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    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Problemi economici, politici e sociali

    L'acqua, per la sua natura ed il suo ruolo nella vita umana, , ha implicazioni molto profonde sui vari aspetti dell’esistenza collettiva, da quelli sociali, a quelli economici e politici.

    I problemi sociali

    Una problema di dimensioni drammatiche è l'accesso all'acqua. Molti di noi si sentono perduti se i rubinetti restano a secco per qualche ora; in altri paesi, soprattutto nel sud del mondo, intere popolazioni vivono un carenza idrica costante. Si calcola che 1,4 miliardi di persone nel mondo non abbiano accesso all'acqua potabile e che, in assenza di provvedimenti seri, questo numero supererà i 3 miliardi nel 2020. Metà dell'umanità non dispone di sistemi fognari adeguati e ogni anno decine di milioni di persone muoiono per dissenteria e altre malattie causate dalla cattiva qualità dall'acqua ingerita.
    Negli anni '80, preoccupata per le conseguenze sanitarie dell’acqua inquinata, l'Organizzazione Mondiale della Sanità si è data l'obiettivo di fornire 540 litri di acqua al giorno ad ogni cittadino del mondo a non più di 200 metri da casa. Quello dal 1980 al 1989 fu dichiarato dall'ONU decennio dell'acqua. Molte risorse furono investite in questo campo, ma con scarsa efficacia.
    Il problema idrico è spesso all'origine di enormi migrazioni che provocano pressioni demografiche sui territori di destinazione, con tutte le conseguenze che ne derivano.

    Acqua e salute

    La salute umana è strettamente legata alla possibilità di accedere ad acqua di buona qualità tant’è vero che un inadeguato accesso all’acqua è all’origine del 70% delle malattie umane nei paesi sviluppati e dell’85% nei paesi poveri.
    Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di 5 milioni di morti all’anno per malattie veicolate dall’acqua, gran parte di questi sono bambini. La Banca Mondiale, nel suo rapporto del 1992, affermava che l’accesso all’acqua e un adeguato equipaggiamento igienico permetterebbero di evitare 2 milioni di decessi all’anno dovuti alla dissenteria che colpisce bambini e neonati.
    Nei paesi industrializzati, da decenni, sono ormai sotto controllo le epidemie collegate all’inquinamento idrico, mentre la situazione si aggrava nelle aree in via di industrializzazione, soprattutto nelle baraccopoli che non hanno adeguati sistemi di distribuzione e depurazione delle acque.
    La malaria, strettamente legata all’acqua, è la malattia parassitaria che causa il più alto numero di morti nel mondo e condiziona la vita di centinaia di milioni di persone in vaste aree del pianeta. L’OMS stima circa 100 milioni di nuovi casi ogni anno con almeno un milione di morti tra i bambini.
    Conferenze e trattati internazionali
    Sui problemi globali dell’acqua ha cominciato a diffondersi una certa consapevolezza negli anni Settanta. Nel 1977 le Nazioni Unite organizzarono a Mar del Plata (Argentina) la prima conferenza mondiale sull’acqua. Questa conferenza ha messo in evidenza la crisi idrica e ha indotto l’ONU a promuovere il decennio dell’acqua, tra il 1981 e il 1990, con l’obiettivo di permettere a tutti gli esseri umani di disporre di acqua potabile entro il 2000. Il risultato è stato tutt’altro che raggiunto e la crisi è peggiorata.
    Dalla conferenza di Mar del Plata ad oggi sono state organizzate innumerevoli appuntamenti internazionali: solo tra il 1997 e il 2000 se ne contano 16. Nonostante i fallimenti, la politica internazionale sull’acqua non ha subito grandi cambiamenti.

    I problemi economici

    Tradizionalmente, l’acqua è stata concepita come un bene comune di prima necessità e, quindi, diritto fondamentale dell'essere umano. Per questo, come l'aria, è sempre stata un classico esempio di bene gratuito. Diminuendo la sua disponibilità si tende ad attribuirle un valore economico, motivandolo con il fatto che la distribuzione ed i vari trattamenti sanitari hanno un costo considerevole. Anche le istituzioni pubbliche che, per ragioni politiche, avevano scelto di imputare questi costi sulla fiscalità generale piuttosto che sul costo effettivo dell'acqua (quello che risulta in bolletta), stanno ormai cambiando atteggiamento.
    La spinta proviene da due direzioni: una è quella di chi pensa che attribuendo un costo reale all’acqua se ne promuove un uso più oculato da parte di attori economici e singoli cittadini; l’altra è quella di chi ha interesse ad una gestione privatistica dell'acqua, al pari di un qualunque altro bene sul mercato. Questo nonostante sia evidente che il mercato puro e semplice ha dei grossi limiti che, nel caso dell'acqua, possono produrre conseguenze disastrose. L’esperienza maturata in vari settori, e anche nello stesso settore idrico, dimostra che la logica del mercato, diversamente da quella pubblica, privilegia gli interessi economici di pochi rispetto ai diritti collettivi. In altri termini la liberalizzazione provoca situazioni di esclusione nei confronti di chi ha ridotte capacità economiche e non può permettersi costi crescenti e non socializzabili. Altro rischio, tutt'altro che remoto, è la nascita di monopoli in cui le imprese che gestiscono la risorsa idrica si trovino nelle condizioni di determinare prezzi e condizioni a loro piacimento.

    Privatizzazione dell’acqua

    Negli ultimi anni, in vari settori dell’economia pubblica, si è assistito ad un processo di privatizzazione frenetica e spesso immotivata. Di recente anche l’acqua è stata travolta da questa furia. Molti enti pubblici si sono affrettati a liquidare le proprie aziende di gestione (captazione, depurazione, fognature…) forse non ricordando che all’inizio del secolo scorso erano imprese private a gestire questi servizi e che gli enti pubblici dovettero municipalizzarle per salvarle dal collasso.
    L’affare, per le imprese che gestiranno il servizio, sta nella possibilità di aumentare le tariffe a scapito degli utenti, dal momento che attualmente quelle italiane sono mediamente molto più basse (circa 1/5) rispetto a quelle francesi o tedesche. Si tratta di un mercato globale, tant’è vero che le multinazionali straniere concorrono per la gestione dell’acqua in diversi comuni italiani, mentre imprese italiane hanno fatto altrettanto all’estero.
    Privatizzare l’acqua significa sottomettere un bene vitale ad interessi finanziari e ridurre la partecipazione democratica dei cittadini nelle decisioni sulla gestione. Se fino ad oggi l’acqua era considerata una risorsa vitale di cui la collettività (enti pubblici) si faceva carico, oggi diventa una vera e propria merce destinata a chi può pagarla.
    La privatizzazione dell’acqua non è un problema solo italiano e si assiste ad una forte pressione sui paesi del sud del mondo. Basti pensare che nel 2000 i prestiti concessi dal Fondo monetario internazionale a 12 paesi (quasi tutti africani, poveri e indebitati) hanno avuto come condizione comune la privatizzazione delle risorse idriche. Altrove, lo stesso ricatto è stato formulato dalla Banca Mondiale. La convinzione, tutta da dimostrare, elaborata nelle varie conferenze internazionali, è che, per assicurare una gestione "efficace" dell'acqua in tutto il mondo, questa debba essere considerata come un "bene economico" (e non solo come un "bene sociale"), il cui valore venga determinato sulla base del "giusto prezzo", fissato del mercato nell'ambito della libera concorrenza internazionale, secondo il principio del recupero del costo totale.
    Nei paesi più poveri la liberalizzazione del servizio idrico sta già facendo sentire i suoi effetti, soprattutto con un pesante aumento dei prezzi e l’esclusione di fette consistenti della popolazione del servizio. In molte parti del mondo questo sta provocando l’opposizione di cittadini e società civile.
    Com’è facile immaginare, dietro questa corsa alla privatizzazione ci sono soprattutto grandi multinazionali. Le principali sono francesi, tedesche ed inglesi, ma anche in Italia si stanno ormai formando importati gruppi a partire dalle ex municipalizzate di grandi città che sono state privatizzate e poi si sono lanciate sul mercato dei vari servizi, sia in patria che all’estero.
    Attualmente, le grandi compagnie private riforniscono 300 milioni di cittadini. Esse prevedono di dare acqua nel 2015 a 1.650 milioni di persone. A più lungo termine, si ipotizza che quattro cinque grandi reti di imprese private multi-territoriali e multi-servizi potranno gestire, sulla base di appalti e subappalti, l’insieme dei servizi idrici nel mondo.

    Acque minerali

    Una forma particolare di privatizzazione e mercificazione dell’oro blu è il mercato delle acque minerali. Le bottiglie di acqua, che una volta occupavano pochi scaffali, oggi hanno invaso le corsie dei supermercati. Le marche sono infinite e le imprese fanno sforzi immani per “aggredire“ il mercato investendo miliardi in pubblicità che creano slogan idioti e inventano assurdità come l’acqua “dietetica”, l’acqua “microfiltrata” e altre amenità del genere. Quella delle acque minerali è una delle grandi speculazioni degli ultimi anni: un affare da 2 miliardi e 300 milioni di euro, di cui 80 milioni spesi in pubblicità.
    In pochi anni gli Italiani sono diventati i maggiori consumatori di acqua minerale al mondo. nel 2000 ci siamo bevuti in media circa 160 litri di acqua minerale a testa, senza contare l’acqua colorata e zuccherata venduta come bibite. Il 46% di italiani non beve mai dal rubinetto. La spesa media per famiglia raggiunge i 260 euro e il nostro paese conta oltre 180 unità produttive, 266 marche, 5500 miliardi di fatturato. Il mercato italiano è controllato per il 70% da 4 o 5 grandi gruppi.
    Il mercato mondiale riguarda un volume annuale di 45 milioni di euro, che corrisponde ad una media di 15 litri di acqua in bottiglia bevuti annualmente a persona. Nell’Unione Europea, nel 2000, sono stati consumati 34.516 milioni di litri di acqua minerale. Negli stati europei extracomunitari solo 4689. Nei paesi poveri, l'acqua minerale è un lusso da turisti stranieri o riservato alle elite.
    Il mercato delle minerali coinvolge numerose compagnie, gran parte della quali si sta unendo in grandi gruppi o finisce sotto il controllo delle maggiori multinazionali, in particolare Nestlé o Danone. Di recente sono entrate nel mercato delle acque minerali anche le multinazionali delle bibite come Coca Cola e PepsiCo.
    Nonostante i prezzi esorbitanti dell’acqua in bottiglia, i costi di produzione sono estremamente bassi: imbottigliare un litro di acqua costa pochi centesimi di euro. Sono gli eccezionali margini di profitto ad animare le multinazionali del settore. Alla base di questo scandalo ci sono canoni irrisori che le ditte delle acque minerali pagano agli enti pubblici per lo sfruttamento delle sorgenti. Per farsi un’idea si pensi che nel 2001 la Nestlè pagava 68 milioni di vecchie lire per le concessioni Lora e Lizzarda, la Ferrarelle in Campania 981 mila lire all’anno, la San Benedetto in Abruzzo 1 milione e 75mila lire, l’acqua Lete a Caserta 111.000 lire.
    Il mercato delle acque minerali ha anche pesanti risvolti ambientali, a partire dalla grande quantità di bottiglie di plastica che devono essere smaltite: circa il 70% delle bottiglie di acqua minerale sono fatte in plastica. Considerando che una bottiglia di PET pesa circa 25g/ litro, che nel mondo vengono consumati 89 miliardi di litri di acqua in bottiglia e che il 70% delle bottiglie di acqua minerale è in plastica, ne deriva che ogni anno vengono utilizzati 1,5 milioni di tonnellate di plastica per smerciare acqua minerale. Altri rifiuti ancora si accumulano nel ciclo di produzione (si pensi alla plastica utilizzata per avvolgere il pacco- generalmente da 6 bottiglie da 1.5 litri- normalmente in vendita nei negozi).
    Oltre alle grandi quantità che finiscono in discarica, si tenga presente che il riciclo della plastica delle bottiglie è un processo difficile e costoso a causa del basso valore commerciale della materia seconda e dello scarso peso del rifiuto in rapporto al volume. In molti casi le bottiglie recuperate attraverso la raccolta differenziata prendono la strada dell’inceneritore, il quale può emettere sostanze altamente inquinanti. Inoltre, oltre un terzo in peso del rifiuto bruciato rimane sotto forma di ceneri, in cui si concentrano altri composti tossici non emessi con i fumi. A tutto questo si aggiungano i milioni di bottiglie abbandonate nell’ambiente, nei corsi d’acqua e nel mare e destinate a durare migliaia di anni.
    Gli imballaggi non producono solo rifiuti: consumano anche energia. Per produrre PET vengono richiesti 5,9 GJ per 1000 litri, 8850 GJ per la produzione annua mondiale.
    Altro grande problema di questo mercato riguarda i trasporti. La maggior parte degli 89 miliardi di litri di acqua imbottigliata ogni anno nel mondo viene bevuto lontano dal luogo origine (addirittura 1/4 del totale al i fuori del Paese in cui viene prelevata e imbottigliata). Il trasporto interno e l’esportazione delle acque danno un ulteriore contributo all’inquinamento in atmosfera. Solo per fare alcuni esempi, la Volvic (gruppo Danone), un acqua minerale prodotta in Francia, è l’acqua minerale più venduta in Germania, la n°1 per le importazioni in Giappone, Taiwan e Tailandia e la n° 2 per Inghilterra e Irlanda. O ancora, la Tallians, prodotta in Italia, è sconosciuta nel nostro pese ma è tra le più vendute in Francia. Tutti questi inutili viaggi causano gradi consumi di combustibile ed emissioni.
    La captazione dell’acqua destinata all’imbottigliamento crea spesso problemi alle comunità locali. A Riardo, ad esempio, la popolazione subisce il razionamento dell’acqua dopo che la sorgente locale è stata data concessa alla Ferrarelle (gruppo Danone) per imbottigliare due milioni di litri al giorno.

    Problemi politici

    Quando ci si trova in situazione di scarsità idrica (ma non solo), l'acqua diventa un problema politico. Sono diversi i paesi che per il loro approvvigionamento dipendono in gran parte da corsi d'acqua provenienti da altri paesi, infatti oltre il 40% della popolazione mondiale vive in bacini idrografici divisi tra più stati. In diversi casi questa situazione ha causato delle guerre e le previsioni per il futuro sono abbastanza catastrofiche.

    Guerre dell’acqua

    Da tempo immemorabile l'acqua, essendo una risorsa di primaria importanza, è oggetto della conflittualità umana, tanto più in situazioni di scarsità, e spesso il diritto internazionale appare inadeguato a risolvere le dispute tra stati.
    I paesi che si trovano a monte nel percorso di un fiume hanno un importante strumento di pressione sui paesi che si trovano a valle, facendo dell’acqua una risorsa strategica, come il petrolio. Negli ultimi anni la situazione sta precipitando.
    In un conflitto l'acqua può rappresentare sia un obiettivo che un'arma.
    Sono numerosi i casi nella storia in cui gli eserciti hanno utilizzato l’acqua come arma, inquinandola con fango o escrementi al fine di "prendere il nemico per sete". Negli ultimi decenni, i trattati internazionali che cercano di disciplinare le guerre, hanno incluso norme a salvaguardia delle risorse idriche, ma queste norme sono state spesso violate o aggirate.
    Si contano attualmente circa 50 “guerre”, più o meno latenti, per cause legate alla proprietà, alla spartizione o all’uso dell’acqua. In alcuni casi l'acqua è solo un pretesto, in altri è una questione centrale. India e Bangladesh disputano sul Gange, Messico e Stati Uniti sul Colorado, cinque ex repubbliche sovietiche nell’Asia centrale, si contendono l’Amu Darja e il Sir Darja. Ma i conflitti più “caldi” sono nel Vicino e Medio Oriente e in Africa, dove le disponibilità di acqua sono più scarse, in particolare nei bacini del Tigri-Eufrate, del Nilo e del Giordano. La stessa guerre arabo-israeliana è in buona parte una guerra per l’acqua.

    Le grandi dighe

    Le dighe servono a proteggere un territorio, a governare un corso d’acqua, controllarne il flusso e a produrre energia. La civiltà umana ne fa uso da tempo immemorabile. Attualmente ci sono nel mondo 45.000 grandi dighe di cui 35.000 costruite dopo il 1950. Negli ultimi 15 anni il ritmo di costruzione è accelerato sensibilmente.
    Quando si propone la costruzione di una nuova diga si tende a sopravvalutare i vantaggi, mentre si sottostimano i costi e le conseguenze negative. Il primo effetto è l’evacuazione delle popolazioni che vivono nel futuro bacino e nelle zone limitrofe. Il totale delle persone costrette a spostarsi per la costruzione di dighe è stimato tra i 30 e i 60 milioni, di cui 10 solo in Cina. Gli indennizzi, quando sono previsti, naturalmente sono ridicoli.
    Un'altra vittima è l’ecosistema: riduzione delle biodiversità (estinzione di pesci migratori e di piante acquatiche), riduzione dell’apporto di acqua a valle, interruzione dell’apporto di sedimenti spesso indispensabili alle attività agricole, elevazione delle falde acquifere. La rottura di grandi dighe, avvenute già in diversi casi, sono vere e proprie catastrofi. I bacini creati sono spesso inquinati e le acque stagnanti portano malattie come la malaria. I costi di manutenzione e depurazione sono molto elevati mentre l’acqua accumulata e l’energia prodotta sono spesso inferiori alle stime. In alcuni casi la costruzione di una diga che modifica il corso di un fiume può innescare conflitti tra stati vicini.
    La prima grande diga è stata quella egiziana di Assuan, che risale agli anni Sessanta e ha creato il lago Nasser. Tra i progetti più controversi ci sono le dighe della Turchia e quelle cinesi sullo Yangtze.

    Soluzioni ambigue

    Le soluzioni adottate per risolvere i problemi legati all’acqua non sempre hanno dato i risultati sperati. Le varie proposte tecniche e politiche andrebbero sempre valutate in tutti i loro aspetti e nelle loro ricadute a lungo termine.

    Progetti di sviluppo

    Un errore frequente nei progetti di cooperazione internazionale è l’idea di potere applicare in paesi completamenti diversi le tecnologie create per i paesi occidentali. In molti casi strutture costosissime e moderne rischiano di restare inutilizzate alla prima rottura perché nessuno, in loco, è capace di ripararle. Sarebbe opportuno investire in progetti di piccola scala e di facile gestione, utilizzando le tecnologie più appropriate al contesto in cui si opera.

    L’acqua virtuale

    Data la scarsità di acqua per l’agricoltura in alcuni paesi, gli organismi internazionali propongono che i prodotti agricoli a più alto consumo di acqua siano importati dall’estero. Si stima che importare una tonnellata di frumento equivale a risparmiare 1000 tonnellate di acqua.
    Il rischio è che questa soluzione metta in breve tempo i paesi poveri in uno stato di dipendenza assoluta dai paesi ricchi.

    Dissalazione

    Dal 1950 in avanti si sono fatti notevoli progressi nella capacità di dissalazione per ottenere acqua potabile dal mare. In alcuni casi i processi di distillazione usano fonti energetiche alternative e su piccola scala possono funzionare dissalatori ad energia solare, ma il più delle volte questi processi richiedono un grosso consumo di energia e hanno un costo elevato.

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