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    "Se i Paesi europei periferici scegliessero un approccio keynesiano, sarebbero massacrati dai mercati" (The Financial Times, 10 febbraio 2010) Alcuni la chiamano la "crisi 2". Dopo la "tempesta subprime", che aveva riguardato i sistemi finanziari, ora nell‟occhio del ciclone ci sono gli Stati, o meglio, il Debito sovrano, ossia i titoli emessi dai vari Paesi a finanziamento dello stesso.
    20 giugno 2010 - Redazione Rees Marche
    Fonte: Editoriale da bancaetica.com - giugno 2010

    "Se i Paesi europei periferici scegliessero un approccio keynesiano, sarebbero massacrati dai mercati"

    (The Financial Times, 10 febbraio 2010)

    Alcuni la chiamano la "crisi 2". Dopo la "tempesta subprime", che aveva riguardato i sistemi finanziari, ora nell‟occhio del ciclone ci sono gli Stati, o meglio, il Debito sovrano, ossia i titoli emessi dai vari Paesi a finanziamento dello stesso. L‟epicentro della crisi è stata la Grecia, che ha avuto il torto di seguire politiche irresponsabili in termini di spesa pubblica, ma soprattutto di aver "truccato i conti", con l‟aiuto di Goldman Sachs, per essere ammessa nella zona euro. Gli aiuti europei messi in atto per salvare il Paese ellenico presuppongono, per essere elargiti, un rientro dalla situazione debitoria in soli tre anni. Una soluzione che rischia di essere allo stesso tempo estremamente punitiva e irrealistica. Come ha commentato l‟economista Franco Bruni "le misure che la Grecia dovrebbe adottare sono recessive e rischiano di peggiorare la situazione politico-sociale del Paese, riducendo la sua disponibilità a disciplinarsi e ostacolando lo stesso aggiustamento del disavanzo pubblico". ("Cosa serve davvero ad Atene", La Stampa 29 aprile 2010) In effetti il "piano Grecia" non ha evitato il rischio contagio: al contrario la speculazione finanziaria ha allargato i suoi obiettivi, per cui si è parlato di "attacco all‟euro". Da qui il piano anti-crisi, varato nella notte tra il 9 e 10 maggio scorsi, che vede la partecipazione degli Stati membri, della Commissione e del Fondo monetario internazionale,
    mentre la Banca centrale europea potrà acquistare i Bond dei Paesi in crisi, anche se classificati (dalle "mitiche" società di rating) junk (spazzatura). Si tratta di una dote di 750 miliardi di euro, utilizzabili dagli Stati in difficoltà, ma, anche in questo caso, erogabili solo a condizione di accettare durissime politiche di bilancio restrittive. Detto in altri termini: tagli al welfare e minor crescita, che, in alcuni Paesi, vorrà dire recessione e, dunque, disoccupazione. Frenata dai sacrifici della Grecia e poi del Portogallo e della Spagna (ma anche dell‟Italia), la crescita europea non raggiungerà nel 2010 l‟1% dopo il drammatico biennio 2008/2009. Dato per acquisito che la questione "debito pubblico" deve essere affrontata in tutti i Paesi sviluppati, non è viceversa scontato (o almeno non dovrebbe esserlo) che debbano essere i mercati finanziari a dettarne i tempi e le modalità. Nel 1919 Keynes, delegato del ministero del Tesoro britannico, abbandonò polemicamente la Conferenza di pace di Versailles, sostenendo che le eccessive riparazioni di guerra imposte alla Germania avrebbero condotto il Paese a una gravissima crisi economica, senza peraltro produrre alcun sostegno alla depressione post bellica dei Paesi vincitori. Purtroppo conosciamo tutti i tragici eventi storici che seguirono. Keynes se ne rientrò nel Sussex dove in due mesi scrisse il pamphlet più celebre del Novecento: "Le conseguenze economiche della pace", dove sosteneva che in quella conferenza nessuno aveva posto attenzione al "fondamentale problema economico di un‟Europa che languiva di fame e si sgretolava davanti ai loro occhi". Venendo all‟oggi, è il keynesiano Fitoussi a ricordarci che "la crisi si aggrava perché i governi non hanno colto il momento giusto per imporre nuove regole alle banche". Conclude l‟economista francese: "Il rischio vero oggi non è il default, ma la deflazione". ("Nei prossimi anni saremo costretti a sacrifici inutili", La Stampa 6 maggio 2010). Si configura, infatti, il rischio di uno scenario in cui le imprese siano costrette a ridurre gli investimenti, non solo per la stretta creditizia ancora in atto, ma perché l‟elevata disoccupazione e i tagli attuati dai Governi per mettere sotto controllo i conti pubblici, freneranno ulteriormente i consumi e, quindi, la crescita. Non ci rimane che sperare che questa volta Keynes non abbia ragione quando sosteneva che: "Chiedendo l'impossibile hanno sacrificato la sostanza all'apparenza e alla fine perderanno tutto". Alberto Berrini
    (Editoriale da www.bancaetica.com - giugno 2010)

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