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    3 ottobre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Dietro l’informatica

    Nel mondo si producono 170 milioni di computer ogni anno. L’informatica e le sue numerose applicazioni hanno ormai invaso le nostre case, gli apparecchi e gli utilizzi si moltiplicano, quindi è bene che il cittadino solidale comincia a fare attenzione alle problematiche relative sia all’ hardware che al software.

    Hardware e duro lavoro

    La produzione dei computer, delle varie periferiche e degli accessori, si svolge per il 70% nei paesi del sud del mondo, dove rappresenta circa un terzo del mercato delle esportazioni. Sappiamo già che delocalizzazione significa sfruttamento e problemi ambientali. A conferma, CAFOD (http://www.cafod.org.uk), organizzazione britannica di ispirazione cattolica che si occupa di solidarietà internazione, ha pubblicato nel febbraio 2004 il rapporto "Clean up your computer" (ripulisci il tuo computer), contenente interviste e prove raccolte in alcuni paesi, come Thailandia, Cina o Messico, che dimostrano le pessime condizioni in cui si trovano i lavoratori del computing. Si tratta perlopiù di personale dipendente di aziende locali che lavorano in subappalto per i grandi nomi dell'informatica come IBM, Dell e HP.
    Tra gli esempi riportati dal rapporto la storia di Monica, di Guadalajara, in Messico, una donna costretta a denudarsi dinanzi ad una commissione medica che voleva accertarsi dell'assenza di tatuaggi. Monica ha dovuto anche sottoporsi ad un test di gravidanza. Avere tatuaggi è uno dei motivi per cui non si viene assunti, assieme all’essere omosessuali, avere un padre avvocato, aver fatto ricorso a sindacati o lavorato per essi.
    Le condizioni di lavoro sono spesso pericolose. Nelle diverse fasi della produzione i lavoratori possono essere esposti a sostanze chimiche dannose, a fumi di saldatura, polveri metalliche e rumore. A ciò si aggiunge che, in questi paesi, dove i controlli sono pressoché inesistenti, si lavora per molte ore ogni giorno con paghe irrisorie. In Thailandia, per esempio, afferma CAFOD, un lavoratore che costruisce dischi rigidi che vengono poi montati sui computer di aziende come Dell, guadagna circa 2,50 dollari al giorno.
    Purtroppo, per ora, il cittadino solidale che ha bisogno di un computer non ha grandi alternative e bisognerà aspettare ancora del tempo per trovare nei negozi un computer equo e solidale. Nel frattempo è possibile adottare, anche nei confronti dell’informatica, un atteggiamento più sostenibile.
    BOX: il peso del computer
    Uno studio dell’Università delle Nazioni Unite di Tokio (http://www.it-environment.org) rivela che per produrre un computer e un monitor sono necessarie materie prime equivalenti a 10 volte il loro peso: 240 Kg di combustibile e 22 kg di minerali, a cui si devono aggiungere 1500 litri di acqua. In pratica un computer, in tutto il suo ciclo di vita, impiega l’80% dell’energia per essere prodotto e il 20% per funzionare.

    Obsolescenza, rifiuti e recupero

    Le case produttrici di computer hanno sposato la politica commerciale dell’obsolescenza rapida. Pochi mesi dopo avere introdotto e promosso sul mercato un nuovo modello ne viene lanciato uno nuovo, più potente, più veloce, con maggiori funzioni. I produttori di programmi sono complici della strategia, realizzando nuovi software compatibili solo con i nuovi processori. Tutto questo meccanismo stritola gli utilizzatori di computer alle prese con una rincorsa senza fine.
    In alcuni casi seguire gli aggiornamenti e sostituire le macchine può essere necessario, ma il più delle volte si tratta di problema di “moda”, oppure si cade vittima dell’abilità di venditori esperti nel rifilare sempre l’ultimo modello.
    La rapida obsolescenza produce una mole enorme di rottami di computer da smaltire, stimati in 12 mila tonnellate all’anno (e altrettanti di monitor). Queste apparecchiature contengono numerose sostanze che, se non trattate correttamente, sono pericolose ed inquinanti (fosfori degli schermi, mercurio, piombo e altri metalli pesanti). Solo il 15% viene trattato in maniera adeguata, il resto finisce in discarica.
    Il mercato dell’usato praticamente non esiste, fatte salve alcune organizzazioni ed imprese che lavorano sul recupero, a volte assemblando pezzi di computer diversi. Ad esempio, nel carcere di Bollate i detenuti e la P.C.DET hanno implementato un'interessante iniziativa di lavoro nel riciclaggio di computer rotti o obsoleti. (http://www.pcdet.it). Anche se non si tratta dell’ultimo modello sono macchine che assolvono a tutte le funzioni di cui un cittadino medio o uno studente possono avere bisogno.
    Un altro accorgimento per ridurre i rifiuti informatici è la raccolta differenziata di cartucce e toner delle stampanti e l’utilizzo di quelle rigenerate al posto di quelle vergini.

    Software libero

    Parlando di OGM ci siamo occupati dei brevetti, ossia delle forme di protezione dei prodotti dell’ingegno e del cosiddetto “diritto d’autore”. Il diritto d’autore ed il brevetto sono alla base dell’economia di mercato come la conosciamo oggi e quasi tutti gli economisti sono convinti che senza queste forme di protezione non ci sarebbe più “sviluppo” in quanto è proprio il riconoscimento di una remunerazione che induce una persona o una organizzazione ad investire energie nella progettazione e nella creazione di un nuovo bene o servizio.
    Tuttavia esiste un numero crescente di persone che contesta questa idea, convinta invece che il cosiddetto copyright rappresenti in realtà un limite al “progresso” che nella storia dell’umanità si deve alla circolazione delle idee e alla cooperazione più che al divieto di utilizzare le scoperte effettuate da altri.
    In questo dibattito di grande importanza, il settore dell’informatica sta rivestendo un ruolo emblematico. I programmi (software) informatici sono un tipico esempio di prodotto dell’ingegno soggetto a “diritto d’autore”. Chi li vuole usare deve pagare una licenza e lo stesso vale per apportare modifiche. La situazione è resa ancora più grave da un mercato in cui soggetti economici di grandi dimensioni, come Microsoft, svolgono un ruolo di sostanziale monopolio, con il potere di determinare i prezzi e gli orientamenti del consumo.
    In alternativa è nato e si sta diffondendo il movimento del “software libero”. Si definiscono “software liberi” (open source) quei programmi informatici che l’utente può utilizzare, modificare, duplicare e distribuire liberamente senza dover pagare licenze. In pratica viene rovesciato il concetto di diritto d’autore (copyright) nell’idea di “permesso d’autore” (copyleft). Attorno a questi programmi “open source” nascono gruppi di programmatori che, condividendo saperi ed esperienze, portano avanti un processo cooperativo che permette di migliorare il programma stesso. Proprio grazie a questa collaborazione i programmi “open source” raggiungono elevarti livelli qualitativi superando i problemi tipici dei programmi “copyright”: vulnerabilità ai virus, instabilità, sicurezza.
    A questo si aggiunge che seguendo le regole del mercato i programmi “copyright” sono strutturati e riprogrammati per indurre l’utente a continui e costosissimi aggiornamenti, problema che con il programma “open source” viene superato.
    Per tutti questi motivi sono sempre più gli enti pubblici, le istituzioni, le aziende e i privati cittadini che scelgono di sostituire i sistemi operativi ed i programmi “proprietari” con quelli “liberi”.

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