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    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti solidali

    Commercio equo e solidale

    Il Commercio Equo e Solidale nasce per dare un risposta alle dinamiche del commercio internazionale, è una forma di scambio con comunità di produttori del Sud del Mondo finalizzata al superamento del sistema economico neo-coloniale.

    Le persone prima di tutto

    Al centro vengono messi i diritti ed i bisogni dei produttori (artigiani o contadini) e delle loro comunità, rispettando al tempo stesso il diritto dei consumatori alla piena informazione sui termini sociali ed economici su cui si basa lo scambio. Nel commercio equo il consumatore non è un soggetto passivo, e nemmeno un benefattore, ma un cittadino consapevole che le sue scelte producono conseguenze e che le conseguenze variano con il variare delle scelte.
    Il commercio equo si sforza di riportare il commercio alla sua dimensione di incontro, conoscenza, confronto e scambio, occasione in cui le parti sono ognuna attenta alle ragioni, alla storia e alla cultura dell'altra. I produttori sono persone che nel lavoro cercano il riscatto della propria dignità. Non il semplice diritto alla sopravvivenza, ma il diritto di essere protagonisti della propria storia, della storia della propria terra. I gruppi di produttori con cui le organizzazioni di commercio equo sono in contatto abbracciano quasi il mondo intero e molti dei popoli della terra.
    I produttori del commercio equo lavorano in contesti democratici, superando la classica distinzione tra sfruttati e sfruttatori. In genere si tratta di cooperative che consentono di ripartire tra tutta la comunità i benefici del rapporto commerciale, che permettono ai lavoratori di partecipare alla gestione dell’attività ed avere voce in capitolo nel definire le politiche generali del gruppo. Il commercio equo è spesso anche una forma di riscatto di genere: ci sono molti gruppi organizzati di donne che attraverso il lavoro recuperano la piena dignità in società in cui spesso sono discriminate.
    Il secondo anello della catena sono le organizzazioni di importazione (dette anche ATOS - Alternative Trade Organizations). Tengono direttamente i contatti con i produttori e dispongono di magazzini per conservare i prodotti. Garantiscono i rispetto dei criteri del Commercio Equo e Solidale e il prefinanziamento dei produttori.
    Anche in questo caso ci si basa su strutture democratiche dato che le maggiori centrali di importazione sono espressione di gruppi di base che operano sul territorio nazionale.
    Il cuore pulsante del commercio equo sono le botteghe del mondo, i veri laboratori dell’alternativa. Si tratta normalmente di piccoli negozi gestiti da associazioni o cooperative in cui il volontariato ha un ruolo fondamentale. In questi luoghi è possibile acquistare i prodotti, ma vi si trovano soprattutto persone convinte che un mondo migliore sia possibile, che la rivoluzione non può venire dall’alto, ma va costruita dal basso, giorno per giorno, con i gesti quotidiani, come comprare un pacchetto di caffè, usare la bicicletta per spostarsi, coltivare un orto biologico. Sono persone che raccontano storie, a volte un po’ tristi, come quelle su bambini costretti a lavorare, contadini spezzati dalla fatica, donne chiuse in una fabbrica di scarpe per 15 ore al giorno, ma a volte con il lieto fine, di organizzazioni chiamate Uciri, o MCCH, dove le persone tornano al centro del mondo, e l’economia è solo un mezzo, e nemmeno il più importante, per vivere da esseri umani. Raccontano perché, con tutti gli impegni che hanno, decidono di dedicare del tempo a realizzare un sogno apparentemente folle.
    Dietro ogni bottega c’è un gruppo di persone, di tutte le età, di varie estrazioni sociali, credenti e non credenti, con idee ed interessi di varia natura, accomunate da un’irriducibile desiderio di giustizia. Queste persone sono convinte di non fare solo qualcosa per le popolazioni del sud del mondo, ma di migliorare anche la propria vita.
    Nelle botteghe non si trovano solo i prodotti del commercio equo, ma anche informazioni, perché sono luoghi di cultura. Libri, riviste, volantini, mostre, manifesti, petizioni… invitano chi entra a prendere coscienza della realtà e fare la propria parte.
    In fondo al percorso ci siamo tutti noi, i consumatori, anzi, “consumattori”, perché nel mondo equo la parola consumatore non è molto amata. Consumare è sinonimo di deteriorare, ed infatti la società del consumo sta deteriorando ogni cosa, dall’ambiente alla qualità della vita, dai rapporti umani alle persone stesse. Il consumo è sempre più un gesto passivo, quasi un dovere sociale, per lo più imposto da persuasori più o meno occulti. Il commercio equo invece si rivolge a persone attive, “attrici” della propria vita, che scelgono, che vogliono capire e che non si accontentano delle apparenze. Il consumattore sa che per cambiare il mondo bisogna partire da se stessi, ma la cosa più importante è che il consumattore ha capito che tutto ciò non è un sacrificio, ma l’unica possibile via verso la felicità.
    Il consumattore, nel commercio equo, non è un cliente, non è il destinatario finale dei prodotti, ma un compagno di viaggio.

    Prezzi e storie trasparenti

    Nei supermercati i prezzi dei prodotti cambiano ogni giorno (sconti, offerte, 3X2) per confondere i consumatori e battere la concorrenza. Abbiamo già detto che il taglio dei costi li pagano i lavoratori e l’ecosistema, in una tragica corsa verso il fondo. Così i salari sono sempre più compressi, i compensi pagati ai produttori di materie prime continuamente ridotti, e molte imprese si spostano da un paese all’altro in cerca del massimo livello di disperazione.
    E’ per questo che da un supermercato non sapremo mai quanto ha guadagnato il contadino che ha prodotto il caffè che sta sugli scaffali, mentre i prezzi del commercio equo sono “trasparenti” e indicano dove va a finire ogni centesimo che il consumatore paga, ripartiti tra compenso al produttore, spese di trasporto e tasse, spese di commercializzazione e margini per importatori e botteghe.
    Inoltre è possibile conoscere la storia di ogni prodotto. Attraverso apposite schede informative si possono avere notizie sui produttori, sul paese di provenienza, sulle modalità di produzione, sui sogni che stanno dietro ad una comunità. Chi vuole può anche farsi un viaggio a visitare il progetto che preferisce e vedere con i propri occhi come l’utopia vive e cresce.
    Il prezzo equo non è solo un numero, ma un concetto. Nel commercio equo non si cerca di ottenere il prezzo più basso possibile, ma viene concordato a partire dai reali costi di produzione, in condizioni di lavoro dignitose e con margini per la comunità. A differenza dei supermercati i prezzi del commercio equo sono stabili e uguali in tutte le botteghe, al fine di offrire maggiori garanzie ai produttori difendendoli dalle oscillazioni del mercato.

    Prefinanziamento e continuità

    Per avviare una produzione occorre un investimento e chi non dispone di capitale proprio deve ricorrere a prestiti. Nei paesi poveri, dove l’accesso al credito è proibitivo, gli interessi sono esorbitanti e si mangiano gran parte dei guadagni stritolando i produttori nella morsa del debito. In risposta, il commercio equo ha concepito il prefinanziamento: una parte del prezzo di acquisto della merce (in genere il 50%) viene pagato già al momento dell’ordine. In questo modo i produttori hanno capitali per avviare la produzione e non devono ricorrere agli usurai locali.
    Altro elemento di garanzia è la continuità dei rapporti. Nel mercato internazionale i rapporti sono molto instabili e i produttori vivono costantemente nell’incertezza di riuscire a vendere la loro produzione e di quale sarà il prezzo di mercato. Questa impossibilità di programmare impedisce ogni sviluppo. Nel commercio equo, quando comincia un rapporto con un produttore, si stabilisce che resterà stabile per un lungo periodo e il produttore sa quanto riuscirà a vendere.

    Sostenibilità ambientale e culturale

    Una forma di commercio alternativo non poteva trascurare l’aspetto ambientale che è tra i principi di fondo. Nelle produzioni alimentari si privilegia l’agricoltura biologica, ed in generale si fa ricorso a materie prime e metodi di lavorazione naturali e compatibili con la salute umana e del pianeta. Una contraddizione, che gli attori del commercio equo riconoscono, sta nel fatto che i prodotti fanno tanta strada per arrivare a noi. Infatti questo commercio è un’alternativa alle altre forme di commercio internazionale, non di certo ai consumi locali. In molti progetti il commercio equo è anche un mezzo per rimettere in moto l’economia locale e l’autoproduzione là dove erano stati spazzati via.
    Il commercio equo tiene anche conto del colonialismo culturale e del fatto che la propaganda consumista spinge le popolazioni del sud ad imitare le produzioni occidentali abbandonando saperi tradizionali di inestimabile valore (medicine naturali, saperi rurali, metodi di lavorazione…). Il commercio mondiale non produce un incontro tra culture, ma il completo appiattimento della diversità umana su un’unica dimensione. Nel limite del possibile il commercio equo cerca di rispettare, recuperare e valorizzare le culture locali sia per quanto riguarda il tipo di prodotto che i metodi di lavorazione.

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