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    5 marzo 2007 - Finansol
    Fonte: Bollettino Rees Marche Anno 3 N° 1 - 04 marzo 2007

    Lo scenario della finanza etica

    Tratto da http://finansol.it

    Solo dieci anni fa in Italia il termine finanza etica faceva gridare all’ossimoro (parole che si contraddicono fra loro). Oggi perfino le banche coinvolte nel traffico d’armi hanno almeno un prodotto che non temono di definire etico. Cos’è successo nel frattempo? Vi sono state diverse novità: è nata una Banca Etica, sulla spinta di decine di organizzazioni nonprofit, ma soprattutto di migliaia di cittadini; il mondo finanziario è stato scosso da scandali di dimensioni mai viste (Cirio e Parmalat) e dalle squalificanti manovre dei “furbetti del quartierino” (i casi BNL e Antonveneta); le grandi organizzazioni internazionali hanno scoperto il microcredito come strumento di lotta alla povertà, e qualche politico di casa nostra se ne è accorto. Così capita di ascoltare qualcuno dei grandi banchieri del momento dichiarare che «se il cliente mi chiede l’etica io la metto a scaffale, per la vendita», gli enti locali - ma anche le regioni e i ministeri - non esitano a cimentarsi in programmi di microcredito e finanza etica.
    Il tutto in un contesto in cui sono cresciute le disuguaglianze nel paese, si sono ridotti i redditi reali, è aumentato drasticamente il credito al consumo, sono sempre più numerosi coloro che sono costretti a indebitarsi per l’acquisto della casa, non potendone sopportare l’affitto. Dunque si amplia la schiera, tra i cittadini, dei “non bancabili”, o potenzialmente tali. Mentre tra le imprese, le piccole o micro in particolare, è Basilea 2 a minacciare il prossimo futuro. Tutto sembra funzionare, quindi: aumenta la domanda (e bisogno) di credito, cresce l’offerta di finanza etica.
    Ma le cose non stanno così. Perchè la gran parte di questa offerta è sul lato della raccolta, tesa a intercettare i risparmiatori sensibili (disposti anche a rinunciare a qualche punto di tasso) piuttosto che a cercare progetti da sostenere. Perché quella che si spaccia come finanza etica è quasi sempre poco più che beneficenza, a volte neanche disinteressata. Perchè sia nell’esperienza italiana che in quella internazionale le “best practice” sono qualificate dalle caratteristiche di processo, decisamente più importanti di quelle di prodotto: la trasparenza e la partecipazione su tutte. Ed è in queste due parole chiave che vanno cercate le prospettive della finanza etica (critica, solidale, responsabile o come la si voglia chiamare), che può effettivamente generare circuiti virtuosi solo se lega in modo mutualistico e solidale prenditori e prestatori di fondi, se è in grado di valutare e comunicare il valore extra-economico dei progetti sostenuti, se diventa strumento di emancipazione economica e sociale, se nasce dal basso, secondo principi di autogestione e cittadinanza attiva.”

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