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    Alcune domande e risposte sui distretti di economia solidale

    Di ritorno dall'Assemblea di REES Marche, in cui durante il pomeriggio si è trattato sul tema dell'avvio dei primi Distretti di economia solidale nella nostra regione, mi stanno ancora alla mente varie delle domande, esplicite o implicite, emerse durante i gruppi di lavoro o durante la plenaria o nei colloqui informali liberi avvenuti durante le pause e alla fine dell'incontro.
    19 aprile 2010 - Loris Asoli

    Di ritorno dall'Assemblea di REES Marche, in cui durante il pomeriggio si è trattato sul tema dell'avvio dei primi Distretti di economia solidale nella nostra regione, mi stanno ancora alla mente varie delle domande, esplicite o implicite, emerse durante i gruppi di lavoro o durante la plenaria o nei colloqui informali liberi avvenuti durante le pause e alla fine dell'incontro.
    Vorrei provare a formulare risposte per queste domande, premettendo che si tratta di una mia visione personale, in quanto non c'è ancora una definizione condivisa sul modo di intendere i DES nei loro vari aspetti e anche perché in questa fase iniziale, sia nelle Marche che in tutta Italia, è legittimo sperimentare vari modelli e modalità di attivare i DES. Certamente arriveremo a definire alcuni punti comuni imprescindibili di questa esperienza, ma per ora siamo ancora nella fase pionieristica e tutto è ancora molto fluttuante e aperto ad ogni tipo di sperimentazione.

    Quale è la dimensione geografica ottimale per un DES?

    Per questa fase vedo una dimensione ottimale nel livello intercomunale, in cui il distretto può riguardare una decina di comuni, collegati fra loro geograficamente, storicamente ed economicamente. Un esempio e la Val Misa e Nevola, che si sviluppa dal mare di Senigallia fino al preapennino di Arcevia e che comprende un insieme di comuni storicamente ed economicamente collegati, situati lungo la valle e sulle colline del fiume Misa e di un suo affluente. Ma gli esempi potrebbero essere tanti altri. Limitandosi alle immediate vicinanze del Misa e Nevola si può parlare del distretto del Fabrianese, della Vallesina, della Valcesano, del Fanese, ognuno con un insieme di comuni collegati. A livello provinciale sembra più corretto parlare di Rete provinciale di economia solidale, che ha il compito di promuovere i distretti sul suo territorio, piuttosto che essere lei stessa distretto. Infatti il concetto di DES è molto operativo e pratico e prevede la vicinanza geografica dei soggetti coinvolti. In futuro, all'affermarsi dell'economia solidale, si può prevedere che l'ambito geografico dei distretti andrà a restringersi maggiormente, avvicinandosi a quello dei Comuni.

    In che modo viene gestito un DES?

    Il DES è gestito da un Tavolo DES, che è un luogo di incontro in cui i soggetti che sono interessati a fare questo percorso si ritrovano regolarmente insieme, per pianificare lo sviluppo economico del territorio in un'ottica di Economia solidale. Senza un Tavolo DES non si può parlare di un Distretto. A sua volta il Tavolo DES, essendo trasversale a tanti settori produttivi diversi, e avendo svariati compiti, dovrà organizzarsi per Gruppi di lavoro tematici.

    Chi può far parte del Tavolo DES?


    Nella nostra regione i Tavoli DES possono nascere per iniziativa dei soci di REES Marche che abitano o lavorano nel territorio in cui vogliono promuovere un distretto. Essi saranno i primi a far parte del Tavolo e poi cercheranno di coinvolgere tutti i soggetti che possono essere interessati: Gruppi di acquisto solidale, produttori locali che servono i GAS, altri produttori, agricoli e non agricoli, cooperative sociali, piccoli produttori artigianali, istituzioni e associazioni del territorio, fra quelle più interessate al progetto, ecc.

    Tutta l'economia del territorio rientra nell'interesse del DES o solo una parte?


    Uno dei principi dei DES è anche quello di opporsi ai processi della globalizzazione economica, così come è oggi concepita, e di promuovere la produzione e il consumo locali. Questo avviene sia per favorire l'ecologia dei processi produttivi e distributivi, sia per tutelare il lavoro locale e l'autosufficienza dei territori, per tutti quegli aspetti produttivi in cui sia sensato pensare all'autosufficienza (acqua, cibo, case, assistenza, servizi vari, sanità, istruzione di base, ecc). In prima istanza il DES si rivolge però ai settori produttivi più vicini all'economia solidale: il commercio equo, l'agricoltura biologica, la finanza etica, il consumo critico, le cooperative sociali, le produzioni ecologiche dei vari settori, ecc. Per fare un esempio, se su un territorio mancano alcune produzioni biologiche che sono presenti su un territorio limitrofo sarà più sensato, dal mio punto di vista, favorire la produzione biologica del territorio limitrofo, piuttosto che la produzione non biologica del proprio territorio, perché il principio ecologico, soprattutto in ambito alimentare, dovrebbe prevalere sul principio del localismo. Ancora più sensato sarà promuovere la riconversione delle colture del proprio territorio in modo che i due principi dell'ecologia e del localismo (o filiera corta) possano essere realizzati insieme.

    Sono ammesse tutte le forme di impresa o solo alcune?

    In generale, nell'economia solidale, dalle imprese si cercano la trasparenza, il dialogo con i consumatori dei suoi prodotti e l'uso "equilibrato" degli eventuali profitti. Le cooperative di produzione e lavoro, le cooperative agricole di produzione e le cooperative sociali potrebbero avvicinarsi di più a questi principi. I loro bilanci e l'utilizzo degli utili sono pubblici e trasparenti, la proprietà dell'azienda si può dire che è sociale, in quanto i soci non hanno diritti di ripartizione sui beni dell'azienda nel caso che questa chiuda e chi esce dall'azienda per pensionamento o per altri motivi non ha diritti sui beni dell'azienda, anche se ha partecipato a crearli. L'azienda rimane a disposizione delle generazioni successive di soci. In questo senso essa ha una funzione sociale: è un bene a disposizione dell'economia e dei soggetti del territorio. Se quindi attuano anche il principio del dialogo con i consumatori dei loro prodotti e sono attente alle loro indicazioni e richieste in direzione ecologica ed equa, possono dirsi strutture molto valide per la costruzione dell'economia solidale. Con questo non rappresentano affatto la sola tipologia d'impresa per l'Economia solidale. Il tessuto economico e produttivo è fatto di una miriade di imprese di carattere non cooperativo: imprese individuali, piccole imprese artigiane non cooperative, liberi professionisti. Tutti possono far parte dell'economia solidale purché né rispettino i principi di base, siano disponibili al dialogo nella rete, siano trasparenti nelle azioni e nei bilanci, se richieste, e non speculino sui consumatori. E' consentito che i titolari traggano un giusto è buon compenso per il loro lavoro creativo e di responsabilità e anche per il rischio d'impresa; non si vedrà invece come positivo un ingente accumulo privato di capitali e ricchezze, che viene ottenuto realizzando margini troppo alti e sfavorendo di conseguenza i consumatori.
    Una spa può far parte della rete di economia solidale? Normalmente una Spa è fondata sul criterio di massimizzazione dei profitti per i soci, mentre l'Economia solidale fonda la sua azione su principi totalmente diversi. Per cui, salvo casi particolari, difficilmente una Spa potrà rientrare fra le imprese dell'Economia solidale. Il praticare seriamente, e non solo come immagine, il principio di "responsabilità sociale d'impresa" fa avvicinare notevolmente l'impresa all'economia solidale. Se poi l'impresa realizza anche la piena trasparenza, la collaborazione alla costruzione e al funzionamento dei Distretti di Economia solidale nei territori di pertinenza e l'uso dei profitti per il bene comune, anche una Spa può rientrare a pieno titolo nell'Economia solidale! In generale la quasi totalità delle imprese nella nostra regione sono piccole imprese artigianali che faticano a fare utili rilevanti, specialmente in questa fase di crisi di sistema. Entrare a far parte della rete e del DES significa entrare in una logica in cui, attraverso il dialogo, vengono definiti insieme i ruoli dei vari soggetti economici che si mettono nella rete e i giusti prezzi per i prodotti e servizi. Ecco, la definizione di un giusto prezzo, concordato con i consumatori, trasparente nella dinamica dei costi e nella dinamica produttiva, è un criterio centrale per poter dire che un'azienda è aperta all'economia solidale e ha diritto a farvi parte a pieno titolo, qualunque sia la sua forma d'impresa.

    Ci sono o sono previsti marchi di economia solidale?

    In questa fase non ci sono marchi e non se ne sente ancora il bisogno. Tutto è fondato sulla relazione, sul rapporto diretto di conoscenza, sulla fiducia e sulla trasparenza. In successive fasi di sviluppo dell'economia solidale non è da escludere che si senta l'esigenza di definire qualche tipologia di marchio.

    Cosa fa di più il DES rispetto ai GAS?

    Un DES ha obiettivi più ampi del GAS o di una retina di GAS. L'obiettivo del DES è la trasformazione consapevole, dal basso, del modo di fare economia e comunità sociale; è un coinvolgere in un tavolo comune, non solo i consumatori, ma anche i produttori di tutti i settori produttivi e le istituzioni locali in modo da concertare insieme lo sviluppo dell'economia solidale del territorio. Il DES rappresenta una cabina di regia per lo sviluppo economico solidale del territorio, mentre l'economia convenzionale non ha un luogo di concertazione e decisione comune, ma si affida alle singole iniziative private che entrano in lotta sul mercato globale e quando concerta lo fa solo fra pochi per il dominio finanziario e commerciale dei pochi sui molti.

    Perché acquistare attraverso i GAS con il lavoro volontario, invece di affidarsi alla distribuzione convenzionale con il lavoro pagato?


    Il gas sviluppa molteplici funzioni che la distribuzione convenzionale non esplica: innanzitutto crea spirito comunitario su temi concreti in un contesto storico in cui il sistema sociale spinge all'isolamento. Poi crea condivisione, cultura, confronto e crescita interiore delle persone che vi partecipano, cosa che un negozio convenzionale non può fare. Poi favorisce il consumo di prodotti locali e quindi anche la produzione locale, il lavoro locale e, con questo, favorisce anche l'ecologia delle strutture distributive; favorisce anche una migliore conoscenza del territorio e dei suoi produttori, con le visite collettive.

    Con il nascere degli empori di economia solidale viene meno la funzione dei GAS?

    L'emporio di ES cerca di coinvolgere per primi i produttori locali biologici ed ecologici. In questo si comporta come un gas. Il gas rappresenta un aspetto più comunitario e riesce a reperire i prodotti ad un prezzo più basso per i suoi componenti rispetto all'acquisto nell'emporio, però le due strutture distributive hanno scopi simili, che possono ben coesistere fianco a fianco e collaborando, come sta avvenendo nell'emporio di Fano; gli empori possono nascere sotto la spinta dei DES perché allargano il consumo dei prodotti locali biologici ed ecologici dalla cerchia ristretta dei gas alla cerchia potenziale di tutti i cittadini di un territorio. Bisogna prendere atto sia del fatto che alcune persone hanno piacere a coinvolgersi in un processo di tipo GAS, sia che non tutti possono e vogliono coinvolgersi in tale processo. Gas ed empori di ES possono ben convivere fianco a fianco, fino a che l'economia solidale non avrà espresso le forme più mature di distribuzione dei prodotti e servizi, in condivisione fra produttori e consumatori.

     

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