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    In Marocco il rinnovamento passa per l'agricoltura sostenibile

    Visitare il Marocco in questi giorni dà un po’ la sensazione di essere su un’isola. Mentre gli altri Paesi nordafricani ribollono di una protesta contagiosa, il Marocco sembra esserne immune. Probabilmente anche qui c’è qualcosa che arde sotto la cenere, ma la sensazione è di trovarsi in un contesto relativamente più democratico e tranquillo.
    26 marzo 2011 - Carlo Petrini
    Fonte: sloweb.slowfood.it - 24 marzo 2011

    Visitare il Marocco in questi giorni dà un po’ la sensazione di essere su un’isola. Mentre gli altri Paesi nordafricani ribollono di una protesta contagiosa, il Marocco sembra esserne immune. Probabilmente anche qui c’è qualcosa che arde sotto la cenere, ma la sensazione è di trovarsi in un contesto relativamente più democratico e tranquillo. PETRINI12_OK

    È interessante notare il grande sforzo collettivo teso al rinnovamento e il ruolo economico preponderante dell’agricoltura in questo paese. Oltre il 50% della popolazione attiva lavora in questo settore e sta emergendo una nuova generazione in grado di cambiare i paradigmi dello sviluppo. Mentre il governo parla in gran parte di agricoltura intensiva e industriale, questi ragazzi propongono un modello più in linea con le realtà rurali marocchine, uno stile produttivo che ha a cuore tanto la differenziazione dei prodotti e la conservazione della biodiversità quanto la dimensione comunitaria e sociale. Usano internet per comunicare tra di loro, scambiare informazioni su coltivazione e commercializzazione, vendere direttamente i loro prodotti, senza confini.

    Si può dire che sia questa la loro piccola rivoluzione. Zafferano, datteri, cumino, cereali ortaggi e allevamento: il Marocco ha tutte le carte in regola per raggiungere quell’autosufficienza alimentare che in altre parti dell’Africa è ancora un miraggio. Questi ragazzi, insieme a tante donne, sono la faccia più genuina e creativa dell’intero processo.

    Abdelouhab El Gasmi, per esempio, ha fondato con il fratello e la madre la Cooperative de L’Oasis du Sud, che trasforma i datteri di varietà locali in sciroppo (chiamato rob) e marmellata. Usano vasetti di vetro riciclati e fanno promozione nazionale e internazionale dei loro prodotti, anche con internet. Sono anche riusciti a ottenere finanziamenti per impianti di irrigazione goccia a goccia e per la creazione di orti al servizio della comunità.

    Salahddine Sahrawi invece è un giovane agronomo di Safi, città sulla costa atlantica. Fa parte del Forum d'Initiative Citoyen di Safi e lavora con molte comunità produttrici di uvetta, fichi, olio di argan. Si impegna per far conoscere questi prodotti ai cuochi nelle città, trovare nuovi canali di commercializzazione (panieri da ordinare via internet, negozi di raccolta dei prodotti coltivati da piccoli agricoltori).

    E poi ho conosciuto Rachid El Hiyani, che lavora con i produttori di zafferano di Taliouine, nel Sud. Anche lui ha intenzione di realizzare negozi con i prodotti delle comunità e delle cooperative di piccoli produttori del Marocco. Queste cooperative stanno nascendo come funghi anche grazie al fatto che il Ministero dell'economia ha tolto alcuni pesanti passaggi burocratici che prima ne frenavano la creazione.

    Questi ragazzi credono nel futuro del loro Paese e nell’agricoltura sostenibile. La loro piccola rivoluzione, per ora, è l’unica risposta alternativa all’esodo incontrollato verso l’Europa. Non è balzano pensare che anche in altri Paesi, come la Tunisia o l’Egitto, queste forme di agricoltura moderna e sostenibile possano rappresentare un grande deterrente all’emigrazione di massa.

    di Carlo Petrini
    Presidente Internazionale di Slow Food

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