contrastare davvero la crisi. Il periodo è duro per tutti, ma per l’Italia un po’ più che negli altri Paesi Ue. Lo testimonia un rapporto della Commissione europea («Crescita, lavoro e progresso sociale») che, per la prima volta, analizza l’impatto che la crescita economica dovrebbe avere sulla povertà. I dati sono del 2007, ma – sottolinea la Direzione Affari sociali Ue – del tutto attuali, perché «il trend è stabile da anni» e al generale aumento del tenore di vita è corrisposto «un parallelo aumento delle diseguaglianze».

     

    Sta di fatto che il rischio indigenza, in Italia, coinvolge il 20% della popolazione, contro una media Ue ferma al 17. La povertà e strettamente legata alla mancata occupazione, ma avere un posto non sempre basta, visto che il 10% dei lavoratori è povero (l’8 nella media Ue), vive al di sotto di un livello considerato dignitoso e non può nemmeno contare su una discreta capacità di sostegno da parte degli ammortizzatori.

    I precari sono più colpiti rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato (il rischio povertà passa al 19% contro il 13% europeo), ma la protezione sociale è insufficiente per tutti. Non tanto per la entità dei capitali investiti (26,6% del Pil, in linea con la media europea) quanto per gli effetti prodotti. Da noi le misure studiate per alleviare il rischio indigenza producono buoni effetti solo nel 17%o dei casi, contro una media europea di successi del 38% (in Svezia addirittura del 60, in Francia al 50%). Il problema, secondo lo studio, è che «in Italia non c’è il reddito minimo, che è un mezzo molto importante per combattere la povertà».

    Il guaio, spiega lo studio della Commissione Ue, è che non si profila all’orizzonte alcuna inversione di tendenza. Anzi il problema, già evidente, può vedere nell’attuale crisi un moltiplicatore di effetti.

    I dati sull’occupazione che arrivano dall’industria italiana, non sono – a questo proposito – affatto confortanti, anche nei settori ad alta tecnologia. «Nel 2009 l’Italia perderà 20 mila posti. Si tratta soprattutto di tecnici e ingegneri. Se questa gente resta fuori dal mondo del lavoro per più di 12 mesi, rischiamo di perderla per sempre perché il ritmo dell’innovazione è frenetico», ha detto Paolo Angelucci, presidente di Assinform, lanciando il grido d’allarme per il crollo del 9% («il peggiore dal ‘91») subìto dalla domanda nel primo semestre del 2009. E un avvertimento a mantenere alta la tensione nonostante le prime avvisaglie di ripresa arriva anche dalla Confindustria: un’indagine del Centro studi segnala che in agosto c’è stato un rimbalzo della produzione industriale (più 6,7 su luglio), ma a settembre – rispetto al mese precedente – vi è stata una nuova flessione del 3,3%. «Stiamo uscendo dalla recessione – conclude il rapporto – ma i livelli di attività sono ancora molto depressi».

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