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    Beni comuni

    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Crescere con i figli

    Anche un’esperienza profondamente naturale come il parto, nella nostra società è stata resa complessa e meccanica. E’ necessario riappropriarsene per viverla nella sua pienezza e per cominciare al meglio un rapporto, quello tra genitori e figli, che segna un’intera esistenza. Oltre a farli nascere si tratta non tanto di educarli, ma di crescere assieme a loro, perché, come in ogni relazione, non c’è chi insegna e chi impara, ma assieme si cambia e si evolve.

    Nascere è naturale

    La nascita è un processo di separazione tra mamma e bambino: il travaglio è un percorso di adattamento che, stimolando le ghiandole surrenali fetali, irrobustisce il feto; la fase espulsiva aiuta il bambino a gestire le sue nuove attività fisiologiche (respirazione e cambiamento della dinamica circolatoria). Passare attraverso questo processo lento e graduale è fondamentale per il successivo sviluppo del bambino, ma oggi con troppa facilità si ricorre al “taglio cesareo” che riduce drasticamente i tempi e sconvolge la dinamica naturale. Le stesse statistiche mediche dimostrano che gran parte dei tagli cesarei non sarebbero necessari e sono fatti solo per semplificare la vita del medico.
    Fino a qualche generazione fa, nascere in casa era la normalità, aiutati da levatrici esperte, con la sentita partecipazione di tutta la comunità. L’ospedale era destinato ai malati e partorire non era una malattia finché la professione medica non si è imposta anche in questo campo e il parto è stato ospedalizzato e monopolizzato da professionisti della salute, per lo più maschi, che hanno imposto l’idea che solo in ospedale il parto sia sicuro.
    Movimenti di genitori si stanno opponendo a questo processo e rivendicano il diritto, in assenza di complicazioni sanitarie, di partorire in casa (http://www.nascereincasa.it). Ritengono che il parto in casa dovrebbe essere messo almeno sullo stesso piano del parto in ospedale e dovrebbe essere una libera scelta della coppia. Proprio perché il parto è un passaggio cruciale della vita di una persona e necessita di raccoglimento, calore umano e comprensione, ritengono che la propria casa, rappresentando il luogo dell’intimità e degli affetti, sia il contesto più adeguato. Con il parto in casa la donna può ritrovare ritmi propri e vivere quindi pienamente le potenzialità del proprio corpo, senza che nessuno intervenga a regolare, controllare, migliorare. Diversamente che in ospedale non saranno utilizzati farmaci per accelerare il processo.
    A fronte di questa richiesta sociale alcune istituzioni sanitarie cominciano ad organizzarsi e a mettere a disposizione un apposito servizio ostetrico a domicilio. Le ostetriche che assistono il parto in casa, seguono la donna sin dall’inizio della gravidanza e collaborano nel creare un ambiente adeguato per la mamma e il bambino.
    Dopo un parto in casa la donna non dovrà sottoporsi a orari e programmi non stabiliti da lei e dal suo bambino. Nessuno la sveglierà alle sei del mattino per provarle la temperatura né si vedrà offrire senza sosta né spiegazioni pillole per alleviare il dolore, per dormire, per far venire o mandar via il latte. Potrà riposare, mangiare, alzarsi, e allattare quando lo desidera.
    Anche per il neonato l’accoglienza risulta migliore, tra le cure e le attenzioni dei genitori, da quali non sarà separato. Ciò é molto importante, poiché le ore immediatamente successive alla nascita sono fondamentali per la creazione del legame affettivo tra genitori e figlio. Il padre, in casa propria, è parte integrante dell’esperienza e dopo la nascita non dovrà sottostare ad assurdi orari di visita per stare con il figlio

    Allattamento al seno

    Logiche economiche e disinformazione hanno contribuito a diffondere l’abuso di latte artificiale per i neonati, che rappresenta una fetta importante dei profitti di alcune imprese multinazionali. Anche le strutture sanitarie, a volte, hanno una certa responsabilità nello scoraggiare le mamme rispetto all’allattamento al seno che, invece, ha un ruolo fondamentale per la crescita equilibrata psicofisica del bambino.
    I benefici del latte materno sono ampiamente dimostrati da numerose ricerche scientifiche e documenti internazionali (OMS e Unicef tra le altre). Al seno, il bimbo trova il nutrimento perfetto per il suo corpo che è in rapida crescita, nonché l'amore e la sicurezza di cui ha bisogno per svilupparsi come persona. L'allattamento materno è fonte di importanti immunità: l’organismo della madre che allatta al seno produce anticorpi contro i germi che minacciano la salute del suo bambino e glieli passa attraverso il latte; inoltre, il latte materno contiene cellule vive che combattono i batteri nocivi nello stomaco del bambino. I bambini allattati al seno sono meno soggetti alle malattie respiratorie, hanno meno raffreddori, sono meno predisposti a malattie gravi come bronchite e polmonite e meno soggetti alle allergie, hanno meno gastroenteriti, vomitano con meno frequenza, hanno meno otiti e subiscono meno ricoveri ospedalieri rispetto ai bambini allattati artificialmente.
    L'allattamento al seno favorisce il legame madre – bambino: soddisfa e rafforza il bisogno della madre e del bambino di stare insieme. Le poppate frequenti offrono molte occasioni di contatto "pelle a pelle" e permettono di conoscersi meglio. Di solito, i bambini allattati al seno piangono di meno dato che il contatto frequente con la madre li rende felici e appagati. Poiché il latte materno è facilmente digeribile, essi hanno meno probabilità di essere disturbati da flatulenza e dal male al pancino.
    Il latte materno non richiede preparazione, è sempre alla temperatura giusta e non necessita né di conservazione in frigorifero, né di sterilizzazione; è una grande comodità quando si viaggia o durante la notte. Inoltre l'allattamento facilita la perdita dei chili in più presi durante la gravidanza, poiché la produzione di latte richiede un maggior consumo di energie.
    L'allattamento al seno aiuta la madre a prendere coscienza delle responsabilità ed a godere delle soddisfazioni connesse al particolare ruolo che ella ricopre nell'ambito della famiglia. Affinando la propria capacità di essere madre, la donna migliora se stessa dal punto di vista umano. L'intuito e la sensibilità maturati nella sua esperienza di maternità le saranno preziosi in qualsiasi circostanza della vita.
    Si ritiene che per i primi sei mesi il bambino debba ricevere solo latte materno, dalla sua mamma o da una balia, oppure latte materno spremuto, e nessun altro cibo o bevanda, senza gocce o sciroppi che contengano vitamine, integratori minerali o farmaci. Dopo 6 mesi, l’allattamento al seno dovrebbe continuare ancora, anche fino ai 2 anni, con l’aggiunta di cibi complementari.
    In realtà la maggiore parte dei bambini non vengono allattati esclusivamente al seno. In media nel mondo solo il 39% dei bambini lo è, persino nei primi 4 mesi di vita, e la media può calare anche molto in alcune zone più “sviluppate” (ma probabilmente con meno informazione!) o dove mancano consapevolezza e azioni di sostegno.
    Per ricevere utili informazioni sull’allattamento materno e condividere l’esperienza con altre mamme si può fare riferimento ad associazioni come la Leche League (Lega del Latte - http://www.lalecheleague.org/Italia.html).

    Sommersi dai pannolini

    In Italia si consumano 2 miliardi di pannolini all’anno. La diffusione è iniziata negli anni sessanta. I pannolini producono un danno ambientale consistente se si considera la strage di alberi per produrre la cellulosa e l’enorme mole di rifiuti che, a causa del polietilene, non sono biodegradabili.
    Diverse famiglie hanno scelto di tornare al pannolini in cotone lavabile, non solo come scelta ecologica, ma anche perché sono molto più graditi al culetto del bambino. La diffusione di questa abitudine potrebbe far nascere anche dalle nostra parti servizi di raccolta a domicilio e lavaggio come avviene in altri paesi.
    Una via di mezzo può essere il pannolino usa e getta biodegradabile in amido di grano.

    La dieta dei bambini

    La dieta di bambini e giovani è molto squilibrata rispetto alle reali esigenze dell’organismo, troppo ricca di proteine e grassi e povera di carboidrati complessi e fibre. Si tende a mangiare troppi alimenti di origine animale e troppo pochi vegetali; troppi alimenti raffinati, ricchi di grassi e zuccheri semplici. Questa dieta, unita ad uno stile di vita sedentario, contribuisce allo sviluppo del sovrappeso e dell’obesità.
    Una dieta adatta ai bambini dovrebbe essere il più possibile variata, contenere cereali e loro derivati, ortaggi, legumi e frutta fresca, limitando il consumo di prodotti confezionati. Per i bambini che tendono ad ingrassare, oltre a ridurre gli alimenti troppo calorici, sarebbe bene aumentare l’attività fisica, che non significa necessariamente fare sport, ma ad esempio andare a scuola in bicicletta e fare qualche lavoretto.

    I problemi dei bambini

    A dar retta ad insegnati, educatori, pediatri ed esperti in genere i bambini di oggi sono pieni di problemi. Parlano di disturbi caratteriali, iperattività, depressione e così via. Troppo spesso queste diagnosi sfociano nella prescrizione di psicofarmaci e ancora una volta ci troviamo di fronte alle perversioni dell’industria farmaceutica e alla connivenza di molti professionisti della salute.
    Dato che la nostra società non gode certo di buona salute è normale che i bambini ne risentano e a loro volta manifestino un certo disagio. La prima patologia che andrebbe curata è l’eccessiva apprensione dei genitori che vivono il loro ruolo in preda al terrore.
    Nella comunità allargata si apprendeva il ruolo di genitori fin da piccoli, prendendosi cura di fratellini e cuginetti, e quando nascevano propri figli questa esperienza, unita all’istinto, forniva le conoscenze necessarie. Oggi che la società è frammentata, la trasmissione di queste conoscenze non avviene più e giovani coppie si trovano spesso spiazzate di fronte alla nascita di un figlio. A questa carenza si cerca di supplire affidandosi a libri, riviste ed esperti di ogni genere, ma con risultati scarsi o addirittura dannosi. I genitori moderni, in questo quadro, finiscono per sentirsi insicuri, inadeguati e costantemente giudicati dalla società, vivendo il proprio ruolo in preda all’ansia. Ogni gesto o atteggiamento del bambino viene interpretato come “sintomo” di un qualche problema fisiologico o psicologico e subito si corre dal medico o dall’esperto di turno.
    Un bambino, come ogni essere umano, non può sempre essere felice, attivo, sicuro di sé, e non si può pretendere per lui una vita senza traumi e paure. E’ normale che viva momenti di tristezza, di aggressività e altre difficoltà. Spesso è proprio l’angoscia dei genitori ad “imprigionarlo” e ad impedirne un adeguato sviluppo emotivo. Tanto peggio se l’apprensione si mescola alla competitività e induce i genitori a fare un costante confronto tra i propri figli e altri bambini eretti a “modello”. Tale raffronto può diventare un’esperienza devastante.
    Se poi ci si trova davanti a problemi reali, prima di ricorrere a prodotti farmaceutici, sarà bene indagare quali potrebbero essere le cause psicologiche e sociali, i rapporti familiari, le abitudini di vita ed intervenire su quel versante.

    I diritti dei bambini

    Gianfranco Zavalloni, educatore ed animatore del Centro Ricerca sulle Tecnologie Appropriate, suggerisce alcuni diritti che dovrebbero essere riconosciuti ai nostri bambini (01). Il diritto all’ozio e all’esperienza non programmata in una società che sempre più tende a definire nei dettagli ogni istante della settimana, in pesante contrasto con la natura infantile che richiede autogestione e improvvisazione; il diritto di sporcarsi e di giocare con la natura; il diritto agli odori che un tempo erano una delle caratteristiche più importanti dei luoghi e che oggi sono invece cancellati e appiattiti; il diritto al dialogo, in una realtà consacrata al monologo dei mezzi di comunicazione di massa; il diritto all’uso delle mani, ormai limitato alla tastiera del computer. Poi vengono il diritto a disporre fin da piccoli di aria, acqua e cibo sano; il diritto alla strada e alla piazza come luoghi di incontro; il diritto a giocare in luoghi “selvaggi”, cioè non resi artificiali dall’intervento umano; il diritto al silenzio come premessa per apprendere l’ascolto dei suoni della natura e anche alle “sfumature” della luce naturale che cambia con il passare delle ore.

    L’arte di educare

    Educare è un processo complesso, che non può essere schematizzato e codificato. Educare non è un semplice processo verbale, frasi come “fai questo” e “non fare quello” non producono un gran che e le prediche possono essere addirittura controproducenti. Educare è una dinamica, una relazione in cui anche il genitore si mette in gioco e, a sua volta, impara. Non è una trasmissione di conoscenze e valori attraverso le parole. Per educare occorre “essere” esempi, mettere in discussione la propria infallibilità, crescere con i propri figli.
    Educare non significa spianare la strada ai propri figli. Ostacoli ed errori valgono quanto, se non più, di un buon consiglio. Per crescere occorre fare esperienza, anche di cose sgradevoli come il dolore. Questo non significa abbandonare un figlio, ma seguirlo a qualche passo di distanza.
    Per educare bisogna essere capaci di dire no evitando di dire “no e basta!”. I no sono importanti, ma devono essere motivati e coerenti con il proprio comportamento. Ai bambini va trasmesso il senso del limite che la nostra cultura ha rimosso.
    A volte i bambini ci appaiono violenti, tra di loro, o verso gli animali. Per educarli alla nonviolenza non basta affermare che la violenza è sbagliata, ma aiutarli a percepire e capire il dolore degli altri, a mettersi nei panni delle vittime. Spesso è proprio questa sensibilità a fare di una persona un cittadino solidale.

    Bambini e televisione

    Il rapporto tra bambini e televisione è uno di quegli argomenti su cui si discute tanto senza mai arrivare a prendere provvedimenti. Metà dei bambini tra 3 e 5 anni guarda la tv da 1 a 3 ore al giorno, il 17% per più di 4 ore. La percentuale sale al 25% per i bambini tra 6 e 10 anni. Solo l’8% dei bambini tra 3 e 5 anni la guarda per meno di un’ora al giorno. Molti iniziano a vederla già di prima mattina, prima di andare a scuola. In pratica il tempo davanti alla tv è molto superiore a quello che passato a giocare con i propri coetanei o a leggere. Spesso questi bambini guardano la tv da soli: oltre il 15% dai 3 ai 5 anni e il 10% dai 6 ai 10 anni. Durante questo tempo passato davanti al teleschermo si sorbiscono grandi quantità di spot che trasmettono modelli di vita e culturali del tutto sballati.
    Alcuni paesi hanno adottato delle contromisure: i paesi scandinavi, l’Austria e il Quebec hanno vietato ogni pubblicità dedicata ai minori di 13 anni mentre in Olanda la pubblicità non può andare in onda prima delle 19.55.

    Piccoli consumatori

    In una società in cui il mercato pervade ogni aspetto della vita, i bambini non potevano certo restare immuni. Non a caso si investono cifre esorbitanti per pubblicizzare prodotti destinati a fasce di età sempre più basse.
    La pubblicità crea periodicamente delle mode sfruttando anche le dinamiche di inclusione-esclusione del gruppo: avere o non avere il gioco del momento, lo zainetto firmato, l’ultimo modello di cellulare determina la posizione in una specie di scala gerarchica classista che impone una rincorsa frenetica all’omologazione. Invece di accettare questa logica andrebbe riscoperto il valore dell’originalità e dell’unicità di ogni persona, si tratta di navigare contro corrente, ma non è impossibile, tanto più se si trovano alleanze.
    Il versante dei consumi è uno di quelli in cui la capacità di dire no è fondamentale. La vita moderna costringe spesso il genitore a stare lontano da casa e a trovare sistemazioni alternative ai bambini, che da parte loro continuano a rivendicarne la presenza. Questa dinamica sviluppa facilmente un senso di colpa che tende a trovare compensazione sul mercato, attraverso regali o la soddisfazione di altri tipi di richieste materiali. I bambini imparano presto a utilizzare questa logica (sfruttando i sensi di colpa) anche loro come compensazione, ma senza trarne una vera soddisfazione perché i beni materiali producono presto assuefazione e richiedono dosi sempre maggiori. Uscire da questa spirale (o evitare di entrarci) è uno degli aspetti più difficili nel ruolo del genitore moderno, ma va fatto. Aspetti materiali, affettivi e spirituali vanno tenuti in equilibrio e non si possono compensare a vicenda. La nostra società si illude di farlo e le conseguenze sono sotto i nostri occhi.
    Senso di colpa dei genitori e assuefazione dei bambini compongono la formula magica del mercato dei prodotti per bambini. I giocattoli moderni rappresentano il modello perfetto della società dei consumi. La pubblicità e il bisogno di emulazione ne fanno oggetto di desiderio sfrenato e di richieste assillanti finché i genitori non crollano. Quando il gioco entra in casa già ha perso gran parte del suo interesse, legato più all’aspetto simbolico e al desiderio che a quello materiale. Salvo eccezioni perderà di interesse nel giro di pochi giorni, lasciando spazio ad un nuovo desiderio irresistibile.
    Altro motivo per cui i giochi moderni perdono rapidamente di interesse è la loro incapacità di lasciare spazio alla fantasia. Bambole, pupazzi e macchinine muniti di circuiti integrati fanno tutto da soli e ai bambini non resta che accenderli e spegnerli svolgendo, ancora una volta, un ruolo da spettatori.
    Il desiderio di creare un sogno, con le mani e la fantasia, profondamente represso tra i nostri bambini, va invece liberato e incoraggiato attraverso la scelta di giochi adatti o, meglio ancora, stimolando l’autocostruzione in cui il bambino si mette in gioco traendone autentica soddisfazione.

    Giochi puliti

    Dato che il mercato dei giocattoli e dei prodotti per l’infanzia rappresenta un vero e proprio modello della società dei consumi e del mercato liberista, ne riproduce anche le dinamiche deleterie sul versante della produzione. Il settore è fortemente soggetto ai processi di delocalizzazione nei paesi a più alto sfruttamento della manodopera e a più basso livello di salvaguardia dell’ambiente e della salute. Il massimo del paradosso lo si raggiunge quando negli stabilimenti industriali del sud est asiatico che producono giocattoli per conto delle multinazionali si trovano, tra i lavoratori, coetanei dei bambini a cui i giocattoli sono destinati.
    Alcune campagne di sensibilizzazione e boicottaggio hanno già evidenziato condizioni di lavoro aberranti e situazioni di sfruttamento al limite della schiavitù. Questi comportamenti vanno denunciati e i prodotti delle multinazionali responsabili devono essere evitati con cura.
    Seppure rari, esistono ancora nel nostro paese artigiani del giocattolo che fanno attenzione alla qualità dei prodotti sotto i diversi punti di vista.

    Note:


    1. a cura di Michele Boato e Marco Scacchetti - Invece della TV rinverdire la scuola. Tam Tam Libri, 1995 (torna su)

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