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    Il progetto comunitario di Adriano Olivetti

    Sintesi dal contributo di Marco Maffioletti all'interno del libro “In me non c'è che futuro” - ritratto di Adriano Olivetti.
    14 gennaio 2015 - redazione REES Marche

     

    Sintesi dal contributo di Marco Maffioletti all'interno del libro “In me non c'è che futuro” - ritratto di Adriano Olivetti.

     

    Alla separazione tra le persone e il loro contesto sociale, Olivetti contrappone un'entità comunitaria in cui i cittadini possiedono il massimo potere decisionale e attuativo, affinché siano gli effettivi attori politici e arbitri della loro esistenza. In base a questi principi Olivetti ipotizza un articolato piano di riforme, per attuare una graduale ed effettiva decentralizzazione dell'amministrazione, delle funzioni e delle attività statali, che avrebbe messo in primo piano gli enti territoriali locali, denominati Comunità, bilanciando così la piramide del potere con spinte e condizionamenti dal basso. La Comunità avrebbe dovuto essere “un'unità organica ed efficiente, in cui, attraverso la possibilità della collaborazione e dei contatti fra i suoi componenti, possa crearsi un'esperienza diretta e viva dei singoli problemi della vita associata”, ossia un organismo politico, sociale, economico di dimensioni ridotte, il cui governo sarebbe stato più immediato ed effettivo. L'estensione delle funzioni politiche dei cittadini e la loro maggiore capacità di controllo sull'operato della Comunità avrebbero fatto dello Stato federale delle Comunità un'organica struttura istituzionale a dimensione umana, consentendo così una più facile identificazione fra persona, società e stato, democratizzando quest'ultimo, alleggerendone il peso tradizionale, senza privarlo del ruolo regolatore generale, di calmiere dove trovano soluzione le tentazioni campanilistiche di un localismo identitario pericoloso quanto il totalitarismo.

    Adriano Olivetti prevedeva, quindi, che la riforma comunitaria avrebbe ridotto drasticamente la funzione dei partiti nell'organizzazione del paese e permesso alle istituzioni di agire sulla base di scelte compiute dai cittadini, ora consapevoli sul piano politico e sociale, personalmente responsabili e liberi da dogmi, per via di una adesione diretta alla propria realtà. Per mezzo di un articolato schema di elezioni, grazie all'integrazione delle forze del lavoro e della cultura alla democrazia, gli uomini politici sarebbero stati selezionati dalla Comunità sulla base dell'esperienza, della competenza, degli intimi convincimenti dimostrati e non secondo gli slogan, i programmi e gli schematismi ideologici, non sempre trasparenti, del partito politico. Attraverso i parlamenti regionali la classe dirigente averebbe poi dovuto seguire un percorso che avrebbe portato ai più alti gradi della gerarchia politica le persone che avessero dimostrato con il proprio lavoro una spiccata capacità ad assolvere specifiche funzioni politiche, secondo rigorose inclinazioni etiche.

    Inoltre Adriano Olivetti sapeva che l'evoluzione sociale si concretizza in una “lotta continua contro il privilegio” e promosse un significato nuovo di economia, di industria, di urbanistica, concepiti come “servizi sociali. Per riconoscere il valore sociale della produzione sociale, Olivetti propose l'affidamento delle imprese alla Comunità, ma senza vagheggiare un'ideologica collettivizzazione dei mezzi di produzione. L'Industria Sociale Autonoma sarebbe stata controllata per un 25% dalla Comunità, per un 25% dai lavoratori (dagli operai come dai capi-reparto), per un 25% dalla più vicina Università (garante della ricerca scientifica) e per un 25% dalla proprietà tradizionale, vincolando così l'azione economica, oltre che al luogo, anche alla qualità del prodotto e ai bisogni reali espressi dai consumatori, in modo da conferire maggiori “dignità e consapevolezza dei fini del lavoro” Destituendo il capitale dalla direzione del potere economico si sarebbe posto inoltre in primo piano il fattore umano e sociale dell'industria, i valori della persona e della collettività che in essa possono trovare una fruttuosa conciliazione.

    All'epoca di Adriano Olivetti, “società” e “persona” erano miti vivissimi. Egli dedicò intelligenza, tempo, capitali per integrarli e armonizzarli in un nuovo mito, quello della “Comunità”: “...una società in cui la Persona abbia la possibilità immediata di esplicare la propria umanità e spiritualità, una società umana, solidarista, personalista: quella di una Comunità concreta”.

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