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    La fattoria biodinamica Mega a Barchi (PU)

    Una bella e dura scelta di vita, che insegna ai consumatori che non basta acquistare un prodotto bio o biodinamico per avere la coscienza a posto, ma bisogna iniziare a condividere con gli agricoltori la grande responsabilità economica che la produzione agricola comporta.
    26 agosto 2011 - Lucy Milenkocic

     

    Dal paese di Barchi sulle colline marchigiane a pochi km da Fano, attraversando vigne, campi di girasoli, di cereali e di rigogliosa erba medica, una strada bianca in discesa ci porta in una valletta che sembra isolata dal resto del mondo. Un gregge di capre pascola su un prato, di fianco una mucca dalla mammella rigonfia di latte esplora il terreno racchiuso da un recinto elettrico. Dall’altra parte della strada di terra che attraversa la proprietà, si distinguono file di piante di diverse sfumature di verde: le coltivazioni di ortaggi. E poi: i prati, un gruppo d’alberi che nasconde un laghetto, file di salici che costeggiano un ruscello, e più in là una grande serra piena di piante di pomodoro di colore verde scuro e dalla crescita lussureggiante.

    Tutto ebbe inizio a Milano. Tre designer trentenni si conobbero lavorando nella stessa agenzia. Solo uno di loro, Enrico, aveva radici contadine e un diploma di perito agrario. Guia e Antonio si erano già conosciuti anni prima, avendo frequentato la stessa scuola di grafica a Urbino. Sebbene il lavoro professionale procedesse bene, portando soddisfazioni e avanzamenti di carriera, lasciava l’anima insoddisfatta. Inoltre portava con sé interrogativi etici: è lecito aiutare una ditta alimentare (che lavora seguendo valori opposti ai nostri) a vendere sempre più prodotti dichiarando cose non vere? E’ possibile pensare di lavorare sempre da dipendente, rinunciando ad essere padroni di se stessi? Avendo il progetto di fondare una famiglia, non sarebbe meglio condurre una vita sana a contatto con la natura piuttosto che vivere in una metropoli come Milano?

    Il primo contatto fu il convegno annuale dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica tenutosi a Varese nel 2007. Lì un discorso del Dott. Leonelli sull’etica del lavoro toccò proprio le corde che dolevano nella coscienza di Guia, portando alla luce ciò che fino ad allora era rimasto solo un senso di insoddisfazione velato, un’aspirazione al cambiamento che non aveva ancora assunto i contorni di una decisione chiara. L’entusiasmo contagiò tutti e tre: seguirono il corso di alimentazione alla Zelata con Emma Graf, il corso di biodinamica a Pomaia con Paolo Pistis. Fecero stage di lavoro pratico presso l’azienda agricola di Franco Pedrini e a Poggio Antico. Forse era possibile fare una scelta di vita diversa, lavorando non solo per guadagnare e fare carriera ma perseguendo anche obiettivi etici!

    Partecipando alle riunioni della sezione Marche, conobbero i biodinamici della zona, tra cui Renzo Tronchin, un biodinamico storico che aveva appena comprato un podere a Barchi e sapeva che un podere confinante era in vendita. Così si decise di fondare una società agricola costituita per il momento da due coppie della stessa età: Guia e Antonio, Enrico e Masha, con la speranza che altri avrebbero condiviso il progetto e si sarebbero aggregati. Si partì senza capitale proprio, ma con una consistente prestito a condizioni favorevoli da parte di un parente.

    Così ebbe inizio l’avventura: nel 2007, dicendo addio a Milano e al lavoro sicuro, furono acquistati (anche con l’aiuto di un mutuo) i 13 ha di terreno seminativo confinante con Renzo, con il progetto di produrre ortaggi. L’ortaggio ha un ciclo breve e quindi porta subito reddito. Piccolo problema: sul fondo non ci sono case, quindi si affittarono due piccoli appartamenti in paese, con l’idea di condividere oltre al lavoro anche la vita quotidiana, aiutandosi ad esempio a tirare su i figli. Prima o poi si sarebbe riusciti a costruire un’abitazione sul fondo, superando i vari ostacoli burocratici. Appena trasferiti, furono concepiti una bimba e un bimbo: segno chiaro che l’idea era giusta!

    Ma l’acquisto del terreno è solo il primo passo, molto oneroso ma forse neppure il più impegnativo. Per potere iniziare a lavorare ci sono innumerevoli investimenti da fare: comprare i trattori, gli attrezzi, fare il sistema di irrigazione, costruire un ricovero per i mezzi, costruire una stalla……E sì, perché fin dall’inizio fu chiaro che non ci sarebbero stati solo ortaggi ma che dovevano esserci gli animali, sia per garantire la fertilità sia per ottenere una diversificazione della produzione! Così furono acquistate diverse capre di razza scamosciata alpina con l’obiettivo di produrre latte e in futuro formaggi. Ma allora non si sapeva ancora che costi porti con sé la costruzione di un piccolo caseificio aziendale! E i costi possono poi essere ammortizzati con una produzione tanto modesta? Pieni di ottimismo come lo si è da neofiti dell’agricoltura, presentarono un progetto con la speranza di ottenere i finanziamenti previsti dal piano di sviluppo rurale per i giovani agricoltori. Il tutto si risolse nel nulla perché il piano di spesa era troppo basso e non prevedeva l’acquisto di grandi trattori tecnologici. Comunque non ci si perse d’animo e si iniziò a costruire la stalla con materiali di recupero e impiegando solo la propria forza lavoro. La spesa fu contenuta, e ora le capre, la mucca e due vitelli hanno i loro comodi box di legno con abbondante lettiera dove riposarsi. Nel futuro si pensa anche ad introdurre un paio di maiali che potrebbero sfruttare i resti di ortaggi, soprattutto di cavoli. Il fieno e i pochi cereali necessari per l’alimentazione del bestiame vengono prodotti sui terreni che sono rimasti a seminativo.

    Attualmente un ettaro di terra è destinato ad orto estivo, un altro ettaro a orto invernale, un ettaro è a sovescio; poi ci sono due grandi serre. Per ora le piantine vengono acquistate dall’unico vivaio che produce piantine bio nella zona, il problema è che la possibilità di scelta delle varietà è molto limitata. Si sta quindi pensando a introdurre anche una produzione propria di piantine, per garantirsi così la possibilità di scelta delle varietà più adatte alla coltivazione biodinamica. Ma non è sufficiente piantare, irrigare e raccogliere, un grande impegno è richiesto anche dal ripristino della fertilità del suolo. Questi terreni furono a lungo coltivati e sfruttati come seminativi in agricoltura convenzionale, ora bisogna cambiare strada. Si è riusciti a ricevere del letame in regalo da una stalla vicina, è stato comunque molto oneroso il trasporto e la sistemazione in cumuli. Però questo letame non ne vuole sapere di compostarsi adeguatamente fino a diventare l’ambito ricco terriccio, ma ha piuttosto la consistenza di una crema, difficile da interrare. Molto diverso è il cumulo fatto con il proprio letame: ben trasformato e dalla consistenza terrosa. Inoltre si cerca di usare intensivamente il cornoletame e il Fladen

    Un altro impegnativo lavoro da fare sarà l’impianto di siepi e di alberi, essendo la proprietà piuttosto carente da questo punto di vista. Quindi: altri investimenti, altro duro lavoro da aggiungere al lavoro quotidiano di produzione!

    Un altro ostacolo che spesso l’agricoltore che vive in posti così isolati si trova ad affrontare è la commercializzazione dei propri prodotti. Qui è stata d’aiuto la collaborazione che c’è stata fin dall’inizio con Renzo Tronchin, che già produceva ortaggi e aveva i suoi canali di vendita. Così ognuna delle due aziende produce i propri tipi di ortaggi e insieme soddisfano la richiesta dei propri principali acquirenti : i Punti Macrobiotici, l’emporio dei produttori di Fano e i Gas locali

    La commercializzazione è un altro grosso peso che grava sull’agricoltore: quanto tempo ci vuole a preparare le cassette (senza neanche avere un locale per il lavaggio delle verdure e il confezionamento) e poi a distribuirle! Per non parlare dei commenti non sempre favorevoli dei consumatori sul tipo di verdure che si trovano nella cassetta (l’insalata è scomoda perché va lavata, con la zucca non si sa che fare, i cavoli non piacciono ai bambini, d’estate tutti hanno i parenti con l’orto quindi c’è meno richiesta proprio quando c’è più prodotto, in inverno manca questo e quello…). Per cui bisogna anche insegnare ai consumatori come lavare e conservare l’insalata, fornire loro ricette per la zucca e i cavoli……..quindi all’agricoltore spetta anche l’educazione del consumatore!!!

    Certo, tutte queste difficoltà sorgono man mano che si produce, che ci si trova a fare i conti con lavoro quotidiano, con i clienti. All’inizio non era così chiaro che questa vita sana ed etica sia tanto dura, richieda così tanto lavoro (niente tempo libero, niente domeniche, niente gite al mare, ma neppure niente vita di famiglia!), che sia così costosa che tutto quello che si incassa finisce solo a pagare i mutui (e già è molto!) e non resti nulla per il proprio sostentamento. Tanto che per avere un reddito Masha è dovuta tornare a lavorare in ospedale a San Marino con il figlio e Guia lavora in casa come grafico free lance, occupandosi della bambina.

    Enrico è convinto che bisogna mettercela tutta, lavorare senza risparmiarsi per qualche anno, diversificare la produzione, costruire una nuova stalla e sul tetto installare pannelli fotovoltaici, organizzare un laboratorio di caseificazione in un container spostabile, per riuscire man mano a fare quadrare i conti. L’anno passato, ad esempio, con i pomodori è stata fatta la passata e con il farro è stata fatta la pasta, ma ancora non c’era il riconoscimento biologico e poi costa caro pagare i laboratori di trasformazione. Dal marzo di quest’anno c’è il riconoscimento bio e anche quello Demeter, questo forse faciliterà le cose.

    Una soddisfazione è stata il fatto che l’Università di Monsampolo (collegata all’Università di Ancona) si è rivolta a loro perché partecipino ad alcuni progetti di ricerca. Ma questo comporterà altro lavoro…………… si riuscirà a fare tutto?

    Prendendo in considerazione questa realtà non si può non riflettere su quale enorme peso gravi sulle spalle dei giovani che non hanno ereditato la terra ma che sono costretti ad acquistarla. Per non parlare poi dell’enorme onere di lavoro e di denaro che comporta il curarla adeguatamente e fare sì che produca a sufficienza. Poi, per riuscire a vendere, bisogna anche confrontarsi con i gusti dei consumatori, distorti da decenni di agricoltura convenzionale e industriale che ci ha abituati ad avere tutto in qualsiasi momento.

    Rudolf Steiner diceva che ogni cittadino dovrebbe prendere su di sé la responsabilità di un pezzo di terra: la sopravvivenza di noi tutti, non solo degli agricoltori, dipende dal fatto che la terra resti sana! Non basta perciò acquistare un prodotto bio o biodinamico per avere la coscienza a posto ma bisogna iniziare a con dividere con gli agricoltori la grande responsabilità economica che la produzione agricola comporta. Oramai sono tanti gli esempi di come si possa procedere in questa direzione: dalle CSA degli USA alle comunità aziendali delle aziende biodinamiche tedesche dove sono i consumatori ad acquistare la terra e a garantire l’acquisto dei prodotti, mentre gli agricoltori portano solo il peso (non indifferente peraltro) della conduzione agricola.

    Aiutiamo i giovani volenterosi a dimostrare che un altro mondo è possibile!

    Lucy Milenkovic’, Gubbio, giugno 2011 per il Bolletino dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica

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