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    Un’officina delle idee per un progetto di comunità felici:

    Qualche spunto da Porto Alegre
    Le enormi sfide che sono di fronte all'umanità ci chiedono di produrre intelligenza collettiva. Anche le culture della sinistra sono insufficienti a produrre biocivilizzazione, società sostenibili fondate sulla giustizia climatica e sociale. È un compito monumentale, prima di tutto culturale.
    7 febbraio 2010 - Redazione Rees Marche
    Fonte: Arci Report anno VIII n°4 - 02 febbraio 2010

    Qualche spunto da Porto Alegre

    Le enormi sfide che sono di fronte all'umanità ci chiedono di produrre intelligenza collettiva. Anche le culture della sinistra sono insufficienti a produrre biocivilizzazione, società sostenibili fondate sulla giustizia climatica e sociale. È un compito monumentale, prima di tutto culturale.

    In comune nell' agenda la giustizia climatica

    Il seminario internazionale di Porto Alegre è stato anche un'importante occasione per discutere sull'Agenda del 2010, che si preannuncia come un anno speciale.

    La Conferenza sul cambio climatico in Messico di dicembre sembra proprio essere, dopo il 15 febbraio del 2003 contro la guerra in Iraq, il punto di convergenza unitario di tutta la società civile globale. Non solo per l'indubbia centralità del tema: senza un pianeta vivibile, nessun diritto sarà praticabile. Ma anche perché il rischio di catastrofe climatica impone di ripensare i valori fondanti della vita, della società, dell'economia e della organizzazione sociale.

    Il fatto è che non si può aspettare dicembre, bisogna evitare che le grandi pressioni su tutti i Governi riescano a realizzare l'Accordo di Copenhagen come base della COP 16 perché quell'accordo, che non prevede vincoli e sanzioni per la riduzione delle emissioni, distrugge ogni possibilità di imporre un cambiamento all'altezza delle necessità. Per questo l'Assemblea dei popoli di Cochabamba in Bolivia, dal 19 al 22 aprile, è considerata da tutti un momento cruciale.

    L'invito arriva dal Governo boliviano, che sta contattando tutti i Governi del mondo. Anche l'Unione europea ha accettato l'invito. La partecipazione è aperta anche agli enti locali, agli scienziati ed esperti, agli intellettuali. Si discuterà delle proposte da portare alla COP 16, e della Dichiarazione universale
    dei diritti della madre Terra proposta all'Onu. È la prima volta che la società civile accetta l'invito di un Governo: l'emergenza è tale da richiedere un'alleanza inedita fra tutti coloro che vogliono salvare il pianeta, l'umanità e la natura

     

    La vecchia cultura politica non è adeguata e un pensiero nuovo, di cui pure possediamo frammenti, fatica a farsi progetto, disseminato come è in mille pratiche, rivoli e linguaggi. Per questo l'opposizione da sola non basta, bisogna iniziare a far convergere gli elementi che danno forma a una nuova società, a una nuova economia, a una democrazia radicalizzata, e che possono produrre un'accumulazione di forze per il cambiamento. Non possiamo basarci sul determinismo tipico di certa sinistra. Le contraddizioni del sistema non necessariamente spostano gli equilibri verso il bene, come è dimostrato dalla forza delle culture populiste, razziste ed escludenti in tante società: c'è bisogno di un immenso sforzo soggettivo di intelligenza e creatività.
    Il capitalismo oggi, è vero, non riesce a produrre una visione utopica su se stesso. Nessuno oggi direbbe che il mercato porta alla felicità. Continua però a esercitare un potere enorme anche sui sistemi di riproduzione
    culturale, in particolare attraverso il miraggio del consumismo e il controllo dei mezzi di comunicazione di massa. Serve un altro progetto, capace di produrre una diversa egemonia culturale, per allargare il campo di forze del cambiamento. Abbiamo bisogno di una ‘officina delle idee' dove mettere in comune gli elementi
    che possediamo con mente aperta e disponibilità all'ascolto, in cui coinvolgere saperi e competenze, superando le categorie che appartengono al passato, inclusa la tendenza alla divisione che è la maledizione
    della sinistra. Non serve un'utopia e una politica astratta. Il valore della democrazia ci impone di abbandonare i modelli verticistici e gerarchici che sono stati propri dei progetti storici messi in campo anche a
    sinistra. Dobbiamo ripensare il mondo a partire dal basso, dai territori e dalle comunità. Lì devono ancorarsi saldamente utopia e politica nuova. È il territorio il centro della sfida. Un territorio che pensa al globale perché riconosce il tasso altissimo di interdipendenza che lega tutte le dinamiche locali alla dimensione planetaria. E che nello stesso tempo è capace di rimettere a valore le sue peculiari identità come risorsa per immaginare società felici, conviventi, responsabili ed ecologicamente sostenibili. Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi.

    Dopo dieci anni di lotte, una visione sul futuro

    Il risultato del lavoro di sistematizzazione del dibattito di Porto Alegre arriverà nelle prossime settimane. Un gruppo di intellettuali è al lavoro per restituire il prodotto di cinque giorni di dibattito. Quello che trovate qui
    a fianco è solo un primo e parziale tentativo di ricostruire, con un collage di concetti espressi da diversi
    partecipanti, il filo conduttore dell'inedito esperimento culturale promosso dai fondatori brasiliani del Forum
    sociale mondiale. Il seminario internazionale Fsm 10 anni, organizzato per sessioni di approfondimento
    tematiche a cui sono state invitate un centinaio di persone da tutto il mondo, si è svolto all'interno del Forum
    sociale di Porto Alegre, partecipato da 30mila persone.

    Dopo dieci anni, i rappresentanti dei principali attori sociali (sindacati, campagne, associazioni, movimenti)
    di tutti i continenti hanno avuto uno spazio comune per porsi domande e approfondire questioni. Consenso generale sul fatto che le resistenze sono necessarie ma che, per conquistare consenso a un mondo migliore, bisogna essere capaci di proporre un progetto di società diverso.

     

    Il pianeta non regge il peso di un'economia fondata sull'accumulazione, sullo spreco, sul produttivismo. E non ci salverà l'illusione che la scienza e la tecnologia in qualche modo troveranno una soluzione: i saperi non sono neutrali, per essere utili devono essere al servizio di un progetto diverso. Bisogna pensare a nuove
    forme di produzione compatibili con l'ambiente e con la dimensione comunitaria, immaginare un'economia
    fondata sulla piccola scala e sulla filiera corta. Sulla piccola scala integrata e interdipendente si può
    applicare il massimo della scienza e della tecnologia orientate al benessere e alla sostenibilità. Lo stato,
    oggi sequestrato dai poteri forti, va messo al servizio della redistribuzione verso il basso di potere, di democrazia, di partecipazione. Le politiche pubbliche devono sostenere l'universalità dei diritti rafforzando l'autogoverno, e produrre la composizione nonviolenta dei diversi interessi di società complesse e diversificate. Non si tratta di diventare più tristi o più poveri. Il concetto di ‘bien vivir' indigeno ci offre una suggestione per pensare a un sistema di comunità felici, fondate sull'armonia fra esseri umani e natura, sulla relazione e la gratuità, sul valore della memoria, sulla responsabilità verso gli altri e il futuro.
    Bisogna recuperare la spiritualità del vivere, ridare senso e sacralità alla vita, sostituire la scalata all'accumulazione con il benessere che viene dall'equilibrio con gli altri ed il pianeta.

     

    Note: Info: bolini@arci.it

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