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    Una Confindustria di assassini e stragisti

    E’ inutile girare intorno alle questioni, con espressioni ipocrite, eleganti perifrasi o distinguo pelosi, quando sono chiare ed inequivocabili.
    10 maggio 2011 - Eugenio Orso
    Fonte: pauperclass.myblog.it - 09 maggio 2011

    Chi è Eugenio Orso?

     L’esigenza di scrivere questo breve post, che non vuole necessariamente essere una nota autobiografica, nasce dai numerosi commenti negativi che i miei interventi hanno suscitato in altri siti – soprattutto Come Don Chisciotte, ma anche altrove nel web, in ogni luogo del mondo virtuale dove si può commentare liberamente e dove riprendono i miei scritti, come ad esempio in Comunismo e Comunità, commenti nidificati e non che hanno riguardato, in diversi casi, la mia presunta origine politica, le mie supposte preferenze attuali e persino la mia condizione economica e lavorativa. Marxista [quindi un pericoloso comunista], intellettuale [sottintendendo spocchioso ed arrogante], intellettuale radical chic [con la puzza sotto il naso e salottiero], rosso-bruno o nazi-maoista [non ho mai aderito al maoismo, e per quanto riguarda il nazismo preciso a scanso d’equivoci che ho una famiglia mulatta, di immigrati, in cui sono l’unico “ariano”], neofascista estremo [epigono di Ordine Nuovo o di Terza Posizione], costituiscono alcuni esempi fra i più qualificanti delle etichette che mi sono state appiccicate addosso. Come dire che sono stato accusato di tutto e il contrario di tutto, eccezion fatta, naturalmente, per l’adesione alla liberaldemocrazia ed al capitalismo che nel mio caso non è ipotizzabile, tanto che per completare il quadro mi manca solo di essere definito sostenitore della jihad islamica, o cattolico integralista. E’ chiaro che queste definizioni, che sono le più varie, hanno per chi le propone una connotazione negativa, rappresentando altrettante condanne che non consento appello e che chiudono definitivamente la discussione, delegittimandomi. Chi condanna aprioristicamente e acriticamente in questo modo, spostando le questioni sul piano personale ed accusando “l’eretico”, il personaggio scomodo, il soggetto critico ed indipendente di essere tale e di rompere l’armonia di un unico pensiero che si afferma, è in realtà prigioniero di una sorta di “integralismo occidentalistico”, che si nutre di slogans propagandistici quali la “democrazia [liberale, naturalmente] contro il populismo”, “libertà [astratta] e democrazia [apparente] contro la dittatura”, “il pericolo comunista”, “il pericolo islamo-fascista”, eccetera. Oppure, chi lancia accuse direttamente nei confronti della mia persona è un filo-capitalista antiamericano ed antioccidentale- come ho avuto modo in alcune occasioni di constatare in modo inequivocabile – a sua volta prigioniero di ideologie e di dogmi [di matrice geopolitica, nazionalista, xenofoba, ricorsivo-capitalistica, ed altro] che escludono qualsiasi dialogo e si affermano delegittimando sul piano personale i non-allineati e i critici. Si verifica la curiosa e contraddittoria situazione secondo la quale, nello stesso tempo, per i filocapitalisti pro-occidentali e pro-americani e per i “sinistri” neoliberal apostati del marxismo sono un “comunista”, o un “fascista”, oppure un pericoloso “nazi-maoista”, mentre per i filocapitalisti anti-americani, che in alcuni casi hanno Russia-Cina-India come alternativa sistemica di riferimento, sono un filo-americano, un “sinistroide” o qualcosa di pericolosamente simile a queste figure. Qualcuno è arrivato fino al punto di scrivere che io, standomene al caldo e disponendo di un posto di lavoro “pubblico” a tempo indeterminato, faccio soltanto la fatica di alzarmi dal letto la mattina, e perciò critico con leggerezza, senza averne titolo, coloro che devono “guadagnarsi la giornata” praticando il commercio, l’impresa o la libera professione, come se essere soggetti alle intangibili Leggi di Mercato, o presunte tali, rappresentasse in sé un titolo di merito e di “prelazione sociale”, mentre l’essere un lavoratore dipendente, tanto più nel disprezzatissimo settore pubblico, costituisce un’infamia e la ragione per una condanna preventiva e senza appello … come se i lavoratori dipendenti, compresi quelli del settore pubblico, non fossero i primi ad essere esposti alle “intemperie” ed alle durezze del Libero Mercato, nonché ai conseguenti tagli allo spesa sociale! Non intendo certo dare credito a coloro che hanno lanciato queste accuse ridicole ed arbitrarie – perché tali sono – giocando sul dato personale pur senza avere precise informazioni su di me, sul mio passato e sulle mie condizioni di vita e di lavoro, perché è fin troppo evidente che per tale via si cerca di delegittimarmi ad ogni costo, anziché fare la fatica di entrare nel merito di ciò che scrivo e di provare a confutarlo con argomentazioni razionali. Scrivendo queste poche righe intendo soltanto chiarire, ad esclusivo beneficio dei pochi che leggono i miei interventi mostrando interesse per la sostanza delle questioni da me sollevate, che non sono un intellettuale radical chic, ed in quanto tale automaticamente sprezzante nei confronti dei bottegai [leghisti], degli impresari [padani e non padani] e di simili figure, ma la mia è semplicemente una critica sociale ed etica frutto di attenta e meditata analisi, non sono marxista in senso otto-novecentesco e tanto più non sono un “eretico” del marxismo [luxemburghista, trotzkysta, bordighista, situazionista, eccetera, contro i quali bene inteso non ho nulla], ancor meno posso essere definito un “neofascista estremo” od anche soltanto un frequentatore di Casa Pound [contro la quale non ho nulla, avendo rispetto per Ezra Pound, eccezion fatta per una certa adesione al centro-destra concretamente espressa da alcuni suoi elementi], e neppure mi sento, come qualcuno ha scritto in passato con il solo ed evidente scopo di ridicolizzarmi, un Giordano Bruno o un Girolamo Savonarola redivivo. Non sono un “prete”, legato a specifici dogmatismi e teologie – anche questa accusa mi è stata mossa, per quanto possa sembrare estemporanea, ma da alcuni anni seguo la linea di pensiero teorico-filosofica di Costanzo Preve, studioso di filosofia greca, hegeliano e libero allievo di Marx, che considero un Maestro ed un Amico. L’interesse per una rilettura dell’opera di Karl Marx e per una sua re-interpretazione integrale, alla luce delle dinamiche e degli elementi strutturali del Nuovo Capitalismo, mi è stato trasmesso proprio da Costanzo, verso il quale nutro una profonda gratitudine, che mai verrà meno, poiché è a lui che devo una maggior consapevolezza delle grandi questioni sociali, culturali e politiche dell’epoca in cui stiamo vivendo. Ho definito Costanzo Preve il più grande filosofo italiano vivente, non soltanto marxiano, ed intendo qui ribadire la mia affermazione, certo che la sua grandezza e la sua profondità di pensiero, i suoi meriti nell’analisi di questo capitalismo e della società che ha generato, non scompariranno con il passare degli anni e gli saranno un giorno riconosciuti. Se si vuole a tutti i costi inquadrarmi “politicamente”, se questo è proprio necessario e contribuisce a chiarire ciò che scrivo, come e perché lo scrivo e con quali esiti, preciso che per quanto riguarda le prospettive trasformative ed intemodali di lungo periodo mi sento vicino all’idea del Comunismo Comunitario previano. La rivoluzione nella concezione del lavoro, non più merce o servizio qualsivoglia nel processo produttivo separato dalla vicenda esistenziale personale e dalle qualità della persona, il ripensamento radicale dell’organizzazione sociale, la riaffermazione dei vincoli solidaristici nel perimetro delle comunità umane, richiederanno tempi storici di maturazione e di cambiamento culturale che forse noi non vedremo [a detta dello stesso Costanzo], ma rappresentano sin d’ora la prospettiva migliore per l’uscita definitiva da quel incubo sociale ed ambientale, generato dal capitalismo, che oggi stiamo vivendo sulla nostra pelle. Per quanto riguarda la lotta sociale nel tempo presente, che rappresenta una priorità assoluta per poter sperare, in prospettiva futura, nel concretarsi dei predetti cambiamenti, ho da tempo aderito alla Fiom. Oggi condivido la visione maggioritaria nella Federazione e minoritaria nell’ultimo congresso della CGIL, che postula la rappresentanza e la difesa ad oltranza dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, anche di quelli non tesserati e dei non sindacalizzati, per fermare l’onda de-emacipativa e precarizzante in pieno corso, alimentata dalla destrutturazione e dall’aggiramento del contratto nazionale di lavoro, dalla diffusione della prassi delle deroghe e degli accordi separati che l’azione del sindacalismo giallo ha agevolato, dall’avvento di “Fabbrica Italia” e del cosiddetto rilancio marchionnista di Mirafiori, dai progetti di demolizione, spacciati per “riforma” in linea con la modernità, dello Statuto dei Lavoratori. La difesa del contratto nazionale di lavoro e dello Statuto dei Lavoratori, il rifiuto degli accordi separati e di ambigue “concertazioni” totalmente penalizzanti per il lavoro, sono i meriti principali della Fiom, e di quella parte della CGIL [tendente per fortuna a diventare maggioritaria] che ne condivide il programma. Nella società italiana contemporanea l’unico strumento a disposizione, per affrontare l’asimmetrico conflitto sociale dalla parte dei più deboli, dei subordinati, di quelli che sono sempre di più e sempre più numerosi, nei fatti, veri e propri minus habentes, è proprio la Fiom, e quella parte della CGIL e dei movimenti che gravitano intorno a lei: “si lavora con legna che c’è in cantiere”, avrebbero detto con grande saggezza i vecchi marxisti, perché quello che non c’è, ed appartiene soltanto al mondo ideale, non può essere utilizzato e mobilitato nella lotta. Per quanto riguarda le kermesse elettorali liberaldemocratiche, preciso che da molto tempo non partecipo a simili eventi, perché non voto per scelta deliberata, e nelle analisi tendo a concentrare l’attenzione sul dato dell’astensione elettorale, della non partecipazione al rito, del rifiuto più o meno cosciente di legittimare per tale via il sistema, il quale rifiuto nasconde in sé, pur in forma embrionale, potenzialità politiche antagoniste che potranno svilupparsi in futuro, con effetti dirompenti, nella società italiana. Non mi pongo il problema della falsa alternativa centro-destra/ centro-sinistra, PdL/ Pd, data l’unicità del Partito della Riproduzione Capitalistica che esprime il vero programma di governo, e neppure faccio parte di movimenti od organizzazioni extraparlamentari, o di partiti politici dello zero virgola per cento, privi del quorum necessario per entrare in parlamento con qualche seggio. Infine, la mia condizione di vita e lavorativa non è diversa da quella di molti milioni di italiani, in quanto anch’io sono a “reddito fisso”, e quindi esposto alla fiscalità selvaggia e all’impoverimento, anch’io devo pagare le utenze domestiche sempre più da rapina e con il mio modesto reddito “coprire i vuoti” provocati dall’evasione fiscale, concessa ad alcuni e tutelata da tutti gli esecutivi. Non sono però un dipendente pubblico, e formalmente lavoro con contratto a tempo indeterminato per una Spa di diritto privato. Questo è quanto, e spero che il presente chiarimento possa servire, per una migliore comprensione, a coloro che leggono i miei interventi in modo critico ed intellettualmente onesto, giudicandoli nei contenuti e nella sostanza, ma sono convinto che coloro che mi attaccano in modo preconcetto sul piano personale, soltanto perché sconfesso le teorie di qualche guru o “santone accademico” di riferimento, oppure perché vado controcorrente rispetto ai pensieri-unici che ci opprimono, non ne terranno minimamente conto. A questi ultimi non mi rivolgo, sapendo che è inutile farlo, e a loro posso soltanto testimoniare il mio più totale ed incrollabile disprezzo. In fede Eugenio Orso

    E’ inutile girare intorno alle questioni, con espressioni ipocrite, eleganti perifrasi o distinguo pelosi, quando sono chiare ed inequivocabili.

    Ci sono situazioni in cui è inutilizzabile, come schermo, anche il “politicamente corretto”, e questo è esattamente il caso degli applausi tributati da una platea di confindustria [che da questo momento in poi scriverò, per disprezzo, con l’iniziale minuscola] all’amministratore delegato di Thyssenkrupp, Espenhahn, un assassino condannato a 16 anni e 6 mesi per omicidio volontario, in seguito alla morte di sette operai nello stabilimento di Torino il 7 dicembre del 2007.

     

    Qualsiasi giustificazione si può addurre, davanti alle ovazioni tributate dal consesso di industriali ad un assassino e stragista, nato dalla putrefazione del peggior capitalismo mutante, non è sufficiente, non basta per non farci dire: ecco cos’è veramente confindustria, un covo di sfruttatori e parassiti disposti alla strage, abituati da troppo tempo al caviale dei contributi erogati con i soldi pubblici ed allo champagne del profitto estorto ai lavoratori.

    Dietro l’aspetto austero, moderatamente piacente ed elegante di Emma Marcegaglia, si malcela un nido di serpenti, assassini e sfruttatori che si fanno apertamente beffe della sicurezza sul lavoro, degli stessi operai caduti sulle linee di produzione, perché tanto il lavoro è interamente a carico degli altri, e la cosa non li riguarda, se non nel momento di intascare gli utili e di consolidare la loro posizione di privilegio.

    La vecchia immagine dell’imprenditore-puttaniere privato usata dai soliti “comunisti” otto-novecenteschi, il quale sfruttava cinicamente i lavoratori, costringendoli ad oltre dieci ore di lavoro giornaliere per la mera sopravvivenza, mentre lui se ne andava tranquillamente a puttane [ieri cocotte ed oggi escort] e si baloccava nel vizio con i frutti del lavoro coatto altrui, oggi ci sembra tornata prepotentemente di moda, quanto mai veritiera ed attuale.

    Gli applausi di una platea di assassini e sfruttatori ad un loro complice, condannato ma naturalmente a piede libero – perché i veri assassini in questo sistema non pagano mai, confermano una volta di più che non esiste “il lavoro libero” capitalistico, ma agiscono forme di costrizione che in questa epoca tendono a diventare più stringenti, tanto è vero che un ministro della repubblica, nella persona di Giulio Tremonti, ha dichiarato tempo fa in merito alla sicurezza sul posto di lavoro, dalla legge 626 del 1994 al Testo Unico Sicurezza Lavoro [Decreto legislativo n. 81 del 2008] che avrebbero dovuto garantirla per tutti: “robe come la 626 sono un lusso che non possiamo più permetterci”, perché troppo costosa, una mera zavorra nella competizione globale.

    Ma forse è meglio dire, con chiarezza, non ci si può più permettere la sicurezza sul posto di lavoro – accettando come se nulla fosse le morti bianche, quali incidenti collaterali dello “sviluppo economico” – esclusivamente perché limita il profitto intascato dalla stessa platea di assassini e schiavisti che ha applaudito Espenhahn.

    Altri ministri in carica [Romani, Calderoli] hanno debolmente condannato, ma senza esagerare nel biasimo, l’atteggiamento benevolo, anzi, apertamente favorevole, di confindustria nei confronti dell’AD pluriomicida di Thyssenkrupp, parlando di “applauso improprio” [Romani] o “fuoriluogo” [Calderoli].

    Pur apprezzando la moderata e cauta umanità di questi ministri [Romani e Calderoli] davanti alla sfacciatezza degli assassini che si riconoscono e si applaudono pubblicamente, devo rilevare che l’applauso non è improprio né fuoriluogo, ma rappresenta il più palese riconoscimento che Harald Espenhahn è in tutto e per tutto uno di loro, figlio della stessa logica sistemica e membro della stessa classe, e fa quello che anche loro cercano di fare, per perseguire obbiettivi di puro arricchimento personale, di carriera e di potere vendendo la pelle degli altri, se necessario.

    Il rischio d’incendio c’era, alla Thyssenkrupp di Torino, e la cosa era nota alla dirigenza che aveva deciso di continuare la produzione, senza però provvedere alla manutenzione degli impianti, in uno stabilimento in dismissione, tanto che in quel tragico 7 di dicembre del 2007 si poteva dire che le morti erano annunciate, e che potevano essere evitate manutenendo gli impianti ancora in attività.

    Anche le condizioni di pulizia dell’ambiente di lavoro, tali da incidere sulla sicurezza, erano in quel caso discutibili, tanto che il giorno dopo l’incidente [8 dicembre 2007] la ditta incaricata delle pulizie che da tempo interveniva “a chiamata”, dovette pulire tutte le linee di produzione, meno l’ultima, quella in cui si era verificata la tragedia, perché posta sotto sequestro giudiziale.

    Il risparmio sulla sicurezza e quello sulle stesse pulizie dell’ambiente di lavoro, la rinuncia alla manutenzione degli impianti, che possono costituire un pericolo per l’incolumità fisica dei lavoratori, hanno un solo scopo: alimentare il profitto, la creazione del valore ad esclusivo beneficio dell’”azionista” [l’Investitore], davanti al quale in questo liberalcapitalismo sovrano non c’è etica né legislazione che tenga.

    In altre parole, c’è chi si sente al di sopra della legge civile e penale degli stati, riconoscendo soltanto “la legge del mercato” che per lui significa ricchezza e potere e per moltissimi altri sfruttamento, povertà e morte.

    Anzi, ai gradi ed ai livelli più alti della scala sociale, i grandi Investitori sono “esenti” anche dalla spietata legge del mercato, che colpisce sempre e soltanto i subordinati, quale strumento di dominazione e sistema di razionamento ed esclusione imposto.

    Altro che il vecchio ordigno islamico Bin Laden che si sognava nuovo califfo, ma ormai quasi arrugginito, morto da poco oppure, secondo altre fonti, dieci anni fa … sappiamo bene, qui, in occidente chi e cosa rappresentano il vero pericolo per il nostro futuro!

    E’ ora di finirla di parlare di “imprenditori buoni” in contrapposto a quelli “cattivi”, di bere menzogne come quelle della “coesione sociale”, di cercare “concertazioni” che penalizzano sempre e comunque lavoratori e subordinati.

    Il nemico sociale va riconosciuto e combattuto senza esclusione di colpi, altrimenti si moltiplicheranno le platee che applaudiranno con esultanza gli stragisti e gli assassini di questo capitalismo, mentre noi saremo condannati in massa ad una nuova, più pesante e più invasiva servitù, a quel punto senza scampo.

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