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    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Obiettare e disobbedire

    Accettare situazioni che contrastano profondamente con i nostri ideali può provocare un forte malessere, quindi, tra i verbi del benessere, occorre prevedere anche “obiettare” e “disobbedire”, ossia rifiutare imposizioni sociali o normative che consideriamo inaccettabili. La storia umana ha sempre cercato di perpetrare l’ingiustizia attraverso l’educazione all’obbedienza e al rispetto dell’autorità. Istituzioni come quella militare si basano per intero su questa idea. Il progresso civile e sociale nella storia del mondo è in buona parte frutto di atti di disobbedienza a regole e norme consolidate. Basti pensare alle conquiste di diritti da parte dei lavoratori tra Ottocento e Novecento, grazie anche a scioperi e altre forme di lotta allora ritenute illegali. Don Lorenzo Milani coglie appieno questo aspetto quando, nella lettera ai giudici, scrive:


    A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
    C’è un solo modo per uscire da questo macabro gioco di parole.
    Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più ormai una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
    A questo patto l’umanità potrà dire di avere avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico. (01)

    Obiettare significa rifiutarsi di compiere un atto obbligatorio che si ritiene ingiusto. Tipico è l’esempio dell’obiezione di coscienza di chi si rifiutava di svolgere il servizio militare obbligatorio perché contrario alla guerra. Gli obiettori sapevano di infrangere una legge e sapevano che ciò comportava ritorsioni da parte dello stato, ma sceglievano di affrontarle apertamente, scontando anche pene carcerarie. E’ stata proprio la lotta di questi obiettori ed il loro coraggio a far sì che fosse varata una legge che riconoscesse il diritto di obiezione al servizio militare.
    Vinta questa battaglia i pacifisti hanno avviato negli anni Ottanta una iniziativa per la riduzione delle spese militari attraverso una campagna di obiezione fiscale. La campagna propone ad ogni contribuente di non versare una parte di imposte equivalente alla percentuale di fondi destinati dal bilancio delle stato alle forze armate. Le somme non versate vengono destinate ad una organizzazione sociale. Dopo la guerra del Golfo, nel 1991, la campagna raggiunse quasi 10 mila aderen­ti, poi il numero scese intorno a un migliaio all’anno.
    Oggi la campagna propone modalità di­versificate, alcu­ne più impegna­tive, altre me­no, per da­re a tutti la possibilità di partecipare. Le diverse forme possono essere attuate da tutti, sia chi è soggetto a trat­tenuta alla fonte (modello 730), chi fa il modello Cud (l'ex-101), chi compila il modello Unico e si trova in una situazione di cre­dito rispetto allo Stato, ma an­che chi è in una situazione di debito rispetto allo Stato, e perfino chi ha un reddito inferiore al minimo previ­sto per la dichiarazione e quindi non è tenuto a pre­sentarla.
    La forma più “dura” consiste nel versare una parte delle proprie tasse al Fon­do per la pace della Campagna Osm-Dpn, a favore del Fondo nazionale per il servizio civile. La di­chiarazione di obiezione va in­viata all'agenzia delle entrate e alla campagna O­sm. Questa azione viene considerata dalla legge evasione fiscale e provoca conseguenze am­ministrative (non penali), come il pignoramento dei beni. Ci si può rivolgere al coor­dinamento della Campagna per avere qualche consiglio.
    Chi vuole evitare conseguenze può scegliere una forma di obiezione più leggera. La più semplice, senza rischi, è l’opzione fi­scale, scollegata dal­la dichiarazione dei redditi. Si può effettuare tutto l'anno versando un importo a piacere all'Ufficio nazionale per il servizio civile (istituito pres­so la Presidenza del Consiglio dei Ministri), specificando che è destinato alla Difesa popolare nonviolenta e ai Corpi civili di pace. La dichiarazione va inviata in copia al Presidente della Re­pubblica e alla campagna Osm. Altra possibilità: effettuare un versamento a organizzazioni non governative (ong) o orga­nizzazioni non lucrative di fi­nalità sociale (onlus) indicate dalla campagna, che realizzano azioni di difesa popolare non­violenta, attraverso obiettori di coscienza in missione all'este­ro. I contributi alle ong e alle onlus possono essere legalmente de­dotti o detratti nella dichiara­zione dei redditi togliendo così allo Sta­to una quota di im­posta proporzionale al versa­mento effettuato alla ong o on­lus.
    La Campagna svolge anche un’azione di pressione rispetto al Parlamento per chiedere sia la riduzione delle spese militari che il diritto all'opzione fiscale, cioè la possi­bilità di finanziare con le proprie tasse solo la difesa non armata.

    Coordinamento nazionale della Campagna Osm,
    c/o Loc, via M. Pichi 1/E, 20143 Milano
    tel. 02­58.10.12.26, fax. 02­58.10.12.20, e-mail: loco­sm@tin.it.
    Informazioni e materiale su http://www.peacelink.it/amici/cnosm.

    La disobbedienza civile

    La disobbedienza civile, di tanto in tanto, torna al centro del dibattito politico e filosofico. Da alcuni anni il tema è stato riproposto da una parte del movimento che si batte contro la globalizzazione liberista. Di fronte ad un potere arrogante che impone regole antidemocratiche e dannose la disobbedienza viene individuata come atto di opposizione legittima.
    C’è stato chi si è organizzato per sradicare piante geneticamente modificate, chi per bloccare convogli che trasportavano armi in territorio di guerra, chi per bloccare l’accesso ad agenzie interinali e così via.
    La disobbedienza civile ha una lunga tradizione e un importante punto di riferimento in questo senso è Henry David Thoreau che, dopo essere andato a vivere in una capanna nella foresta di Wallden, si rifiutò di pagare le tasse per principio in quanto disapprovava la politica dello Stato e non voleva in alcun modo contribuire alla guerra contro il Messico. Thoreau scrisse su questa esperienza un testo intitolato “La disobbedienza civile”.
    Tolstoi lesse questo testo e, attraverso una lettera pubblicata dalla North American Review all'inizio del XX secolo, invitò gli americani a recuperare l'atteggiamento coraggioso ed esemplare di un individuo che osava affrontare lo stato che sbaglia. In quel periodo anche uno studente indiano dell'università di Oxford, Mohandas K. Gandhi, lesse quel testo e ne restò entusiasta, tanche che una volta diventato avvocato nell'Africa del Sud, lo pubblicò nella sua rivista “Indian Opinion”. Nella sua vita continuerà a raccomandare la disobbedienza civile associata alla pratica della non violenza. Il testo di Thoreau sarà ripreso nel corso degli anni da numerosi intellettuali, tra cui Hannah Arendt e Jean Jono.

    Note:


    1. Don Lorenzo Milani – Lettera ai giudici. L’obbedienza non è più una virtù - Libera Editrice Fiorentina (torna su)

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