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    3 ottobre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Vestiti puliti

    L’abbigliamento rappresenta la quarta voce di spesa delle famiglie italiane e spesso viene acquistato solo sulla base di considerazioni estetiche ed economiche. Per il cittadino solidale ci sono anche altri aspetti di cui tenere conto, riguardanti il tipo di fibre e le ripercussioni sociali e ambientali legate alla produzione e trasformazione.
    Le fibre possono essere naturali (vegetali e animali) o sintetiche (di produzione chimica, per lo più derivate dal petrolio). Gran parte dell’abbigliamento in commercio è di provenienza sintetica, al 100% o mescolato con fibre naturali, ma anche tessuti in cotone e lana possono essere stati trattati con sostanze chimiche e procedure che li rendono molto simili ai prodotti acrilici. Sono definite sintetiche quelle fibre tessili che derivano dal petrolio: rayon, nylon, lycra, ecc. e rappresentano oltre la metà dei consumi tessili mondiali. Hanno il vantaggio di costare poco, si possono colorare facilmente, non vengono aggredite da muffe e batteri e sono facili da pulire. Per contro, oltre ad avere un più alto impatto ambientale, assorbono pochissimo il sudore corporeo, non si possono sterilizzare tramite bollitura, generano fenomeni elettrostatici, non consentono alla pelle un’adeguata traspirazione favorendo allergie e cattivi odori.
    Anche i coloranti utilizzati nell’industria tessile ormai sono quasi esclusivamente di origine sintetica, più economici di quelli naturali, ma molto più inquinante e spesso di qualità inferiore.

    Vestire ecologico

    Vestire ecologico significa scegliere abbigliamento confezionato con fibre naturali, poco o per nulla trattate, colorate con tinture vegetali.
    Le fibre naturali hanno in comune molte qualità, la prima è che mantengono un'autonoma capacità di respirazione, adattamento e reattività ai fattori esterni. Per esempio, un capo esposto all'aria per una notte è in grado di rigenerarsi perdendo gli odori di cui è impregnato e ritrovando tono e morbidezza.
    Una seconda qualità delle fibre naturali è la traspirabilità; grazie ad essa si può ridurre notevolmente il sudore stagnante sulla pelle. L'elevato grado di traspirabilità aumenta infatti l'interscambio termico tra organismo e ambiente garantendo un'adeguata protezione sia dal caldo che dal freddo. Se fa freddo il calore è offerto dalla lana, grazie alla loro composizione proteica affine a quella delle pelle (la cheratina è una sostanza che si ritrova sia sulla pelle che nella lana). Di lana è bene preferire anche la biancheria intima perché inattaccabile da germi e batteri. Se fa caldo il fresco ce lo regalano cotone e lino che agiscono come rinfrescanti della pelle disperdendo il calore.
    La lana è un'antichissima fibra di origine animale (pecore, agnelli, montoni) che, per la sua complessa struttura chimica e la grande capacità di assorbimento, si presenta adatta a qualunque condizione climatica: è estremamente assorbente ma non molto resistente, praticamente ininfiammabile e si restringe se non trattata. Il problema sta nelle violenze che possono subire le pecore in allevamenti intensivi, per cui, se possibile, andrebbe scelta quella prodotta da piccoli allevatori.
    La seta sarebbe una buona fibra per la pelle e presenta un'impareggiabile morbidezza che estende la sua funzione protettiva oltre che al calore, anche alle influenze elettrostatiche e elettromagnetiche, però andrebbe evitata perché per produrla i bachi vengono bolliti vivi, a meno che non si riesca a trovare la seta ottenuta da una particolare farfalla asiatica che lascia nel bozzolo un’apertura per uscire, per cui non è necessario ucciderla per evitare che lo rompa.
    Il lino è una fibra vegetale che si ricava dal fusto di una pianta coltivata soprattutto nei paesi freddi. La complessa lavorazione lo rende poco appetibile da un punto di vista commerciale. Il lino ha una sua azione antiallergica, viene consigliato nella prevenzione di patologie da eccessiva sudorazione e per la capacità di accelerare la guarigione di malattie cutanee. E’ fresco, ha elevata capacità di assorbimento e ottima resistenza.
    La pelle è da evitare perché, oltre a derivare dall’allevamento (cruento) e dall’uccisione di animali, richiede processi di lavorazione molto inquinanti e spesso “delocalizzati” in paesi con meno controlli sull’ambiente e le condizioni di lavoro.
    Le tinture naturali hanno una gloriosa tradizione che rappresenta un ricco patrimonio di cultura materiale che ha segnato l'economia agricola e industriale dell'Europa e dei paesi mediterranei in particolare, dal medioevo alla fine del secolo scorso. Preferire abiti realizzati con questi pigmenti contribuisce a difendere questa ricchezza dallo strapotere della chimica petrolifera. Allo stesso tempo contribuisce alla difesa dell’ambiente e a proteggere la propria pelle da allergie. Una ricerca della Clinica dermatologica dell'Università di Firenze, effettuata su un campione di 20 mila persone, attesta sul 10% i casi di allergie sviluppate dal contatto con coloranti tessili sintetici.
    Purtroppo le realtà, artigianali e industriali, che producono abbigliamento ecologico sono ancora ridotte e non è facile trovarle anche se internet e le fiere dedicate all’ecologia offrono una buona panoramica. Ancora una volta saranno l’attenzione e le pressioni dei cittadini solidali a favorire la crescita del settore.
    BOX: L’impegno di Legambiente
    Negli ultimi anni Legambiente ha iniziato a occuparsi di abbigliamento ecologico in maniera continuativa (EcoModa è una sua iniziativa che si tiene a Milano ogni anno) integrando l'azione che, per quindici anni circa, aveva avviato uno sparuto manipolo di operatori sensibili. L’associazione ha già stretto rapporti con Federtessile e sta lavorando a protocolli di intesa su prodotti e tipo di lavorazioni.
    A distanza di quasi vent'anni dai primi esperimenti, le aziende che producono specificamente ecologico o integrale sono una ristrettissima schiera, mentre qualche produttore convenzionale comincia a dar vita a linee ecologiche.

    http://www.legambiente.it

    La moda giusta

    In linea con la nostra filosofia, anche la moda occidentale è “usa e getta”. Le altre culture hanno abiti tradizionali bellissimi che nel tempo hanno perfezionato adattandoli alle reali necessità dettate dal clima e dalla disponibilità di risorse. Questi abiti sono fatti per durare il più a lungo possibile ed esprimono l’identità dei popoli. I nostri abiti invece sono concepiti per durare pochi mesi, dopodiché “passano di moda” e quindi non li si usa più, esprimendo così una identità fragile e superficiale.
    I cittadini solidali hanno maggiore consapevolezza di sé, sanno essere originali e sfuggono alla logica della moda consumista e conformista, creano un proprio stile che resta valido e li qualifica nel tempo.
    I vestiti usati sono ecologici perché evitano lo spreco di risorse preziose. Si possono trovare in appositi negozi e mercatini a prezzi convenienti, alcuni sostengono anche progetti di solidarietà. Meglio ancora creare un circolo di baratto e scambi, soprattutto per i bambini che crescono in fretta. Oppure si può frequentare un corso di taglio e cucito e imparare a crearsi da soli gli abiti. La cosa può essere anche ancora più divertente se ci si organizza in gruppo.
    Per far durare gli abiti è importante anche una corretta manutenzione, va fatta attenzione alla stiratura, adottati accorgimenti antitarme (naturali); i lavaggi e le asciugature non devono essere troppo aggressivi perché possono logorare i tessuti, sbiadirli, macchiarli o infeltrirli.
    Le operazioni caritatevoli che prelevano abiti dimessi dalle famiglie occidentali per donarli ai poveri del sud del mondo andrebbero valutate con maggiore attenzione in quanto vanno a stravolgere valori tradizionali con effetti devastanti per le culture e, a volte, anche per le economie locali.

    Lavoro tessile

    Il settore dell’abbigliamento è tristemente famoso per lo sfruttamento del lavoro, tanto più oggi che gran parte della filiera viene trasferita in paesi poveri con minori tutele sindacali. Ma anche in Italia e altri paesi occidentali continuano ad esistere stabilimenti semiclandestini in cui si lavora in condizioni disumane impiegando anche minori.
    Anche nel settore dell’abbigliamento il commercio equo e solidale rappresenta un’alternativa reale e praticabile, offrendo abiti ed accessori legati alle tradizioni popolari dei paesi di produzione.
    BOX: Campagna “Abiti Puliti”
    La Campagna Abiti Puliti è la coalizione che rappresenta in Italia la Clean Clothes Campaign, campagna internazionale nata per rafforzare i lavoratori e migliorare le loro condizioni di lavoro nel settore dell’industria tessile mondiale. I promotori italiani sono Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Roba dell’Altro Mondo, Coordinamento Lombardo Nord/Sud e Manitese.
    La campagna ha l’obiettivo di porre fine all’oppressione, allo sfruttamento e agli abusi che subiscono milioni di lavoratori, per la maggioranza donne e spesso bambini, impiegati in questo settore. Per raggiungere questo obiettivo fa pressione sulle imprese perché si assumano la responsabilità di produrre in condizioni di lavoro dignitose; sostiene i lavoratori, i sindacati e le Organizzazioni Non Governative dei paesi produttori; lavora per far crescere la consapevolezza dei consumatori attraverso informazioni accurate sulle condizioni di lavoro nell’industria del tessile e dell’abbigliamento; esplora le possibilità legali per migliorare le condizioni di lavoro e fa pressioni per ottenere leggi migliori.

    http://www.abitipuliti.org

    Cotone sulla nostra pelle

    Il cotone è una fibra vegetale che si ricava dai semi di una pianta spontanea tipica delle regioni tropicali. Ha ottime capacità di assorbimento dell’umidità, adatto sia ad abiti estivi che invernali, resistente, facile da lavare e stirare e copre quasi il 50% del fabbisogno mondiale di fibre tessili. Ma dietro questa importante risorsa si nascondono alcuni gravi problemi che il cittadino solidale deve conoscere per scegliere in maniera consapevole.
    Nel mondo almeno 200 milioni di persone sono direttamente impegnate nella coltivazione del cotone e oltre 90 milioni lavorano nella trasformazione della fibra in filati, tessuti e prodotti derivati, ma si tratta di un settore ad alto sfruttamento, attorno al quale si sta giocando una dura partita commerciale a livello globale che rischia di stritolare i produttori del sud del mondo. Nei paesi del nord i coltivatori di cotone sono sovvenzionati con fondi pubblici (gli USA destinano a questo scopo 180 miliardi di dollari, l’Unione Europea 800 milioni di euro). Questo determina una concorrenza sleale e un crollo dei prezzi del cotone, a danno dei lavoratori del sud del mondo che non ricevono sovvenzioni e si vedono aumentare i costi, finendo nella spirale del debito.
    In base alla logica del mercato, pressati da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, diversi paesi africani hanno legato la loro economia alla monocoltura del cotone, passando da una produzione di 200 mila tonnellate l'anno degli inizi degli anni Ottanta all’attuale milione di tonnellate. Per ottenere questo risultato sono state destinate alla monocoltura anche le terre che le famiglie coltivavano per nutrirsi. Il Mali, il Burkina Faso, il Ciad e il Benin sono ormai legati a corda doppia alle fluttuazioni del mercato del cotone, da cui ricavano i proventi di circa metà delle loro esportazioni (si va dal 34 per cento del Mali al 65 per cento del Benin).
    Nelle monoculture si fa largo impiego di lavoro minorile. Nella sola India sono circa 450 mila i bambini che lavorano alla produzione di semi di cotone. Secondo una ricerca dell'Indian Committee of the Nederlands, si tratta di bambini fra i 6 e i 14 anni indirettamente salariati dalle multinazionali europee ed americane come Monsanto, Bayer, Syngenta, Adventa e Unilever .
    Possono lavorare anche 12-13 ore al giorno per 40 centesimi di euro (il 30 per cento in meno di una donna e il 55 per cento meno di un uomo), e sono regolarmente esposti alle sostanze chimiche più tossiche in commercio. In alcuni casi sono tenuti in schiavitù dal datore di lavoro per risarcire i debiti delle famiglie.
    Sul versante dell’ambiente e sanitario il cotone rappresenta una delle coltivazioni più inquinanti che esistano. Sulle terre destinate al cotone, circa il 5% della superficie agricola planetaria, si riversa il 25% per cento della produzione mondiale di pesticidi (3 milioni di tonnellate all’anno), con conseguenze drammatiche anche sulla salute dei lavoratori.
    Il cittadino solidale deve fare la sua parte preferendo prodotti in cotone del commercio equo e solidale, oppure cotone biologico, possibilmente di piccoli produttori.
    BOX: Campagna “La via del cotone”
    Tradewatch (http://tradewatch.splinder.it), l'osservatorio sul commercio internazionale nato per iniziativa di Rete Lilliput, Roba dell'Altro Mondo, Mani Tese e la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, ha lanciato una campagna internazionale che vuole far conoscere l'altra faccia della medaglia anche per stimolare la creazione di percorsi "virtuosi" che possano moltiplicare le esperienze di produzione e commercio di cotone eque, solidali e sostenibili dal punto di vista ambientale, cosa che si può conseguire soltanto spostando il sostegno pubblico dall'agricoltura intensiva alla tutela dei saperi agricoli tradizionali, nel nord e nel sud del mondo, e al sostegno delle coltivazioni organiche e biologiche.
    Non si tratta di utilizzare la crisi dei produttori africani per tagliare i sussidi ai produttori europei, come suggerisce l’Unione Europea, ma utilizzare l'aiuto pubblico per sostenere l'agricoltura familiare, biologica e di qualità. Ciò che va eliminato sono invece i sussidi alle esportazioni, che stracciano i prezzi agricoli sotto i costi di produzione e strozzano i piccoli produttori.
    La sfida è quella di costruire un'alleanza tra i produttori del nord e del sud del mondo per costruire delle reti commerciali che valorizzino le filiere trasparenti e i consumatori responsabili. Solo così le famiglie e le piccole comunità, in Africa come in Europa, potranno coltivare e lavorare del cotone “pulito”, venderlo a un prezzo giusto e riconvertire in parte le terre per la propria sussistenza.

    Ritorno alla canapa

    La canapa è una fibra di grande importanza da riabilitare. È una pianta di durata annuale che cresce fino a tre metri in settanta giorni. Si adatta a diversi climi e, resistente a parassiti e funghi, non richiede pesticidi. A parità di superficie coltivata produce due o tre volte più fibra tessile del cotone, di cui è molto più robusta e duratura. Oltre che tessuti dalla canapa si ottengono carta(01), olio(02), combustibili, medicine, cosmetici, prodotti plastici biodegradabili.
    Per oltre 8000 anni ha avuto un ruolo fondamentale per la civiltà umana, finchè negli anni Trenta, alcune aziende statunitensi, con il pretesto della lotta alla droga, hanno lanciato una campagna diffamatoria volta a squalificarla a vantaggio delle nuove fibre sintetiche. Dietro questa campagna pare ci fossero anche gli interessi delle imprese petrolifere. Le piantagioni sono state sottoposte a pesanti restrizioni fino quasi a scomparire. Di recente l’Europa ha cominciato a rivalutarla, ma occorre tempo per ricreare tutta la filiera produttiva e, come al solito, i consumatori possono svolgere un importante ruolo di orientamento del mercato.

    Le scarpe

    Le scarpe in pelle presentano i problemi di cui si è detto a proposito di questo materiale, ma esistono materie prime alternative come lorica o goretex e alcuni metodi di lavorazione più ecologici basati su sostanze naturali.
    La situazione è ancora peggiore per le lavorazioni che sempre più spesso vengono trasferite nei paesi del sud del mondo o dell’est europeo. In questo caso, ai danni ambientali, si aggiungono pensantissime condizioni di sfruttamento per i lavoratori. Numerose sono le campagne di boicottaggio lanciate in tutto il mondo nei confronti delle più famose marche di scarpe da ginnastica per le condizioni di lavoro negli stabilimenti asiatici o dell’America Latina che producono per loro. Nonostante tante dichiarazioni di principio e pseudo-codici di condotta le cose non sembrano migliorare, quindi meglio evitarle e provare a cercare le poche alternative possibili.
    SCHEDA: scarpe no logo
    AdBusters è un’associazione no profit che da 14 anni combatte contro lo strapotere della TV, della pubblicità e delle multinazionali che tutto appiattiscono e rendono uguale. (http://adbusters.org). Dopo avere tanto combattuto la Nike con boicottaggi e denunce ha deciso di affrontarla sul suo stesso terreno, dimostrando che si possono realizzare scarpe senza sfruttare i lavoratori e devastare l’ambiente. Così sono nate le BlackSpot Sneaker, scarpe simili alle Converse, prodotte in Portogallo senza sfruttare gli operai, senza delocalizzazioni selvagge e senza utilizzare materiali provenienti dall'uccisione di animali. Sono vendute in tutto il mondo tramite un sito Internet.
    Nella scelta dell’impianto di produzione, durata un anno, sono stati esclusi tutti i posti dove non vengono rispettati i diritti sindacali. Alla fine è stato scelta una fabbrica gestita dalla stessa famiglia da tre generazioni, in Portogallo, che da 400 anni ha una grande tradizione nella produzione di scarpe. Nello stabilimento, affermano i sindacati, la qualità dell'aria è buona, il suono delle macchine è attutito, i livelli di sicurezza ottimi. Non c’è un gran ricorso agli straordinari, comunque ben pagati. In Portogallo il salario medio è di 365 euro al mese, quello dei lavoratori della fabbrica di scarpe è tra i 420 e i 700.
    La scarpa, prodotta totalmente in materiale naturale, è biodegradabile al 70%, la suola è rinforzata perché duri nel tempo e la produzione non richiede l'uso di agenti chimici.
    Obiettivo dell’operazione è di rosicchiare almeno un 1 per cento di quota di mercato alla Nike, il che sarebbe un segnale positivo replicabile in altri settori.

    Per informazioni:
    http://adbusters.org/metas/corpo/blackspotsneaker/

    Note:


    1. A parità di superficie fornisce quattro-cinque volte più carta di una foresta di alberi. La carta di canapa è più facilmente riciclabile. Grazie alla bassa percentuale di lignina la lavorazione permette di evitare (per quanto riguarda la fibra) l'uso di acidi inquinanti, utilizzati dalle cartiere per sciogliere il legno. Inoltre la fibra e il legno della canapa sono già di colore bianco e la carta che se ne ottiene è già stampabile e per renderla completamente bianca è sufficiente un trattamento al perossido di idrogeno (acqua ossigenata), invece dei composti a base di cloro necessari per la carta ricavata dal legno degli alberi. (torna su)


    2. L'olio di canapa è particolarmente ricco di grassi insaturi, ideale per correggere la dieta moderna e prevenire le malattie del sistema cardiocircolatorio. Può essere utilizzato anche per uso esterno. Ha ottime qualità anche per usi industriali: ci si possono produrre vernici naturali di alta qualità, saponi, cere, cosmetici, detersivi (veramente biodegradabili), lubrificanti di precisione ecc. (torna su)

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