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    La nuova legge sul lavoro, parliamone ancora

    Il ddl lavoro definitivamente licenziato dalla Camera conta ben 50 articoli (rispetto ai 9 originari) che toccano aspetti tra loro molto diversi. Non solo l'arbitrato, ma l'accesso all'apprendistato e i permessi per curare parenti disabili
    10 novembre 2010 - Valerio Strinati
    Fonte: rassegna.it - 09 novembre 2010

    Il ddl lavoro definitivamente licenziato dalla Camera conta ben 50 articoli (rispetto ai 9 originari) che toccano aspetti tra loro molto diversi. Non solo l'arbitrato, ma l'accesso all'apprendistato e i permessi per curare parenti disabili

    Dopo una gestazione parlamentare di oltre due anni, compreso il tempo necessario al riesame conseguente al messaggio di rinvio del Capo dello Stato (il primo da quando Giorgio Napolitano è stato eletto Presidente della Repubblica), il disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2009 è stato definitivamente licenziato dalla Camera dei deputati, nella seduta del 19 ottobre, in un breve passaggio parlamentare che ha fatto seguito a un frettoloso transito al Senato.

    Il provvedimento è passato in un clima di scarso interesse da parte dei media ed anche del dibattito politico, entrambi concentrati in maggiore misura sulle priorità dell’agenda del Governo, a partire dal Lodo Alfano e dalla riforma della giustizia, nonché sulle divisioni che si registrano all’interno di una maggioranza la cui coesione, vantata all’inizio della Legislatura, appare sempre più come un lontano ricordo.

    L’andamento dell’ultima fase del dibattito parlamentare è dunque già di per sé eloquente, poiché pone in evidenza la scelta della maggioranza, di continuare a sottovalutare l’effettiva dimensione delle problematiche del lavoro e ad ostentare un ottimismo che appare sempre meno credibile alla luce dell’ormai imminente scadenza degli ammortizzatori sociali in deroga ed in proroga, dalla quale emergeranno i numeri effettivi della flessione dell’occupazione; al tempo stesso, però, non si possono non registrare difficoltà ed incertezze da parte delle forze di opposizione nello sforzo di riaffermare la centralità del lavoro e della garanzia dei diritti sociali fondamentali.

    Il dibattito parlamentare, non privo di momenti di tensione, specialmente al Senato, si è concentrato in larga misura sulle materie oggetto del messaggio presidenziale di rinvio del disegno di legge alle Camere, a partire dalle modifiche relative al processo del lavoro.

    Come è noto, il principale rilievo del Capo dello Stato riguardava la disciplina dell’arbitrato (art. 31): in particolare, il messaggio esprimeva alcune riserve sulla formulazione della disposizione, suscettibile di configurare una forma di arbitrato obbligatorio, tale da accentuare la posizione di subalternità contrattuale del prestatore rispetto al datore di lavoro, nella fase, inoltre, di maggiore debolezza del lavoratore, quella cioè della stipula del contratto.

    La riformulazione dell’articolo proposta dalla maggioranza ha riguardato l’esclusione delle controversie individuali aventi ad oggetto i licenziamenti dalle materie oggetto della clausola compromissoria, e la stipula della clausola stessa non al momento dell’assunzione, come previsto in origine, bensì al termine del periodo di prova e, ove esso non sia previsto, trenta giorni dopo l’assunzione: comunque, non nel momento in cui sorge la controversia, come affermava un emendamento dell’opposizione, accolto dalla Camera dei deputati e prontamente soppresso dal Senato. Inoltre è stato attribuito alle commissioni di certificazione l'accertamento dell'effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie di lavoro, all'atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, che ha ad oggetto le controversie che dovessero successivamente insorgere dal rapporto di lavoro.

    Un'altra modifica riferita all'intervento del Capo dello Stato sostituisce la potestà del Ministro di provvedere con proprio decreto alla disciplina dell'arbitrato una volta esaurita negativamente la prova negoziale affidata direttamente alle parti sociali, con una procedura più articolata: in caso di insuccesso delle parti nel rinvenimento di un'intesa, dopo dodici mesi il Ministro convoca le parti stesse al fine di promuovere l'accordo; fa trascorrere ulteriori sei mesi e, se ancora l'accordo non viene raggiunto dalle parti accompagnate e coordinate dal Ministro, questi emana un proprio decreto, tenendo conto delle risultanze istruttorie, del negoziato nel frattempo svoltosi, e con un'indicazione che assume un carattere sperimentale.

    Sia al Senato che successivamente alla Camera, le critiche dell'opposizione hanno posto in rilievo l'inadeguatezza delle modifiche introdotte rispetto ai rilievi contenuti nel messaggio presidenziale di rinvio: sia le norme sulla certificazione, sia quelle che ribadiscono il carattere irrituale dell'arbitrato, ovvero la possibilità dell'arbitro di decidere in deroga alle leggi ed ai contratti, sia pure nel limite non solo dei principi generali dell'ordinamento, come previsto nel testo originario, ma anche "dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari".

    In particolare, illustrando una questione pregiudiziale, i senatori Treu ed Ichino, del Partito Democratico, hanno criticato la farraginosità delle norme predisposte dal Governo segnalando che la questione dell'arbitrato nelle controversie di lavoro avrebbe potuto essere affrontato in modo infinitamente più efficace, perché più chiaro, più semplice e più immediatamente comprensibile, con una semplice norma che affermasse la sovranità della contrattazione collettiva per la soluzione delle controversie sulle materie di sua esclusiva competenza. Il che, tra l'altro, avrebbe risolto anche la questione, anch'essa sollevata dal Capo dello Stato, relativa all'applicabilità della riforma dell'arbitrato al pubblico impiego. Analogamente, nell'intervento in discussione generale, il senatore Roilo (PD) ha posto il problema della costituzionalità delle norme sull'arbitrato, nel presupposto che esse, pur modificate, non assicurano il carattere volontario del ricorso a tale istituto, e pertanto violano gli articoli 24 e 25 della Costituzione, dove si afferma che è diritto di tutti i cittadini agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e dei propri interessi legittimi. Sullo stesso argomento, la sen. Carlino (IdV) ha contestato il testo all'esame del Senato, poiché a suo avviso esso non recepisce la raccomandazione contenuta nel messaggio del Capo dello Stato, di verificare attentamente la coerenza delle relative disposizioni con i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.

    Se l'arbitrato ha costituito uno degli assi portanti del confronto, anche altre disposizioni del collegato sono state al centro di un confronto, spesso animato: lo stesso sen. Roilo ha sottolineato il rischio che l'art. 30 limiti i poteri di accertamento del giudice, vincolandolo alla volontà delle parti espressa attraverso la certificazione, anche nei contenziosi che riguardano i licenziamenti individuali, così che la disposizione si configura come un potenziale aggiramento dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori: una critica - ha precisato lo stesso oratore - rivolta non all'istituto della certificazione in sé, ma all'uso che se ne fa per condizionare l'autonomia del giudice.

    Alla Camera dei deputati, il punto di vista del Partito democratico è stato illustrato da Cesare Damiano che, dopo avere ribadito le critiche espresse in materia di arbitrato, riprendendo anche analoghi rilievi contenuti nell'intervento di Giovanni Paladini (IdV), si è soffermato su un altro aspetto, riguardante l'inserimento, all'art. 7, di una disposizione che consente di derogare le norme legislative sull'orario di lavoro del personale marittimo mediante specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali, e, in loro assenza, nei contratti territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale. Anche se riferito ad una platea molto limitata, l'art. 7 introduce - secondo Damiano - un pericoloso precedente, che investe il sindacato e la sua rappresentatività, introducendo la clausola della rappresentatività territoriale del sindacato stesso: non si tratta in questo caso di negare il valore del livello territoriale e aziendale della contrattazione, la cui importanza è stata sostenuta fattivamente dal precedente governo di centro sinistra, ma di non contrapporlo strumentalmente alla rappresentatività nazionale, e quindi confederale e solidale, e capace di svolgere una funzione di coesione nell’ambito di regole concordemente riconosciute nel mondo del lavoro.

    Secondo Damiano, il fine ultimo del Governo è di sostituire la rappresentatività nazionale con quella territoriale, senza considerare che tale scelta potrebbe condurre alla creazione di una molteplicità di sindacati di comodo a livello territoriale, e che tutto questo, inevitabilmente, potrebbe portare ad una situazione nella quale la solidarietà verrebbe soppiantata dal corporativismo territoriale e dalla rappresentanza degli egoismi, il che, soprattutto in un contesto di crisi, finisce con il penalizzare inevitabilmente i più deboli. A ciò si è aggiunta una ulteriore considerazione, sullo smantellamento progressivo di norme e di regole che la precedente legislatura aveva in qualche modo definito, attraverso la concertazione sociale, con la sottoscrizione unitaria da parte di CGIL, CISL, UIL e di Confindustria di un patto sociale che aveva anche consentito di ri-regolare consensualmente i rapporti di lavoro, mentre attraverso le norme che hanno ripristinato lo staff leasing, esteso nuovamente l'ambito di applicazione del lavoro a chiamata e ridimensionato le tutele previste per il lavoro a tempo determinato si è andati in direzione opposta a quella di una buona flessibilità, che, per essere tale, dovrebbe preludere alla stabilizzazione del rapporto di lavoro.

    Differenziandosi dalle altre forze di opposizione, l'UdC, nell'intervento di Renzo Lusetti, ha ritenuto adeguate, rispetto ai rilievi del Quirinale, le modifiche introdotte al disegno di legge dalla Camera e dal Senato; pur ribadendo le numerose perplessità sul merito di alcune delle misure prospettate, in particolare in ordine alla effettiva tutela del prestatore di lavoro come contraente debole, perplessità già enunciate anche nel corso della discussione al Senato, dove il voto del Gruppo UdC era stato peraltro contrario, Lusetti ha espresso un giudizio complessivamente positivo sul collegato lavoro, giudizio tradottosi nel voto favorevole annunciato da Nedo Poli.

    Alla Camera, chiusa la discussione generale, il relatore Giuliano Cazzola (PdL) ha ribadito la sua convinzione sul fatto che l'arbitrato irrituale, così come è stato confezionato e rettificato a seguito delle indicazioni del Capo dello Stato, realizzi le tutele di cui l'opposizione ha lamentato l'assenza e costituisca un istituto rispettoso dei diritti dei lavoratori e in grado di far fare un passo avanti al sistema delle relazioni industriali.

    La posizione del Governo, che ha ripreso i numerosi interventi dei parlamentari della maggioranza, è stata illustrata dal ministro del lavoro Sacconi, che ha anche annunciato la presentazione di un disegno di legge governativo di delega per il riordino in un testo unico della disciplina che si è sedimentata progressivamente in materia di lavoro (sono circa quindicimila i provvedimenti che devono essere sottoposti a riordino), non soltanto in termini compilativi, ma anche innovativi, e soprattutto coerenti con il provvedimento in corso di esame.

    Nel richiamare l'importanza che il Governo ha sempre attribuito alla collaborazione con le parti sociali, concretizzatasi in intese che peraltro hanno registrato l'"importante assenza" della CGIL, il Ministro ha sottolineato che la disciplina dell'arbitrato in discussione poggia su una concezione di “robusta sussidiarietà” dello Stato nei confronti delle parti sociali (principio che orienterà anche il futuro “Statuto dei lavori”), coerente con una filosofia che attribuisce al contratto un ruolo centrale nella definizione del diritto sul lavoro, secondo un approccio che a suo avviso non è stato compreso dall'opposizione, concentrata non sulla critica dell'arbitrato in sé, ma delle modalità con cui esso è stato disciplinato nel testo in discussione.

    Sempre in tema di arbitrato, il Ministro ha poi ricordato che le nuove norme si ispirano all’elaborazione di Marco Biagi, nella quale il riferimento all’arbitrato per equità occupa un posto centrale, poiché, una volta definito il limite dei principi generali dell’ordinamento, di quelli specifici della materia e infine di quelli riconducibili all’ordinamento comunitario, dai quali ultimi non si intende prescindere, sarebbe poi assurdo, sempre ad avviso del Ministro, che gli arbitri dovessero essere incaricati di ripercorrere lo stesso procedimento giudiziario e di avere lo stesso approccio del giudice alla decisione.

    Altri punti toccati nella replica del Ministro hanno riguardato la riforma degli ammortizzatori sociali, per la quale sono stati ripresi, con una proroga per l’esercizio della delega, i principi e i criteri direttivi adottati nella passata Legislatura, ma per l'attuazione dei quali si ripropone il problema della difficoltà di attingere a consistenti risorse aggiuntive. A tale proposito il Ministro ha avanzato due ipotesi: in primo luogo di procedere ad un “opportuno riordinamento degli strumenti in essere” e in secondo luogo di non escludere “un uso moderato della contribuzione, anche se è intenzione del Governo non accentuare la pressione contributiva, già elevata, in un contesto di pressione fiscale già elevata”. Sempre su questo tema, appaiono poi significative due affermazioni del titolare del dicastero del lavoro, circa il fatto che all’innalzamento della contribuzione per la collaborazione a progetto non ha conseguito un’utilizzazione del maggior gettito per costruire un sistema di protezione del reddito nel momento in cui si determina la cessazione del rapporto, nonché sul sostanziale insuccesso, per la scarsa adesione, della forma di protezione una tantum del reddito all'atto della cessazione di un rapporto in condizioni di monocommittenza.

    Il provvedimento definitivamente licenziato dalla Camera si compone di 50 articoli (rispetto ai 9 originari), che toccano aspetti tra loro molto diversi. Anche su questa eterogeneità il messaggio presidenziale non aveva mancato di pronunciarsi con accenti critici, ammonendo il legislatore “sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto; nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo, per la impossibilità di coinvolgere a pieno titolo nella fase istruttoria tutte le Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate”.

    Tra le diverse disposizioni, non sono mancate varie critiche da parte delle opposizioni, in particolare per quel che concerne la norma che ha portato a quindici anni l’età minima per l’accesso all’apprendistato, con la possibilità di sostituire l’ultimo anno di scuola con un anno in azienda, o le norme che hanno introdotto criteri più restrittivi per i permessi dei dipendenti pubblici per fruire dei congedi per l’assistenza a parenti disabili.

    Con l’approvazione delle deleghe, inoltre, si apre il termine entro il quale dovranno essere emanati i decreti legislativi di attuazione; non solo sugli ammortizzatori sociali, ma anche sul pensionamento anticipato delle persone che svolgono attività usuranti, materia per il quale sono stati adottati i principi e i criteri di delega varati nella scorsa Legislatura con le legge n. 247 del 2007, pur con limitazioni di carattere finanziario.

    Per questi aspetti occorrerà dunque valutare le soluzioni proposte dal Governo in sede di esercizio delle deleghe; peraltro sono già individuabili alcuni punti fermi che in qualche misura danno conto di una strategia globale dell’attuale maggioranza in materia di lavoro, consistente non soltanto in una riforma del processo del lavoro orientata a circoscrivere e condizionare il potere del giudice di accertare i fatti oggetto della controversi, ma anche in un progetto di riassetto del rapporto tra legge e contratto tra contrattazione nazionale e a livello decentrato, basato sull’idea di una generalizzata “cedevolezza” sia, in parte, della legge, sia soprattutto del contratto collettivo nazionale, derogabile dal livello decentrato della contrattazione, non solo territoriale o aziendale ma anche individuale.

    Ciò che viene presentato come sussidiarietà del Governo nei confronti dell’autonomia delle parti sociali non mira tanto a valorizzare il decentramento contrattuale (valorizzazione che peraltro rappresenta un approccio largamente condiviso dalle organizzazioni sindacali) quanto a creare una contrapposizione tra quest’ultimo e il livello nazionale della contrattazione, con la conseguente potenziale frammentazione della rappresentanza che, tra l’altro, laddove si è realizzata, ha sempre costituito un fattore di ingovernabilità del sistema delle relazioni industriali. Si vedrà nei prossimi mesi se il Governo intende intraprendere questa strada, sulle orme di una parte dell’imprenditoria, FIAT in testa, evidentemente preoccupata più di riaffermare la propria centralità ed autorità in azienda che di operare per superare una crisi che sul piano occupazionale non si è ancora pienamente manifestata nei suoi aspetti più distruttivi.

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