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    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti solidali

    Dieta vegetariana

    Fin dai tempi antichi alcune delle più grandi menti dell’umanità si sono interrogate sull’atto di mangiare carne e hanno scelto un’alimentazione vegetariana. Cresciuti in una cultura che esalta il consumo di carne i vegetariani sono spesso etichettati come fanatici e l’esclusione della carne dalla dieta viene equiparata ad un atto di autolesionismo incosciente. Eppure ci sono tanti buoni motivi per smettere di mangiare carne, o almeno per limitarne il consumo. In Italia i vegetariani sono già centinaia di migliaia.
    Uno dei motivi della scelta vegetariana è la sensibilità alle sofferenze a cui sono sottoposti gli animali. La produzione mondiale annua di carne si aggira sui 200 milioni di tonnellate all’anno. In Italia se ne consumano, in media, 82 kg a testa (lordi). Se trasformiamo le misure di peso in unità scopriamo che gli italiani mangiano ogni anno 625 milioni di animali di terra. I pesci si possono stimare in un miliardo di individui, per un consumo pro capite di circa 27 kg. Anche nel settore ittico si sta diffondendo l’acquicoltura che estende ai pesci le sofferenze patite dagli animali terrestri.
    La seconda ragione ha a che fare con la fame nel mondo e la distribuzione delle risorse. La metà dei cereali e il 75% della soia prodotti nel mondo solo coltivati per nutrire il bestiame da allevamento destinato ai consumatori dei paesi ricchi (indiani e molti africano consumano mediamente 2 kg di carne a testa). I campi adibiti a questo scopo potrebbero essere coltivati ad uso umano con una maggiore produzione di calorie, infatti, per produrre una caloria animale ne servono 10 vegetali.
    Si calcola che se tutti mangiassero carne quanto gli occidentali il pianeta riuscirebbe a sfamare meno della metà dell’attuale popolazione. Mentre se tutti fossimo vegetariani ci sarebbe cibo per 12 miliardi di individui. Anche il supersfruttamento della pesca per i consumi occidentali è in competizione con il sostentamento dei piccoli pescatori poveri, e sempre più allevamenti di gamberetti sulle coste asiatiche stanno sottraendo spazio alle risaie.
    La terza ragione vegetariana è ambientale. Gli allevamenti animali in batteria sono molto dannosi: producono liquami inquinanti per l’acqua, contribuiscono alle piogge acide, consumano grandi quantità di energia (con conseguente effetto serra) e di acqua. Gli allevamenti estensivi sono una delle cause della deforestazione per lasciare spazio ai pascoli a alla coltivazione di mangimi.
    La quarta ragione è di ordine sanitario. E’ ormai risaputo che una dieta ricca di carne è portatrice di numerose patologie, mentre la dieta vegetariana riduce il rischio di problemi cardiovascolari e tumori maligni. Le moderne tecniche di allevamento non fanno che aumentare i rischi, basti pensare alla mucca pazza, a polli e maiali alla diossina, alla carne agli ormoni, ma senza arrivare a questi estremi, gli allevatori somministrano grandi quantità di antibiotici, cortisonici, vaccini, tranquillanti e anabolizzanti che lasciano residui nella carne ed arrivano fino al nostro piatto. A questo si aggiungono i residui chimici presenti nei mangimi.
    I vegetariani (o vegan), oltre che alla carne, rinunciano anche a uova, latte e formaggi perché anche la produzione di questi alimenti passa attraverso gli allevamenti, con tutte le conseguenze di cui si è detto.
    Chi non vuole rinunciare alla carne può comunque decidere di mangiarne meno e di scegliere quella biologica, più salutare, proveniente da animali allevati in condizioni migliori. Lo stesso vale per gli alimenti animali derivati come latte, uova e formaggi.

    I numeri della carne


    1 miliardo e 300 mila: le persone che potrebbero essere nutrite con grano e soia destinati ai bovini.
    20%: la quota di grano coltivata nel mondo per nutrire persone.
    38%: la quota coltivata per nutrire bestiame.
    9 milioni di acri: il terreno destinato alla coltivazione di vegetali, frutta e semi.
    56 milioni di acri: il terreno destinato alla coltivazione del fieno per nutrire gli animali da allevamento.
    260 milioni: acri di foresta distrutta per fare spazio a pascoli.
    40 mila: i bambini che muoiono di fame ogni giorno.
    10 mila: i chili di patate che si ottengono da 1 acro di terra.
    63: i chili di manzo che si ottengono da 1 acro di terra.
    5000: le tonnellate di antibiotici impiegate negli allevamenti europei.
    1000: animali estinti ogni anno a causa della distruzione delle foreste pluviali.
    3 dollari: costo di un chilo di proteine presenti nel frumento.
    31 dollari: costo di un chilo di proteine animali.
    500 mila chili al secondo: produzione di escrementi da parte di tutti gli animali d'allevamento negli Usa.
    120 milioni di chili: i rifiuti tossici prodotti ogni giorno dagli allevamenti di polli negli Usa.
    17 miliardi: i dollari spesi ogni anno per dare da mangiare agli animali nella sola Europa.

    Fonte: http://www.alimentazionesostenibile.org

    Di stagione, locali e biodiversi

    Gli alimenti fuori stagione inquinano: o vengono dall’altra parte della terra inquinando attraverso il viaggio, o sono prodotti da noi con un grosso consumo energetico nelle serre e dosi massicce di pesticidi. A questo si aggiunga che hanno un potere nutritivo inferiore rispetto a frutta e verdura cresciuta e mangiata nella loro stagione naturale.
    I prodotti di stagione

    Primavera: asparagi, fave, legumi, fragole, ciliegie,
    Estate: pomodori, zucchine, cetrioli, insalate, carote, peperoni, legumi, ciliegie, pesche, albicocche, fichi
    Autunno: finocchi, zucca, cavolo, cavolfiore, legumi, uva, fichi, cachi, kiwi, mele, pere, arance; pomodori e peperoni se il clima è favorevole
    Per l’alimentazione fuori stagione ci aiuta la conservazione, come i legumi che, essiccati, possono essere mangiati tutto l’anno; le cipolle e le patate che si conservano in luogo fresco e buio.

    Basare l’alimentazione su prodotti che arrivano da luoghi sempre più lontani è un’altra follia dei nostri tempi. Se alla cassa del supermercato, oltre al conteggio dei prezzi, ci fosse uno strumento che somma i chilometri che ogni prodotto ha alle spella (dato dalla somma dei chilometri dei singoli ingredienti), e se quello scontrino ci fornisse anche il conto di cosa questo significa in termini di costi sociali ed ambientali, avremmo una percezione più chiara di questa assurdità. A volte si tratta di prodotti che vengono coltivati in climi diversi dal nostro, e quindi l’importazione è l’unica via per mangiarli. Altre volte la follia arriva all’estremo perché migliaia di chilometri sono percorsi da prodotti che si coltivano anche vicino a casa, o da prodotti fuori stagione.
    Per questi motivo, e anche per contrapporre l’economia locale alla globalizzazione selvaggia, il cittadino solidale riduce al minimo il consumo di prodotti “esotici” (scegliendo quelli del commercio equo) e predilige prodotti provenienti dal proprio territorio.
    Mangiando possiamo anche contribuire alla salvaguardia della biodiversità. Abbiamo detto che gran parte dell’alimentazione mondiale si basa ormai su pochissime varietà di prodotti mentre fino a poco tempo fa in Europa venivano coltivate circa 2000 specie di vegetali. Significa che stiamo perdendo una grande varietà di sapori e principi nutritivi che invece sarebbe bene riscoprire e recuperare. Pensiamo a farro, miglio, grano saraceno, orzo, avena, cicerchie, carrube, sesamo. Pane e pasta prodotti con cereali alternativi, integrali e macinati a pietra, contengono più vitamine e sali minerali. Utilizzare questi prodotti contribuisce a sostenerne la produzione e quindi salvaguardare la biodiversità, ma significa anche salvare e valorizzare modelli agricoli tradizionali e conoscenze che altrimenti andrebbero perdute, nonché sostenere produttori marginalizzati. Scegliere formaggi di pecora o di capra serve a sostenere la pastorizia in aree altrimenti improduttive.

    Cibo lento

    Studiare il rapporto tra cibo e tempo ci permette di capire alcuni aspetti interessanti (e preoccupati) della nostra società. La carenza di tempo ci rende sempre più dipendenti da piatti precotti, surgelati, liofilizzati, da prodotti semilavorati che limitano al minimo il nostro impegno in cucina. La preparazione del cibo, per gran parte della storia umana, è stato un elemento centrale della cultura, motivo di orgoglio e riconoscimento sociale. Oggi è stato relegato a lavoro domestico disprezzato e mal sopportato. Chi può permetterselo assume una domestica che lavora in cucina, gli altri si affidano all’industria alimentare e ai supermercati.
    Il cibo è sempre più standardizzato, povero di valore e privo di quel calore umano che gli deriva da un’amorosa lavorazione. Le ripercussioni sono gravi sia sul piano sanitario, a causa della qualità scadente, che su quello ambientale (montagne di rifiuti, dispendio energetico – ad esempio per mantenere la catena del freddo dei cibi surgelati e per i trasporti…). A tutto questo si aggiungono i costi elevati che, come al solito, sottovalutiamo.
    Se cucinare con calma e amore è un lusso, è uno di quei lussi che dobbiamo tornare a concederci. Non occorre una rivoluzione, basta cominciare un po’ alla volta, magari spegnendo la televisione e coinvolgendo amici e persone care in una sorta di gioco di società. I bambini amano cucinare, facendoci aiutare dedichiamo un po’ di tempo sia a loro che al cibo. Un buon punto di partenza può essere la pizza, facile da cucinare e alternativa al costoso ristorante, per poi passare a piatti più elaborati, ai dolci per la colazione, al pane. Con l’esperienza e con qualche buon consiglio strappato ai più esperti, si impara ad organizzarsi, a razionalizzare il tempo, lo spazio e i consumi energetici (ad esempio, se accendiamo il forno, meglio usarlo per cuocere diverse cose); in un solo pomeriggio è possibile preparare diversi cibi che poi potranno essere consumati e rielaborati nell’arco di una settimana, magari con l’aiuto del congelatore, facendo attenzione a non sprecare nulla. Una buona collaboratrice può essere la pentola a pressione che accorcia i tempi di cottura (facendo risparmiare energia) e ci permette di cucinare facilmente cereali integrali, legumi e patate.
    Prepararsi il cibo da soli (meglio in compagnia) è molto gratificante. Basta poco per rendersi conto che la dieta diventa più variegata, il palato ne gode e riscopre sapori che non era più capace di sentire, si riduce la produzione di rifiuti e si risparmia tanto. Una volta dedicato tempo ed amore alla preparazione del cibo dobbiamo reimparare a gustarlo, mangiando lentamente e facendo attenzione ai sapori. Masticare a lungo facilita la digestione e l’assimilazione di principi nutritivi, e aiuta a mangiare meno.

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