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    Beni comuni

    25 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Montagne di rifiuti

    In natura non esistono rifiuti perché tutto ha la sua funzione e rientra in un ciclo progressivo che valorizza ogni cosa. Il leone uccide l’antilope e ne mangia una parte, poi arrivano gli animali più piccoli a ripulirne la carcassa, quindi entrano in azione insetti che si nutrono dei rimasugli più piccoli, e successivamente è il turno dei microrganismi. Sparendo, l’antilope rientra nel circolo della vita.
    Per gran parte della sua storia l’essere umano ha fatto parte di questo ciclo naturale senza sconvolgerne l’armonia e anche per lui, fino a poco tempo fa, il concetto di rifiuto praticamente non esisteva: carta o legno servivano per il riscaldamento; bottiglie e barattoli di vetro venivano lavati e riusati per vino, conserve, marmellate; un tegame rotto diventava un recipiente per il cibo degli animali o per piantare il prezzemolo; gli avanzi del cibo si destinavano a polli o ad altri animali e così via. Conservare gli oggetti e dar loro diversi utilizzi era una qualità dell’intelligenza che stiamo perdendo.
    Il rifiuto come problema è figlio della società dei consumi. Le merci hanno perso valore e il loro ciclo di vita si è accorciato in maniera vertiginosa. Alcuni prodotti industriali nascono per assolvere la loro funzione nel giro di poche ore ed essere subito destinati alla pattumiera. Una gamma sempre maggiore di beni durevoli, che il consumatore acquistava una volta e usava per lungo tempo, è stata sostituita da marci “monouso”. “Usa e getta” è un espressione che, oltre ad indicare una categoria di prodotti, sintetizza in maniera preoccupate una caratteristica della nostra società, dove non solo i beni, ma anche aspetti più legati alla nostra dimensione umana (sentimenti, relazioni ecc.) perdono il loro “valore” e tendono ad esaurirsi in tempi sempre più brevi.
    I prodotti “usa e getta” hanno una grossa responsabilità nell’invasione dei rifiuti. Se una volta si acquistava un rasoio di ferro al quale bastava affilare la lama, ora troviamo quasi esclusivamente rasoi in plastica che vanno buttati dopo averli usati poche volte; gli accendini di plastica hanno sostituito quelli ricaricabili, i fazzoletti di carta quelli di stoffa, e l’elenco potrebbe proseguire per pagine. Esaltandone l’economicità, la comodità, l’igiene e qualità simili, la pubblicità ci ha convinti in breve tempo ad acquistare questi oggetti senza pensare alle montagne di rifiuti che nel frattempo si andavano ammassando alla periferia delle nostre città, o delle risorse che andavano sprecate nella produzione.
    I rifiuti sono un fattore di inquinamento ambientale e non sappiamo più dove metterli, ma i politici tendono spesso a sottovalutare il problema, finché non arrivano le cosiddette “emergenze”, spesso dovute all’esaurimento di una discarica. Questo atteggiamento, in fondo, rispecchia la percezione di noi cittadini, da troppo tempo abituati a buttare nella pattumiera enormi quantità di materiali senza pensarci troppo su.

    Rifiuti domestici

    I rifiuti domestici vengono chiamati “Rifiuti Solidi Urbani” (RSU) e comprendono anche rifiuti pericolosi come farmaci, pile, oli esausti, prodotti chimici e altri, che andrebbero smaltiti secondo particolari accorgimenti, ma spesso, per ignoranza o pigrizia, vengono buttati nei cassonetti con tutto il resto.
    In Italia, ogni anno, si producono 30 milioni di tonnellate di rifiuti domestici, mentre nel 1979 se ne producevano 13 (meno della metà). La produzione pro capite è passata, in 25 anni, da 6 etti e mezzo al giorno a quasi un Kg e mezzo. Nelle Marche produciamo 532 kg di rifiuti urbani a testa ogni anno, cioè 1 chilo e 457 grammi al giorno. Gran parte di questo aumento riguarda carta, cartoni e plastica e dipende dalla diffusione dei prodotti usa e getta e dalle politiche aziendali che hanno invaso il mercato di imballaggi a perdere di ogni tipo. Questi imballaggi spesso non hanno alcuna utilità pratica, ma solo estetica e pubblicitaria. A volte sono le stesse leggi sanitarie, con una esagerata propensione igienista, ad imporre involucri su involucri. D’altra parte, i ritmi e le abitudini di vita moderni hanno sensibilmente ridotto il tempo per la preparazione dei cibi o altri compiti domestici, accrescendo la nostra dipendenza da supermercati e prodotti preconfezionati, incartati, inscatolati, imbustati e racchiusi in vassoietti di polistirolo. Nel giro di poche ore tutti questi contenitori servono solo a riempire il nostro bidone della spazzatura.
    La diffusione dei supermercati ha sempre più ridotto il commercio di prodotti freschi, locali, stagionali e sfusi, sostituiti da merci provenienti da grandi distanze, fuori stagione, conservate e impacchettate. Le indagini sociologiche hanno rilevato l’aumento dei “singol” e sono arrivate le confezioni “monodose”, anche se realizzare 4 pacchetti di pasta da 250 grammi richiede una quantità molto maggiore di materiale da imballaggio rispetto ad un pacco da 1 kg.

    Rifiuti industriali

    Una quantità enorme di rifiuti proviene dalle industrie, oltre 48 milioni di tonnellate all’anno, di cui 3.811.000 tonnellate classificati come pericolosi. In alcuni casi questi rifiuti vengono recuperati o riciclati per nuove produzioni, ma su questo versante c’è ancora tanto da fare.
    Enormi quantità di rifiuti tossici immagazzinati non hanno ancora un adeguato sistema di smaltimento e di frequente emergono casi di smaltimenti abusivi in fiumi, mari o terreni non sorvegliati, che producono danni enormi all’ambiente e alla salute umana.
    Un fenomeno drammatico è l’esportazione di scorie pericolose nei paesi del sud del mondo che spesso non dispongono delle tecnologie necessarie a trattarli, mettendo a rischio la salute degli abitanti. Si tratta non di rado di esportazioni clandestine controllate dalla criminalità organizzata. Politici corrotti di paesi poveri cedono vasti terreni da adibire a discariche per rifiuti tossici a fronte di lauti compensi o altre promesse. Questo sistema fa risparmiare consistenti somme alle imprese, arricchisce la malavita, qualche funzionario e politico, lasciando le briciole economiche e un carico di veleno alla popolazioni locali.
    La delocalizzazione delle unità produttive nei paesi del sud del mondo non è che un modo diverso e più sofisticato per scaricare rifiuti ed inquinamento industriale occidentale su altre popolazioni.

    Rifiuti nucleari

    Sono scorie nucleari sia il materiale fissile usato nella fusione delle centrali elettriche che tutte le parti dell’impianto e delle attrezzature che vengono in contatto con esso. Si tratta di grandi quantità di materiale che impiega centinaia di anni a perdere la propria radioattività. Rifiuti radioattivi sono anche certe armi e impianti militari, attrezzature ospedaliere di radiologia e radioterapia e alcuni impianti di sperimentazione scientifica.
    In pratica non esiste un sistema valido per smaltire le scorie nucleari che restano ammassate in luoghi specifici con gravi rischi per le popolazioni circostanti.

    Sistemi di smaltimento

    Una volta finiti nel cassonetto i rifiuti affrontano spesso un lungo viaggio e la loro destinazione può essere diversa.
    La maggior parte finisce in discarica o in un inceneritore e solo una piccola frazione viene recuperata (riciclaggio o compostaggio). La discarica è la forma di smaltimento più antica e comune. La realizzazione richiede accorgimenti precisi, ma sono ancora troppe quelle fuori norma.
    In discarica si producono liquami altamente inquinanti (percolato) che dovrebbero essere convogliati in alcuni pozzetti da cui possano essere prelevati e trasportati in impianti di trattamento appositi. Altro sottoprodotto della discarica sono i gas (anidride carbonica, metano e altri gas spesso molto tossici). Questi sono la causa dei cattivi odori e possono incendiarsi spontaneamente provocando esplosioni, per questo, man mano che la discarica cresce, occorre inserire delle tubazioni attraverso cui il gas arriva ad una torcia dove brucia a cielo aperto. In alcuni rari casi viene trattato ed immesso nella rete metanifera come combustibile.
    Altro problema delle discariche sono gli animali che la infestano (topi, insetti, parassiti). Per combatterli si utilizzano potenti veleni che peggiorano ulteriormente la qualità del percolato.
    Una volta esaurita la discarica si ricopre con teli impermeabili ed uno strato di terra. I teli sul fondo e nella parte superiore sono saldati tra loro, il che rallenta i processi di gassificazione e mineralizzazione dei rifiuti lasciando praticamente intatte per moltissimi anni le sostanze sepolte in discarica.
    Chiusa una discarica se ne deve aprire un’altra, creando un nuovo rischio di inquinare le acque, attirare animali indesiderati, produrre gas tossici e maleodoranti e sottraendo una vasta fetta di territorio alle funzioni sociali presenti e future.
    Gli inceneritori sono venuti alla ribalta negli anni ’70 e ancora oggi molti li indicano come soluzione ottimale del problema. In realtà sono numerose le controindicazioni, spesso sottovalutate. Il ministro dell’ambiente dell’Ontario (Canada), alcuni anni fa, mettendo al bando gli inceneritori su tutto il territorio da lui governato, ha dichiarato: “L’inceneritore è come un gioco di prestigio ambientale, che dà l’illusione di far sparire i rifiuti... La popolazione dell’Ontario ha bisogno di soluzioni, non di illusioni.”
    La prima controindicazione è l’inquinamento. Gli inceneritori emettono, oltre a vapore acqueo, anche anidride carbonica (gas serra), ossidi di azoto e di zolfo (responsabili delle piogge acide), 28 tipi differenti di metalli pesanti (cadmio, piombo, mercurio ecc.) e sostanze clorurate tra cui la pericolosissima diossina, per metà attribuibile alla presenza delle bottiglie di plastica. Queste sostanze dannose mettono a rischio la salute delle popolazioni che vivono nei pressi di un inceneritore di rifiuti e degli operai che ci lavorano.
    Gli inceneritori più moderni prevedono dispositivi e filtri per l’abbattimento di questi fumi, ma producono a loro volta rifiuti: filtri e ceneri contengono un’alta quantità di sostanze pericolose e devono essere trattati e smaltiti con accorgimenti complicati, inquinanti e costosi, alzando ancora di più i costi ambientali e di gestione dell’impianto. I costi di gestione, elevatissimi, sono un’altra controindicazione. A fronte di enormi investimenti si creano pochissimi posti di lavoro.
    I paladini dell’incenerimento affermano che questi impianti riducono del 90% i rifiuti. Ma questa percentuale si riferisce alla parte di rifiuti che entra nel bruciatore, da cui sono già state tolte frazioni importanti come metalli e vetro. Calcoli più realistici danno una percentuale di riduzione tra il 60 e il 70%, percentuale raggiungibile anche con una buona raccolta differenziata. Gli inceneritori sono grandi nemici della raccolta differenziata perché, se si tolgono frazioni come carta e plastica si abbassa troppo il potere calorifero rendendo necessaria l’aggiunta di combustibile, alzando i costi e il livello di assurdità del sistema.
    Per promuovere gli inceneritori spesso si fa leva sulla produzione energetica. In realtà l’energia recuperata incenerendo i rifiuti è molto inferiore rispetto a quella che si risparmierebbe riciclandoli come materia prima, mediamente un terzo. Risparmiare energia è molto più intelligente che produrne di nuova. Va anche aggiunto che il mercato dell’energia prodotta con i rifiuti è drogato da sovvenzioni ed incentivi.
    La raccolta differenziata per il riciclaggio è indubbiamente un sistema più sostenibile di gestione dei rifiuti. Riciclare significa trasformare una rifiuto, per definizione cosa inutile, nociva, fastidiosa, in una risorsa, ossia una cosa utile e preziosa.
    Da un lato riduciamo la quantità di rifiuti smaltiti con metodi dannosi e dall’altra riduciamo il prelievo di risorse. A questo si aggiunga che produrre un bene a partire da “materie seconde” (rifiuti) è spesso più economico e richiede meno energia che partendo da materie prime vergini.

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