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    Per una nuova economia umana

    L'articolo avanza alcune tesi fondamentali a favore di una nuova economia umana che sappia coniugare libertà e giustizia nella reciproca complementarietà della persona e della comunità e alla luce del paradigma dell'integrazione.
    10 ottobre 2009 - Giorgio Rivolta

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    L'articolo avanza alcune tesi fondamentali a favore di una nuova economia umana che sappia coniugare libertà e giustizia nella reciproca complementarietà della persona e della comunità e alla luce del paradigma dell'integrazione.

    Prima Parte  logo fabbrica filosofica

    L'ingiustizia sociale e il ricatto della sopravvivenza

    E' ormai evidente a molti che l'attuale sistema economico mondiale, segnato da questa ulteriore fase di globalizzazione della ricerca, della comunicazione, della finanza, degli scambi e dei processi produttivi, stia diventando sempre più fine a se stesso in quanto sistema che veicola e generalizza prevalentemente imperativi funzionali alla massimizzazione della grandezza monetaria. Forse lo è già.
    Insomma, aver bisogno di denaro, sognare di averne e soprattutto "fare denaro" è una delle preoccupazioni e delle occupazioni principali della vita di quasi tutti noi. E non senza motivi obiettivi, dati dalla sempre più precaria condizione economica tanto di chi non lavora (disoccupati, inoccupati, sottoccupati) quanto di chi lavora, soprattutto se alle dipendenze altrui. I cosiddetti poteri forti, quelli della finanza-industria nazionale e mondiale, hanno già da tempo fatto della potenza economico-finanziaria il fine intrinseco della loro stessa esistenza e si sono costruiti i loro sistemi di rendita e di controllo-collusione coi poteri politici che, almeno finora, hanno di buon grado accettato di raccogliere le "briciole" alla stessa mensa.
    Le aspettative maturate negli anni sessanta del secolo scorso circa la riduzione della povertà e una migliore distribuzione della ricchezza sul pianeta sono andate deluse e l'ultimo Rapporto della Commissione per lo sviluppo umano dell'ONU (2005) presenta una situazione che continua a essere caratterizzata da forti ineguaglianze: il 20% più ricco della popolazione mondiale detiene oltre il 75% del reddito globale mentre il restante 80% è costretto a spartirsi, peraltro in modo altrettanto iniquo, il restante 25%. Infatti, il 20% più povero dispone soltanto dell' 1,5% del reddito globale. E anche nei paesi avanzati, Stati Uniti in testa, il differenziale ricchezza-povertà tende a crescere. Le tendenze europee vanno nella stessa direzione di quelle degli Stati Uniti; si calcolano più di 50 milioni di poveri e i tre quinti della popolazione europea tirano avanti nella continua incertezza del proprio futuro.
    E' ormai universalmente riconosciuto che la profonda ingiustizia nella distribuzione della ricchezza è il nodo storico principale che questo, ormai unico, sistema economico planetario deve affrontare e risolvere per consentire all'umanità di compiere davvero il salto epocale dal ricatto della necessità al progetto della libertà (che, per analogia, richiede la libertà del progetto). E' inutile, peraltro, pontificare sulle magnifiche sorti progressive della civiltà tecnologica, che dovrebbe affrancarci dalla fatica del lavoro alienante e ripetitivo e liberare il potenziale creativo-espressivo di tutti gli uomini, se la condizione reale della maggioranza di essi è ancora il ricatto della sopravvivenza e lo stress del mantenimento.

    La mistica del denaro e l'autofinalizzazione dell'economia

    La progressiva finanziarizzazione dell'economia, oltre ad accrescere il divario tra spinta speculativa ed economia reale, ovviamente a sfavore della seconda, favorisce inoltre la diffusione capillare del più grande fenomeno di alienazione che l'umanità abbia mai conosciuto: la religione del dio denaro.
    Oggi gli uomini tendono ad attribuire al denaro una potenza sacrale che travalica ogni consapevolezza razionale circa il suo valore e la sua effettiva funzione. Nel momento stesso in cui si è disposti a relativizzare il denaro ("non fa la felicità", si dice) si è altrettanto inconsciamente e magicamente sedotti dalla sua potenza mitica che simbolicamente evoca il riscatto dalla finitezza e dal limite (lo spettro della miseria). E' la paura del limite, l'angoscia della morte ad eleggere il denaro imperatore della vita.

    "Tutto il male che facciamo è per salvarci dai nostri limiti e dal limite assoluto, che è poi la morte. Ciò è delicato e difficile da cogliere perché tocca quel livello umano più profondo che è appunto la coscienza della morte, che noi tutti abbiamo come fine di tutto, come fallimento, solitudine, abbandono, addirittura abbandono di Dio perché Dio è la Vita. Sapere invece che c'è comunque un amore più grande di ogni morte e più grande di ogni male non mi fa temere la morte, non mi fa temere il limite. E allora la mia vita non sarà mossa dalla paura del limite, che poi incontro comunque, ma dal fatto che al mio limite incontro Lui, che è comunione e vita. Non avrò bisogno di usare come criterio della mia vita il salvarmi a tutti i costi perché ho sperimentato che c'è uno che sta vicino a me e che, quindi, anche il mio limite non è la fine di tutto, non è il fallimento. E' la vicinanza con la Vita. Solo così posso vivere una vita libera dalla paura della morte, una vita che non vuole salvar se stessa. Posso vivere finalmente una vita nuova nell'amore. Ma fino a quando non ho capito che nel mio limite c'è uno che mi è vicino, e non uno qualunque, ma addirittura Dio nella mia stessa pena, allora chiaramente devo salvarmi dal mio limite." (Padre Silvano Fausti, Commento al Vangelo di Luca 23, 32-48, 1995)

    Il Cristianesimo ci insegna che l'uomo può trovare risposta definitiva alla paura della morte solo nella comunione con Dio, e questo sembrerebbe valere sul piano metastorico solo per chi ha fede. Ma anche sul piano storico ci offre una precisa indicazione etica e metodologica per attenuare la paura del limite, riflesso di quella più profonda della morte, che può valere per tutti, credenti e non credenti: condividere il limite con il fratello, cioè spezzare il pane con lui e vivere nella giustizia per affrontare con serenità il futuro.
    Perché libertà, verità, onestà, fiducia, giustizia, lealtà, amore non dipendono, sia nella loro genesi sia nel loro compimento, dal motivo-obiettivo denaro? Perché sono esperienze e motivi di vita che hanno il loro fine in sé, mentre il denaro ha un senso plausibile solo e soltanto se resta mezzo.
    E' quindi indispensabile uscire dalle secche dell'autoreferenzialità del sistema economico, dalla posizione ideologica economicistica che continua a vedere il problema economico dall'interno della sua attuale chiave di lettura e autocomprensione, cioè del denaro come simbolo della trascendenza e dell'onnipotenza e quindi come fine in sé da riprodursi all'infinito. Il rapporto tra il denaro e il divino è più stretto di quanto si sia soliti pensare. L'espressione "dio denaro" non è affatto casuale. Attraverso la massimizzazione del denaro l'uomo pretende di trascendere la propria finitezza ontologica ed elevando il mezzo a fine finisce per deificare il mezzo e strumentalizzare Dio. Non lo riconosce più come origine-fine del tutto e perciò lo riduce a semplice "oggetto" di culto. Sostituendo il denaro a Dio l'uomo contemporaneo adora il "dio denaro", simbolo di onnipotenza, di superamento del limite e della morte.
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    "Economia umana" per il benessere personale e comune

    La riflessione filosofica, in quanto pensiero progettuale sorgente dalle pratiche di vita, soprattutto dai contesti processuali di crisi, mantiene sempre viva la fiaccola della "riserva critica" nei confronti di qualsiasi realtà e quindi anche di ogni assetto socio-economico esistente (e del suo omogeneo "modo di vita"). Questa immanente attitudine progettuale della filosofia apre orizzonti inediti per pensare, prima, e realizzare, poi, un'economia umana in cui sia possibile sperimentare un nuovo ordine fini-mezzi. E' auspicabile un lavoro cooperativo tra economisti e filosofi per evitare che i primi vengano soffocati dal circolo vizioso del calcolo dei mezzi senza riferimento alle qualità dei fini e i secondi restino in continua contemplazione estetico-statica dei fini senza adoperarsi per realizzarli storicamente nel loro nesso coi mezzi.

    Il termine "economia umana" fu coniato dal gruppo francese di "Economie et Humanisme" che faceva capo a padre Joseph Lebret e aveva la sua sede in Francia a La Tourette, un centro domenicano. (L. Bazzoli, 1981, pp. 105-109)
    Il nodo storico-filosofico da sciogliere per la nascita di una nuova economia umana riguarda il rapporto tra finito e infinito. In positivo, si tratta di pensare e agire un'autentica dialettica della libertà che non assolutizzi il finito (il mezzo) per oggettivare l'infinito (il fine), ma, al contrario, e senza mai pretendere di de-finirlo, possederlo o esaurirlo, esprima creativamente l'infinito nel continuo rinnovarsi e completarsi di scelte, azioni e realizzazioni finite.

    "L'azione umana è finita in quanto delimitata dalla sintesi che le dà forma in un tempo storico determinato, ma è infinita in relazione al fine di pienezza dell'uomo; si che la delimitazione della forma storica non esaurisce quell'infinità, che può essere ripresa e riattivata ad un livello più alto ed avanzato che non la forma in cui si è attuata grazie ad una nuova azione che la comprenda come complementare a sé, arricchendosene e potenziandosene". (I. Martinazzi, Alfa Tape, p. 6)

    Solo svolgendo positivamente e dialetticamente questo rapporto saremo in grado di sottrarre alla religione del denaro il suo potenziale di alienazione e di restituire all'economia il suo autentico spirito umano.
    La questione economica, dicevamo, non può più essere affrontata e risolta all'interno della sua attuale logica di assolutizzazione dei mezzi, logica che non consente la ricerca di altro fine che non sia il mezzo divenuto fine a se stesso. L'economia potrà concepirsi umana solo se l'uomo imparerà a riconoscere e legittimare la diversità dei fini oltre la logica economicistica e riduzionistica della trasformazione del mezzo in fine. Detto in altri termini, l'economia, o meglio, l'agire economico, così come oggi lo conosciamo (agire strategico finalizzato al successo ovvero, nello specifico, calcolo razionale per la massimizzazione della grandezza monetaria, dato un contesto d'azione di più attori in concorrenza tra di loro), dovrà, per divenire autenticamente umano, riconoscere alla morale, alla cultura, alla politica e al diritto le loro eminenti e insostituibili funzioni di espressione dei fini, elaborazione delle idee, comunicazione dei progetti e ordinamento dei rapporti, per poi, allora sì, assumerne in proprio il loro svolgimento trasformativo e realizzativo. Solo così sarà possibile superare l'autofinalizzazione dell'economia, con la contestuale assolutizzazione dei mezzi, e la conseguente "colonizzazione" delle altre sfere della vita da parte dell'imperativo funzionale del denaro.

    Una teoria sistemica integrativa

    In proposito vorrei svolgere alcune considerazioni di carattere volutamente astratto, che ritengo utili per ragionare, in generale, intorno al rapporto tra economia e società nella prospettiva del progetto di economia umana. L'approccio è filosofico e quindi intenzionalmente diverso da quello delle discipline della cosiddetta scienza economica (dalla teoria economica alla politica economica tradizionalmente intese). Lo sfondo ambientale di questi ragionamenti è costituito dalla società globale ad elevata complessità infra e intersistemica e ad alto contenuto tecnologico.

    Propongo le seguenti tre tesi fondamentali:
    1) L'essere umano inteso come struttura di personalità e la società intesa come organizzazione sociale complessa sono rappresentabili nel linguaggio sistemico come sistemi di sottosistemi e di relazioni tra loro equivalenti e corrispondenti, anche se non eguali e coincidenti. In via del tutto parziale e provvisoria possiamo assumere l'ipotesi che alla "personalità morale" di ciascun individuo possa corrispondere una "forma sociale etica", che alla "personalità cognitiva" possa corrispondere una "forma sociale culturale", alla "personalità comunicativa" una "forma sociale politica", alla "personalità fisica" una "forma sociale economica" e alla "personalità razionale" una "forma sociale giuridica". Ad ogni tipo di personalità corrisponderebbe, senza perciò coincidere, una forma sociale di organizzazione della vita. Questa, se così si può dire, prolunga in termini riflessivi e di differenziazione funzionale e organizzativa ciò che a livello di struttura di personalità si sviluppa per vocazione e progettualità volontaria.

    2) Ogni sottosistema del sistema di personalità e del sistema di organizzazione sociale è al contempo funzione poietica di sé stesso e funzione relazionale degli altri sottosistemi e del sistema-ambiente preso nella sua interezza e globalità.

    3) La pretesa di ciascun sottosistema di fissarsi in centralità assoluta o relativa, con soverchiante primato genetico o causale rispetto alla complessità sistemica e quindi all'interazione dinamica e ricorsiva tra sottosistemi e tra questi e l'ambiente, porta con sé il germe dello squilibrio antropo-sociale e quindi della distruzione dello stesso eco-sistema, perché in questo modo esclude o marginalizza quelle polarità e funzionalità rilevanti che non si lasciano esprimere nella forma di valore di un solo sottosistema, nel nostro caso in forma di valore economico.

    Certo, non serve a nulla adottare il principio di regolabilità del mercato per via politica se il sottosistema politico-statale (quello delle attuali democrazie occidentali) assume la stessa logica del sottosistema economico, cioè, nel suo caso, la logica dell'accumulazione strategico-funzionale del "media" potere per la soluzione di conflitti interni connessi al mantenimento e alla riproduzione della struttura di comando in quanto tale. Come è possibile, infatti, regolare il mercato per via politica, riuscirvi veramente, senza operare un costante mantenimento del processo di democratizzazione? Processo che richiede la libera e sempre nuova formazione comune di opinione e volontà politica attraverso la rivitalizzazione dei luoghi della comunicazione e della progettualità personale, interpersonale e civile ?
    Regolare il mercato è possibile a condizione che le logiche di regolazione non siano le stesse dell'oggetto da regolare (puro agire strategico orientato al successo di più parti in competizione tra loro). E' necessaria una forma della politica che non burocratizzi e inaridisca l'iniziativa personale (degenerando in forme di assistenzialismo clientelare e di statalismo parassitario), ma punti alla valorizzazione dei progetti e alla loro comunicazione (questo è il compito nobile della politica) senza sottrarre al campo economico la sua specifica funzione di trasformazione e realizzazione del progetto in impresa.
    Sul versante culturale, il modello del mercato, attraverso la generalizzazione della funzione commercio-vendita in vista della massimizzazione della grandezza monetaria, è sempre più pervasivo e tende a colonizzare gli altri sottosistemi e a prosciugare la loro autonomia logica e organizzativa. Urge perciò investire nella direzione di una straordinaria azione filosofica e culturale che recuperi, attraverso scelte concrete di antifunzionalismo mercantile, il valore proprio e l'autonomia di ogni singola sfera dell'agire umano. Infatti, per motivi antropologico-filosofici più che per ragioni ideali o morali, l'autonomia, la specificità e la funzionalità di ogni singola qualità dell'azione e di ogni sottosistema sociale non può essere soddisfatta se non nell'unica e originaria forma propria di valorizzazione (inalienabile e irriducibile), quella che raggiunge al meglio, per potenza e modalità intrinseche, il fine specifico dettato dalla sua stessa identità.
    Il sottosistema politico dovrebbe perciò reinventare o ritrovare i canali di comunicazione con i settori differenziati dei sottosistemi "etico-morale", "cognitivo-culturale" e "giuridico-razionale" per operare la mutazione genetica necessaria al processo di pluralizzazione della vita contemporanea e al compimento della democrazia come forma storicamente avanzata di integrazione umana e sociale.

    In questo quadro, che potremmo definire di teoria sistemica integrativa, il ruolo e la funzione di ciascun sottosistema si alimenta del ruolo e della funzione degli altri sottosistemi per consentire lo sviluppo integrato del sistema nel suo complesso. I nessi logici che presiedono alla relazione tra i sottosistemi non possono quindi "discendere" dal primato causale (ideologico o di potere) di uno dei sottosistemi sugli altri. La deduttività logico-formale non si addice alla logica della complessità umana, che richiede comunicazione, continua ricorsività e riallineamento delle differenti funzioni secondo un modello dinamico e sinergico di utilizzo e sviluppo delle risorse.
    All'interno di una concezione integrata e sistemicamente differenziata dello sviluppo umano, che pone nella reciproca complementarietà di persona e comunità a tutti i livelli il fulcro di una relazionalità non distruttiva, l'economia non può più essere concepita come accumulazione indefinita di capitali e accaparramento di risorse (puro agire strategico finalizzato alla massimizzazione della grandezza monetaria, dato un contesto d'azione di più attori in concorrenza tra di loro), ma dovrà intendersi come :

    "integrazione delle risorse personali, storiche, ambientali, culturali, produttive e finanziarie finalizzate non solo più alla massimizzazione del profitto, ma alla realizzazione ottimale del progetto politico comune e alla promozione di imprese personali e di gruppo". In questo modo,
    "l'economia finalizzata alla realizzazione del progetto politico perderà la connotazione eticamente negativa che ha ogni mezzo e strumento finalizzato a se stesso e la relazione tra politica ed economia potrà rinnovarsi secondo uno schema di carattere generale" che assegna alla politica "la progettazione continua di una qualità di vita sempre più avanzata, finalizzata alla libertà come massimo bene comune", all'economia l'integrazione delle risorse per la realizzazione e storicizzazione dei progetti e al giusto potere il "coordinamento continuo dei rapporti di forza all'interno delle istituzioni dello stato democratico". (E. Baroni, 1995, pp. 8-13)

    Secondo Felice Balbo nella storia dell'umanità "'il lavoro umano non è stato impiegato se non in minima parte come lavoro propriamente umano'. Quasi sempre la forza lavoro umana è stata impiegata come ‘macchina' o come ‘forza motrice' e solo raramente è stato possibile un lavoro umano come ‘lavoro d'ideazione'. Il non aver utilizzato il lavoro umano in quanto ‘lavoro intelligente' ha comportato al singolo e all'universo un tragico danno, una incommensurabile perdita". (L. Bazzoli, 1981, p. 100).
    Nell'attuale civiltà tecnologica, sempre più capace di trasferire alle macchine atti e operazioni ripetitive e seriali e quindi di liberare capacità espressive e creative proprie dell'uomo, non ha più senso intendere il lavoro come "merce" da scambiare sul mercato per rispondere quasi esclusivamente al bisogno-ricatto della sopravvivenza, ma occorre conferirgli il nuovo significato di impresa personale (funzionale alla realizzazione di progetti personali tra di loro interrelati in un progetto comune) integrabile in un' impresa comune.
    Infine, per affrontare efficacemente il problema della distribuzione delle ricchezze, occorre superare l'idea moralistica e assistenzialistica della solidarietà a favore di una nuova concezione che ne valorizzi, oltre al significato morale e sociale, quello economico e politico. La solidarietà può essere concepita e praticata come un importante fattore di sviluppo umano in quanto prezioso strumento di giustizia distributiva fondato sulla reciprocità delle disponibilità ed efficace principio etico funzionale al mantenimento della fiducia verso il futuro. Sapere di poter contare reciprocamente sugli altri in momenti di difficoltà e di crisi, è al contempo un incentivo morale ed economico di primaria importanza per affrontare con forza e volontà il presente senza disperarsi per il futuro.

    Bibliografia

    Padre Silvano Fausti, Commento al Vangelo di Luca 23, 32-48, Incontri spirituali della Rosa Bianca, Milano, aprile 1995.

    L. Bazzoli, Felice Balbo: dal marxismo ad "economia umana", Morcelliana, Brescia, 1981.

    I. Martinazzi, Il mondo dell'alba, Alfa Tape.

    E. Baroni, "Crisi della modernità e cambiamento epocale", in Confronto, n° 1-2, 1995.

     

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