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    Michele Altomeni

    Lavorare

    Nella nostra cultura il lavoro viene spesso associato all’idea di fatica, vissuto come un dovere da adempiere per la propria sussistenza, di cui si farebbe volentieri a meno. Le condizioni generali di lavoro si sono sensibilmente deteriorate con l’avvento della rivoluzione industriale che ha stravolto il sistema produttivo che aveva caratterizzato la storia precedente dell’umanità. Il lavoro è diventato sempre meno atto creativo, in cui ci si poteva riconoscere e realizzare, per trasformarsi in semplice azione frammentaria. Lo sviluppo tecnologico ha trasformato l’uomo da soggetto in oggetto del processo produttivo, al centro del quale è stata posta la macchina. Questo ha completamente modificato l’organizzazione, i tempi, i ruoli e le modalità del lavoro.
    Rimettendo l’essere umano al centro della produzione la tecnologia potrebbe diventare lo strumento per restituire al lavoro le finalità che gli riconosceva Ernst Fritz Schumacher: migliorare le nostre capacità; collaborare con gli altri e superare il nostro egoismo; procurare beni e servizi per rendere gratificante l’esistenza. Secondo Schumacher, il tipo di tecnologia che può produrre questo risultato è quella basata sul principio “piccolo è bello”, ossia meno violenta nel suo impatto sulla natura, fondata sul decentramento delle attività produttive, più semplice da gestire e meno costosa.
    Il benessere di una persona non può prescindere dal lavoro che svolge e dal rapporto che ha con esso. Si incontrano persone innamorate del proprio lavoro, che lo compiono con grande passione e soddisfazione. Sono persone che svolgono lavori in armonia con il loro modo di essere e di pensare, che permette loro di valorizzare le capacità, gli interessi e le aspirazioni che li animano, di mantenere in equilibrio tra loro i ritmi del lavoro e della vita. In una società in cui trovare un lavoro precario e mal pagato appare già un privilegio, aspirare ad un lavoro gratificante sembra quasi un lusso, eppure è un sogno che merita impegno, purché non si commetta l’errore diffuso di identificare il lavoro gratificante con elevati standard di reddito e di potere. A volte i due aspetti possono coincidere, ma non è per forza così perché, per fortuna, non tutti mettono il denaro al centro della propria vita.
    Partendo dalle proprie aspirazioni, dai propri sogni, da ciò che si ama fare, è possibile immaginare quale tipo di lavoro potrebbe offrire maggiori soddisfazioni e si può provare a realizzarlo in proprio o assieme ad altri. Anche chi non se la sente di rischiare troppo può provare a migliorare le proprie condizioni di lavoro. Se si tratta di diritti violati e rivendicazioni sociali può essere di aiuto un sindacato e l’unità con altri lavoratori. In altri casi può servire un po’ di impegno per elevare la qualità dell’ambiente di lavoro, che si tratti di relazioni umane o di impatto sull’ambiente e sulla salute. Sul posto di lavoro ognuno può diventare esempio di comportamenti solidali che all’inizio possono essere percepiti come stranezze di un fanatico, ma col tempo possono trasformarsi in senso comune. Non si tratta di fare prediche o accuse che non fanno che irrigidire l’interlocutore, ma di credere nel valore educativo delle scelte personali, che si tratti di ridurre gli sprechi di carta o di far notare che la temperatura del riscaldamento è troppo alta o quella del condizionatore troppo bassa, che il computer non in uso si potrebbe spegnere e che preferire le scale all’ascensore può essere un buon modo per sgranchire le gambe. Al capo ufficio si potrebbe raccontare di avere scoperto che le cartucce delle stampanti e il toner della fotocopiatrice si possono ricaricare, che costa meno di comprarle nuove, che per una volta si potrebbero provare per capire se funzionano. Con i colleghi si potrebbe pensare di utilizzare nella macchinetta aziendale caffè del commercio equo… Piccoli gesti che dischiudono un mondo a persone che non si sono ancora poste certi problemi, ma non per questo sono insensibili.

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