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    Beni comuni

    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Decrescere ed essere sobri

    Nel capitolo sull’essere umano abbiamo parlato di “crescita infelice”, cioè di come un’idea distorta di progresso e un rapporto perverso con i nostri bisogni siano alla base del malessere dell’uomo occidentale. Su queste contraddizioni dobbiamo riflettere ed intervenire come singoli individui e come società se vogliamo raggiungere un benessere reale e profondo.
    Alla “crescita infelice” va contrapposta l’idea della “decrescita felice”, che significa riequilibrare il rapporto tra persone e merci, tra avere e essere, tra individuo e collettività, tema che ha attraversato tutta la storia della cultura occidentale e oggi torna ad interrogarci con maggiore forza, perché non riguarda più soltanto la sfera della felicità individuale, ma la stessa sopravvivenza della specie.

    Decrescita felice

    Maurizio Pallante (01) ha sintetizzato questa idea nel “Manifesto del Movimento per la Decrescita Felice”. Pallante prende come esempio lo yogurt, mettendo a confronto un vasetto prodotto industrialmente e venduto attraverso i normali canali commerciali, ed uno autoprodotto semplicemente utilizzando latte e appositi batteri. Il vasetto industriale percorre migliaia di chilometri sulle strade, inquinando, intasando il traffico e aumentando il numero di incidenti stradali. Quello autoprodotto è più genuino a salutare, non deve essere trasportato e costa molto meno: in sostanza accresce la qualità della vita, ma fa diminuire il prodotto interno lordo riducendo i costi industriali, quelli per i trasporti e “l’indotto” dovuto agli incidenti, all’inquinamento e così via.

    “Il Movimento per la Decrescita Felice – dice il manifesto - si propone di promuovere la più ampia sostituzione possibile delle merci prodotte industrialmente ed acquistate nei circuiti commerciali con l'autoproduzione di beni. In questa scelta, che comporta una diminuzione del prodotto interno lordo, individua la possibilità di straordinari miglioramenti della vita individuale e collettiva, delle condizioni ambientali e delle relazioni tra i popoli, gli Stati e le culture. La sua prospettiva è opposta a quella del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, che continua a ritenere positivo il meccanismo della crescita economica come fattore di benessere, limitandosi a proporre di correggerlo con l'introduzione di tecnologie meno inquinanti e auspicando una sua estensione, con queste correzioni, ai popoli che non a caso vengono definiti “sottosviluppati”. Nel settore cruciale dell'energia, lo “sviluppo sostenibile”, a partire dalla valutazione che le fonti fossili non sono più in grado di sostenere una crescita durevole e una sua estensione a livello planetario, ne propone la sostituzione con fonti alternative. Il Movimento per la Decrescita Felice ritiene invece che questa sostituzione debba avvenire nell'ambito di una riduzione del prodotto interno lordo mediante una riduzione dei consumi, da perseguire sia con l'eliminazione di sprechi, inefficienze e usi impropri, sia con l'eliminazione dei consumi indotti da un'organizzazione economica e produttiva finalizzata alla sostituzione dell'autoproduzione di beni con la produzione e la commercializzazione di merci (…).
    Per aderire al movimento è sufficiente:

    • autoprodurre lo yogurt o qualsiasi altro bene primario: la passata di pomodoro, la marmellata, il pane, il succo di frutta, le torte, l'energia termica e l'energia elettrica, oggetti e utensili, le manutenzioni ordinarie;

    • fornire i servizi alla persona che in genere vengono delegati a pagamento: assistenza dei figli nei primi anni d'età, degli anziani e dei disabili, dei malati e dei morenti.


    L'autoproduzione sistematica di un bene o lo svolgimento di un servizio costituisce il primo grado del primo livello di adesione. I livelli successivi del primo grado sono commisurati al numero dei beni autoprodotti e dei servizi alla persona erogati. L'autoproduzione energetica vale il doppio. Il secondo grado di adesione è costituito dall'autoproduzione di tutta la filiera di un bene: dal latte allo yogurt; dal grano al pane, dalla frutta alla marmellata, dai pomodori alla passata, dalla gestione del bosco al riscaldamento. Anche nel secondo grado i livelli sono commisurati al numero dei beni autoprodotti e la filiera energetica vale il doppio.”

    Il Movimento per la Decrescita Felice è, per certi versi, la traduzione italiana delle tematiche su cui da anni sta lavorando il Movimento Anti-utilitarista nato in Francia (MAUSS), da cui deriva anche l’”Istituto di studi economici e sociali per la decrescita sostenibile” (http://www.decroissance.org)
    BOX: Il MAUSS
    Il m.a.u.s.s. (Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali) nasce a Parigi nel 1981, da un insieme composito di intellettuali (economisti, giuristi, sociologi e antropologi, provenienti da varie parti del mondo). L’idea prende avvio nell’aprile del 1980, nell’ambito dei un dibattito sul tema del dono a cui, tra i molti specialisti, partecipano Gérald Berthoud, docente di antropologia all’Università di Losanna, e Alain Caillé, professore di sociologia all’Università di Caen (poi a Paris X, - Nanterre), che rimangono colpiti dall’accanimento con cui tutti i partecipanti, economisti, filosofi, psicoanalisti ecc., cercavano di negare qualsiasi realtà all’oggetto stesso dell’incontro (02) . Non a caso MAUSS, oltre che un acrostico, è il nome di un antropologo che dedicò diversi studi a questo aspetto (Marcel Mauss).
    A partire da una critica dell’economicismo e dell’utilitarismo in alcune scienze, in particolare l’economia sociale, il movimento si rende sempre più conto che in realtà l’utilitarismo non rappresenta un sistema filosofico particolare o una componente fra le altre dell’immaginario dominante nelle società moderne. Piuttosto esso è diventato quello stesso immaginario. (03)
    Il movimento tenta di smascherare gli idoli delle scienze sociali contemporanee (economicismo, materialismo, naturalismo, razionalismo), sforzandosi di intendere l’azione sociale umana in tutta la sua ricchezza e complessità, oltre il principio di ragione strumentale e utilitaria, che descrive l’uomo nei termini di un attore sociale egoista, calcolatore, teso alla massimizzazione della propria funzione di utilità, mosso dalla ricerca del massimo piacere e della soddisfazione di bisogni illimitati. L’idea di fondo è quella di ripensare l’azione sociale degli uomini alla luce di ciò che li lega tra loro, che permette loro di fare società e allearsi.
    Il MAUSS dà vita dapprima ad un bollettino, in seguito trasformato in rivista (oggi tradotta anche in Italia da Bollati e Boringhieri), poi ad una collana di studi. Le personalità più rilevanti del gruppo sono Serge Latouche, Jacques Godbout, Gérald Berthoud, Jean-Luc Boilleau e Alain Caillé, animatore del movimento, direttore della rivista e autore del manifesto dell’antiutilitarismo. Grazie ad Alfredo Salsano, compianto direttore della casa editrice Bollati e Boringhieri, i testi base del MAUSS sono stati tradotti e diffusi anche in Italia.
    Sito internet: http://www.revuedumauss.com (in francese)

    Decolonizzare l’immaginario

    La crescita economica rappresenta un vero e proprio mito della nostra società che condiziona pesantemente le scelte politiche, qualunque sia lo schieramento al potere. L’idea della decrescita, ossia della riduzione dei consumi e dello sfruttamento delle risorse, viene denigrata e condannata senza appello da un tribunale di esperiti, giornalisti e politici che ritrovano l’unità su questo verdetto.
    Posti di fronte alle preoccupazioni per il degrado sociale ed ambientale rispondono con quello che ormai è diventato un altro mito: il concetto di “sviluppo sostenibile” che oggi va tanto di moda. L’idea è che si possano mantenere gli attuali livelli di sviluppo, produzione e consumo semplicemente aumentando l'ecoefficienza, ossia riducendo progressivamente l'impatto ecologico e l'incidenza del prelievo di risorse naturali, per raggiungere un livello compatibile con la capacità di sopportazione del pianeta. In realtà, anche se l'efficienza ecologica è notevolmente migliorata, non può tenere i ritmi della crescita e nemmeno rendere sostenibili gli attuali livelli di consumo, tant’è che il degrado globale del pianeta continua ad aggravarsi: diminuisce l’impatto ambientale per unità di merci prodotte, ma l'aumento quantitativo della produzione fa sì che, a conti fatti, il prelievo e le emissioni continuano ad aumentare.
    Il nostro condizionamento è tale che la decrescita evoca in molti di noi scenari di disoccupazione e miseria, l’idea del ritorno ad un passato di stenti e patimenti. In realtà pianificare ed attuare una progressiva decrescita oggi sarebbe tutt’altro che negativo, tanto più se prendiamo atto che arriveremo al punto in cui non potremo più scegliere e saremo posti di fronte ad un cambiamento traumatico.
    La decrescita non va vista solo come una necessità, ed è per questo che si parla anche di felicità. Secondo Ivan Illich la rinuncia al nostro modello di vita non è affatto il sacrificio di qualcosa di intrinsecamente buono, per timore di incorrere nei suoi effetti collaterali nocivi - un po' come quando ci si astiene da una pietanza squisita per evitare i rischi che potrebbe comportare. Di fatto, quella pietanza è pessima di per sé, e avremmo tutto da guadagnare facendone a meno: vivere diversamente per vivere meglio. (04)
    Serge Latouche ritiene che, per intraprendere un percorso di decrescita, occorre innanzitutto “decolonizzare l'immaginario”, ossia liberarsi del dogma della crescita. La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi: perché incrementa le disuguaglianze e le ingiustizie; perché dispensa un benessere largamente illusorio, e perché non offre un tipo di vita conviviale neppure ai “benestanti”: è un'”antisocietà” malata della propria ricchezza. (05)
    La decrescita non va intesa come conservazione immobile, ma come semplice rinuncia all'idea che di più sia sempre e comunque sinonimo di meglio, recuperando la consapevolezza che il bene e la felicità si possono realizzare con costi minori, riscoprendo la ricchezza nei rapporti sociali conviviali ed il valore della frugalità e della sobrietà.
    Nel “Manifesto del doposviluppo” Serge Latouche fa risalire le origini della corrente della decrescita agli anni sessanta: proprio durante il decennio dello sviluppo è nata una riflessione critica sui presupposti dell'economia e sul fallimento delle politiche di sviluppo, il movimento per la decrescita s'inscrive dunque nel più ampio movimento dell'International Network for Cultural Alternatives to Development (INCAD) (06) e si prefigge una vera e propria "decostruzione" del pensiero economico, rimettendo in discussione le nozioni di crescita, povertà, bisogno, aiuto ecc.

    Un primo passo per una politica della decrescita potrebbe essere quello di ridurre, se non sopprimere, l'impatto ambientale di attività tutt'altro che soddisfacenti. Si tratterebbe ad esempio di ridimensionare l'enorme mole degli spostamenti di uomini e merci sul pianeta, con tutte le loro conseguenze negative: si potrebbe parlare di una “rilocalizzazione” dell'economia. Non meno importante è ridimensionare la pubblicità più invadente e rumorosa, e contrastare la prassi di accelerare artificialmente l'obsolescenza dei manufatti e la diffusione di prodotti usa e getta, la cui sola giustificazione è quella di far girare sempre più vorticosamente la megamacchina infernale. Tutto ciò rappresenta, nel campo dei consumi materiali, una notevole riserva per la decrescita. (07)

    Un altro passo è il recupero dell’idea del “piccolo è bello” di Ernst Schumacher (08). Occorre cioè ridurre le dimensioni degli apparati produttivi e delle grandi organizzazioni (tecnocrazie, sistemi di trasporto, cura, svago, ecc.). Gran parte delle risorse (e del lavoro) sono oggi impiegate non per produrre benessere, ma per alimentare le tecnostrutture stesse. Più è alto il grado di complessità, maggiore è l'entropia, maggiori sono le risorse che tali megamacchine esigono semplicemente per la loro autoconservazione (09). Non si tratta di rinunciare all’uso dell’ingegno e della tecnologia, ma di finalizzarli alla creazione di un benessere duraturo.
    La decrescita delle dimensioni delle imprese, delle istituzioni e dei mercati, valorizza la dimensione locale, favorendo l’affermarsi di forme politiche conviviali, ossia (nell’accezione che del termine faceva Ivan Illich) capaci di favorire il controllo democratico della tecnologia e dei processi produttivi, controllo del tutto assente nella nostra società. Ciò permetterebbe di rendere la nostra partecipazione a organizzazioni produttive e burocratiche meno disumanizzanti, stressanti e alienanti.
    Su scala più ampia la decrescita potrebbe essere la premessa necessaria per una società più pacifica, dato che la storia e la natura ci insegnano come la tendenza alla crescita sia uno dei principali fattori di conflitto.

    Sobrietà

    Declinata sul piano individuale o di piccole comunità l’idea della decrescita si traduce con la sobrietà, e la “decrescita felice” diventa “sobrietà felice” (10).
    Anche in questo caso è necessario decolonizzare l’immaginario da una concezione che identifica la sobrietà con il sacrificio e la sofferenza. Una persona sobria, più libera dai bisogni, è una persona che ha più tempo ed energie da dedicare ad attività capaci di produrre reale benessere, come le relazioni umane, o l’ozio creativo.
    La sobrietà ci pone il problema di una diversa produzione. Smettere di produrre cose inutili e ridistribuire equamente il lavoro utile ci permetterebbe di ridurre l’orario di lavoro e avere più tempo da trascorrere con i nostro cari, prenderci cura dei più piccoli, senza doverli abbandonare davanti alla TV, dei più anziani, invece di rinchiuderli in istituti, potremmo coltivare un orto e avere verdure fresche e non inquinate, ripararci da soli le cose anziché comprarle nuove ad ogni minimo difetto. In altre parole potremmo tornare a produrre per soddisfare bisogni anziché per crearli.

    Programmare l’uscita dalla spirale

    All’idea della decrescita e della sobrietà economisti e politici rabbrividiscono paventando crolli dell’economia, disoccupazione, miseria, taglio dei servizi. In realtà in economia vale la legge per cui nulla si crea e nulla si distrugge, si tratta di scegliere se vogliamo un sistema economico tutto basato sulle transazioni monetarie oppure su relazioni umane ed un giusto equilibrio tra i diversi strumenti a disposizione. Programmando la decrescita si può uscire senza traumi dalla trappola della crescita dei bisogni, riportandoli fuori dalla sfera monetaria e dentro la sfera umana. Oggi la spirale prevede molti bisogni – necessità di soldi – lavoro – poco tempo libero – necessità di assistenza e servizi – pagamento dei servizi con i soldi ecc. Programmare la decrescita significa avviare un nuovo ciclo composto da meno bisogni – meno necessità di soldi – meno lavoro – più tempo libero – autoproduzione di beni e servizi – meno assistenza e servizi – risparmio…
    Nessuno dice che sia semplice, ma pare che i nostri esperti, con il loro immaginario colonizzato dal pensiero unico, si rifiutino persino di prendere in considerazione la cosa. La storia insegna che, in queste circostanze, non resta che rimboccarsi le maniche e iniziare dal basso la trasformazione della società.
    BOX: Bilanci di giustizia
    Spesso si pensa che adottare comportamenti solidali come quelli indicati in questo libro sia un lusso. In realtà molte delle proposte comportano un risparmio. Da alcuni anni l’operazione “Bilanci di giustizia” testimonia nella pratica gli aspetti positivi della sobrietà.
    L'iniziativa è stata lanciata nel 1993 al V raduno dell’associazione “Beati i Costruttori di Pace” dal titolo "Quando l'economia uccide…bisogna cambiare". Si tratta di una campagna rivolta alle famiglie, intese come soggetto microeconomico. Oggi ne coinvolge oltre 500.
    Nel concreto si propone di creare una rete di "consumatori leggeri" che riducano i consumi e investano i soldi risparmiati in azioni di solidarietà e nella finanza etica. Gli aderenti si impegnano a ridurre le proprie spese e a riorientarle secondo criteri di giustizia e solidarietà. Ogni mese le famiglie compilano veri e propri bilanci con i quali indicano i propri consumi e gli obiettivi che si pongono nel modificare il proprio stile di vita o nello "spostare" il consumo da un prodotto considerato dannoso (in termini per esempio di impatto ambientale) ad un prodotto che rispetti la dignità delle persone e dell'ambiente. La scelta di prodotti del commercio equo e solidale, la riduzione dei consumi energetici, l'acquisto di prodotti biologici, l'investimento in informazione alternativa o in iniziative di solidarietà, sono alcuni degli di obiettivi di spostamento dei consumi che le famiglie si prefiggono mensilmente. I bilanci mensili sono poi inviati al coordinamento nazionale che li aggrega e redige un rapporto annuale per sottolineare l'impatto complessivo della campagna e l'ammontare totale dei consumi spostati. La segreteria pubblica inoltre una circolare periodica che serve a tenere in collegamento le famiglie impegnate nell'operazione.
    Le famiglie che partecipano alla campagna si ritrovano periodicamente per confrontare le proprie esperienze, analizzare e identificare gli obiettivi possibili, incoraggiarsi nell'iniziativa. Infatti ciò che contraddistingue Bilanci di Giustizia è l’idea che questi obiettivi si possano realizzare efficacemente solo insieme, in modo organizzato, mediante una comunicazione costante e un’azione comune. Il bilancio familiare è sia uno strumento tecnico di misurazione che un mezzo di comunicazione che rende visibili e quantifica i cambiamenti effettuati nelle scelte economiche.

    http://www.bilancidigiustizia.it

    Alla base dei Bilanci di giustizia c’è l’idea che il consumo si è trasformato da atto consapevole e meditato in impulso. Per questo occorre innanzitutto riprendere il controllo dei propri gesti. Anche chi non aderisce alla campagna potrebbe provare a fermarsi mezz’ora ed elencare su un foglio quali sono le sua spese inutili più o meno abituali e poi decidere se intraprendere una “terapia” disintossicante. Può essere di aiuto appuntarsi le spese che si fanno e definire tetti di spesa per diversi tipi di consumo. Ogni tanto, anziché andare al ristorante, si può riscoprire il piacere di preparare in casa un buon pasto elaborato, magari coinvolgendo un po’ di amici, oppure avviando un circolo di inviti a rotazione. Di certo anche l’atmosfera domestica è molto più piacevole di un affollato salone di ristorante.
    Altro atto di consapevolezza è acquistare prodotti anziché marchi e pubblicità: spesso prodotti identici hanno prezzi differenti dovuti alla marca o alle spese promozionali. Non ci si può fare ingannare come allodole da imprese e supermercati, con un po’ di esercizio e attenzione si impara a riconoscere la qualità dall’immagine, scoprendo che non si risparmia solo acquistando prodotti scadenti. Una sana abitudine è quella di confrontare il “prezzo al Kg” anziché quello finale.

    Limite

    Un concetto strettamente legato alla sobrietà è quello del limite. Ad un certo punto della sua evoluzione l’uomo occidentale ha perso il senso del limite e non è più riuscito a controllare i sui desideri. Oggi il limite rappresenta, per la nostra cultura, un concetto negativo. Il limite è una barriera che ci impedisce di realizzarci e avere dei limiti significa essere incompleti.
    Negli anni settanta si è comunicato a parlare di “limiti dello sviluppo”, mettendo in evidenza che le risorse e la capacità di sopportazione dell’ecosistema non sono infiniti e avanzando la necessità di ridurre il nostro peso sulla terra. Negli ultimi anni questo concetto si è allargato alla sfera personale e ci si rende sempre più conto che non si tratta solo di un problema ecologico, ma anche del benessere umano, dell’idea di felicità. La mancanza di senso del limite determina nelle persone una eterna insoddisfazione perché, come l’orizzonte, il limite non è mai dato una volta per tutte, ma tende a spostarsi in avanti con il nostro avanzare. Questo comporta che ogni superamento del limite pone di fronte ad un nuovo limite e questa fatica di Sisifo generi la frustrazione e l’infelicità che caratterizzano la nostre esistenza.
    L’uomo occidentale deve riappacificarsi con l’idea del limite. Questo non significa assumere un atteggiamento di rassegnazione e conservazione, ma affrontare il limite con una forma di rispetto. Paradossalmente sta proprio nell’idea del limite la vera libertà dell’essere umano.

    Note:


    1. Studioso di tematiche ambientali ed energetiche e promotore di varie iniziative per un uso più razionale dell’energia. Sulle tematiche delle tecnologie ambientali ha pubblicato: Le tecnologie di armonia, Bollati Boringhieri, Torino 1994; Scienza e ambiente. Un dialogo, con Tullio Regge, Bollati Boringhieri, Torino 1996; L’uso razionale dell’energia. Teoria e pratica del negawattora, con Mario Palazzetti, Bollati Boringhieri, Torino 1997; Ricchezza ecologica, manifestolibri, Roma 2003. È autore inoltre di un trattatello di biochimica in forma di racconti inseriti in una cornice narrativa: Metamorfosi di bios. Le molecole raccontano, Editori Riuniti, Roma 2003. (torna su)


    2. Alain Caillé, Critica della ragione utilitaria, Boringhieri, Torino, 1991 (torna su)


    3. Alain Caillé, Critica della ragione utilitaria, Boringhieri, Torino, 1991 (torna su)


    4. Jean-Pierre Dupuy, Ivan Illich ou la bonne nouvelle. Le Monde, 27 dic. 2002. (torna su)


    5. Serge Latouche, Per una società della decrescita, Le Monde Diplomatique, nov. 2003 (torna su)


    6. Serge Latouche, Manifesto del doposviluppo (torna su)


    7. Serge Latouche, Per una società della decrescita, Le Monde Diplomatique, nov. 2003 (torna su)


    8. Economista britannico di origine tedesca (1911-1977). Tra i suoi testi più noti Piccolo è bello, Guida per i perplessi e Buon lavoro (torna su)


    9. Mauro Bonaiuti, Obiettivo decrescita, EMI, 2004 (torna su)


    10. AAVV, Invito alla sobrietà felice, EMI, 2000 (torna su)

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