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    24 giugno 2007 - Michele Altomeni
    Fonte: Tratto da http://www.altomeni.info

    Ciò che deve accadere…

    Introduzione

    Non sono un economista, nemmeno uno storico. Questi primi trentacinque anni della mia vita li ho passati a giocare. Da una decina di anni gioco a fare politica e anche a fare il giornalista.
    Dall’angolo di mondo in cui vivo cerco di osservare e capire cosa mi succede intorno. Sono un’autodidatta irrequieto che non riesce a specializzarsi in nulla, perché anche lo studio per me è un gioco. Sono l’esatto opposto di un esperto, in qualunque campo.
    Come un gioco nasce questo libro. Il gioco non è una cosa seria. E nemmeno i racconti lo sono, tanto meno i racconti mitologici. Così questo libro non poteva che aprirsi con una storia inventata, fuori dal tempo e dallo spazio.
    Le pagine che seguono raccontano “ciò che deve accadere”, i giorni che abbiamo davanti. Mettono insieme pezzi di storia, dati, notizie, teorie, e cercano di tracciare una linea. Dipingono un quadro piuttosto cupo, la fine di una civiltà, una crisi economica globale, una collasso ecologico, su uno sfondo di violenza e guerre. Parlano di una fine, che nella ruota del tempo segna sempre un nuovo inizio. In questo sta la chiave del gioco. Speranza e disperazione si rincorrono sulla ruota, e dentro queste pagine. Il futuro si può determinare? Siamo figli di un destino ineluttabile o del libero arbitrio? E’ l’interrogativo che ha accompagnato l’umanità durante la sue esistenza.
    E’ solo un gioco, non va preso troppo sul serio… O no?

    Ciò che deve accadere…

    La casa occidentale trabocca di oggetti e di lusso. Nei secoli si è trasformata in uno sfarzoso palazzo e da decenni è in corso una festa da ballo. Nel salone si mangia, si beve e si volteggia. Camerieri in livrea servono le prelibate vivande preparate nelle fumose cucine da cuochi sudati e unti. Al piano di sotto i garzoni sbucciano patate e lavano le stoviglie in locali bui e polverosi. Fuori dalla casa, oltre il fiume, c’è una sterminata campagna disseminata di contadini che piantano e raccolgono prodotti della terra per rifornire la casa occidentale. Ai bordi della campagna, sul crinale di una collina, si stende il villaggio fitto di capanne e capannoni dove si lavora a ritmi serrati per tessere i lussuosi abiti da ballo, forgiare le stoviglie e gli addobbi, costruire sempre nuovi arredi e utensili, e poi gingilli e giochi di ogni tipo per intrattenere gli ospiti.
    Mentre la casa occidentale si trasformava, anche la campagna e il villaggio hanno subito una metamorfosi. Nella campagna i ritmi sono diventati più serrati, alla madre terra è stato negato il riposo e le si è imposta una perenne gravidanza. E non bastando ancora è stata cosparsa di magiche sostanze che la rendessero più fertile, e il lavoro dei contadini, affinato nei millenni, è stato stravolto, meccanizzato, snaturato. Nel villaggio la stessa trasformazione: lavoro sempre più veloce, produzione sempre più intensa, e nuova organizzazione sociale per aumentare la quantità di beni da mandare al mercato, con l’aiuto delle macchine che scandiscono un nuovo tempo, un tempo che ha rotto la sincronia con il palpitare del cuore della Terra.
    Nella capanna del vecchio saggio ci si chiede quando tutto questo sia cominciato. Qualcuno suggerisce che sia stato l’avvento delle macchine, altri rispondono che le macchine sono una conseguenza e che la vera causa è il denaro, altri ancora sostengono che tutto dipenda dalla morte degli dei… Il vecchio saggio ascolta e non parla. Ripercorre i suoi ricordi. Ciò che deve accadere accade.

    Un tempo la casa occidentale aveva un suo campo con cui si sfamavano tutti gli abitanti, e alcune officine e laboratori per i beni necessari. Poi venne un viandante di nome Prometeo con una donna bellissima chiamata Sapienza, dagli occhi azzurri e i capelli biondi. Nella casa molti, soprattutto i giovani, si innamorarono di lei. Restavano ore ad osservarla e ad ascoltarla parlare di cose meravigliose, sognavano al suono della sua voce, immaginavano un mondo fantastico, senza più sofferenza, senza dolore, senza morte. Sapevano che erano sogni e tanto bastava.
    Un giorno Prometeo decise che era tempo che lui e Sapienza riprendessero il loro viaggio. Sulla casa si addensò una nuvola di tristezza che poi divenne disperazione. Lo implorarono di non partire e, quando capirono che non c’era modo di convincerlo, lo scongiurarono di non portare via Sapienza. Prometeo ci volle pensare e se ne andò a meditare per i campi. Là incontrò una fanciulla che raccoglieva spighe dorate e le infilava in un fascio sotto il braccio. Abitava con i contadini che la allevavano come una figlia. Sembrava giovanissima, eppure era lì da sempre. I più anziani nella casa ricordavano che quando erano venuti al mondo lei abitava già lì, ed aveva quell’aspetto da fanciulla, loro erano cresciuti e invecchiati, e lei era rimasta immutata. E ricordavano storie dei loro avi, che raccontavano che quando la casa occidentale era stata costruita per la prima volta, ed era solo una capanna di rami, la giovane era già lì e li aiutò nell’impresa. Il suo nome era Saggezza.
    Prometeo rimase folgorato, naufragò nel mare verde dei suoi occhi, restò impigliato nel nero groviglio dei suoi capelli e disperso sulla distesa bruna della sua pelle. Lei dapprima sorrise, poi un sottile velo di tristezza le si posò sul viso. Prometeo non se ne avvide e corse alla casa a dire che avrebbe lasciato Sapienza solo se avesse potuto portare con sé Saggezza. Dapprima tutti rimasero ammutoliti, poi parlarono alcuni per rifiutare lo scambio, altri risposero che bisognava pensarci, la discussione si fece animata. I più anziani erano del tutto contrari a lasciar partire Saggezza, così pure i contadini che l’avevano sempre avuta tra loro e che non sapevano immaginarsi un’esistenza senza di lei. I più giovani, soverchiati dal fascino di Sapienza, rispondevano che in fondo Saggezza era una persone come le altre, come tanti che nel tempo avevano lasciato la casa per andare altrove, senza che questo avesse comportato problemi. Qualcuno disse anche che Saggezza non era molto utile allo sviluppo e alla crescita della casa e della comunità che l’abitava, mentre Sapienza, con le sue conoscenze e con i sogni che sapeva dispensare, avrebbe portato grandi benefici. I più anziani non capirono il senso di questa frase. Dopo ore di discussione un anziano si accorse che Saggezza se ne stava seduta sul bordo di un carretto poco distante, ad ascoltare in silenzio. Vide nei suoi occhi la tristezza, una tristezza mai vista, intrisa di paura e coraggio allo stesso tempo, di speranza e rassegnazione. Il vecchio disse che quella discussione era inutile perché doveva essere Saggezza a decidere. I giovani non condividevano, ma lasciarono che lei esprimesse la sua opinione. Saggezza abbassò gli occhi e disse solo “ciò che deve accadere accade”. I giovani le chiesero di spiegarsi meglio, ma lei non volle dire altro. I contadini capirono, l’abbracciarono sommersi di lacrime e dolore e promisero che avrebbero aspettato per sempre il suo ritorno in mezzo a loro. Gli altri anziani non vollero interpretare le parole di Saggezza come un consenso e continuarono a discutere, finchè alcuni tra i giovani proposero di mettere la questione ai voti. Gli anziani rimasero scandalizzati da quella proposta perché nella casa non si era mai votato nulla, le decisioni venivano prese assieme, discutendo, a volte per giorni. I giovani dissero che non c’era tempo, che Prometeo doveva partire, che c’erano incombenze, e non si poteva restare giorni a discutere su quella questione perdendo tempo prezioso. Gli anziani, ancora una volta, non capirono la frase dei giovani. Frastornati accettarono di votare, ma siccome i contadini se ne erano già andati, gli anziani rimasero in minoranza e ai voti vinse la proposta dei giovani. Gli anziani non avrebbero più perdonato ai contadini quell’assenza, perché il loro voto avrebbe rovesciato il risultato.
    Fu così che Prometeo se ne andò dalla casa occidentale portando con sé Saggezza e lasciando Sapienza.
    Da quel giorno molte cose cominciarono a cambiare nella casa. I sogni che Sapienza dispensava diventavano sempre più vividi, quasi palpabili e ci si dava un gran da fare per realizzarli. Realizzare quei sogni richiedeva tempo ed energie che venivano sottratti ai vecchi lavori nei campi e nelle officina, richiedeva la disponibilità di materiali e risorse di cui la casa non disponeva. Così alcuni giovani coraggiosi si misero in viaggio e attraversarono il fiume giungendo alla grande campagna e al villaggio sulla collina. Chiesero aiuto, proposero commerci. Dalla casa occidentale avrebbero mandato un po’ dei sogni dispensati da Sapienza, e in cambio, dalla campagna e dal villaggio sarebbero arrivati i beni necessari alla vita e al progresso della casa occidentale. Per un po’ i commerci andarono bene, ma la casa occidentale aumentava sempre più le richieste. La grande campagna e il villaggio non accettarono di aumentare le produzioni ed i commerci, nemmeno quando la casa occidentale raddoppiò le sue offerte.
    Fu proprio in quei tempi in cui la casa era schiacciata tra la grandezza dei sui sogni e i limiti alla loro realizzazione che Sapienza si assentò per qualche giorno per ritirarsi in una grotta. Tutti erano tanto presi dal loro lavoro che nemmeno si accorsero della sua assenza. Quando tornò Sapienza apparve più bella che mai, maestosa e raggiante. Gli abitanti della casa si fermarono ammaliati ad osservarla e lei mostrò loro il sogno più grande che avesse mai creato. “Grazie a me avete potuto fare tutto questo. State costruendo una casa perfetta, senza più dolore e sofferenze, senza paura e crudeltà. Ma sapete bene che oltre il fiume vivono persone ancora immerse nel passato, preda dell’ignoranza, selvagge. Talmente selvagge che non solo ignorano, ma addirittura rifiutano di beneficiare anche loro della sapienza che noi offriamo. Tenere per noi tutto questo sarebbe un atto di estrema crudeltà ed egoismo, che non si addice ad un popolo evoluto come il nostro. E’ nostro dovere portare il beneficio dei nostri sogni oltre il fiume. Sappiamo che dapprima rifiuteranno, perché nella loro ignoranza non possono capire e giudicare in maniera razionale. Per questo sarà necessario compiere anche azioni spiacevoli, ma a volte il bene supremo richiede un sacrificio, e noi faremo quel sacrificio, in nome di questo sogno.”
    Dal grande sogno di Sapienza gli abitanti della casa impararono a costruire nuove e terribili armi. Prepararono un grande esercito e con questo attraversarono il fiume sottomettendo al loro potere la grande campagna e il villaggio sulla collina, perché anche loro potessero beneficiare dei sogni di Sapienza.
    Ci volle tempo, ma un po’ alla volta anche gli abitanti della grande campagna e del villaggio cominciarono ad innamorarsi di Sapienza, impararono a godere dei suoi sogni e a lavorare per renderli reali. Allora la casa occidentale potè ridurre l’uso della forza, e il grande esercito fu utilizzato di tanto in tanto solo contro i pochi riottosi rimasti. Il commercio riprese più fiorente che mai e una grande quantità di merci attraversava ogni giorno il fiume.
    Ad un certo punto nella casa occidentale si pensò che siccome da oltre il fiume arrivavano tutti i beni che servivano, non era più necessario lavorare, così vennero dapprima abbandonati i campi e poi le officine. Fu allora che la casa divenne una grande sala da ballo e di divertimento.
    I discendenti dei contadini e degli anziani che non avrebbero voluto lasciare andare Saggezza, e che erano rimasti in disparte rispetto al grande lavorio della casa, sono quelli che pelano le patate, cucinano e servono al banchetto. Non conservano la memoria di quello che è stato e vivono la loro condizione come un’ingiustizia. Lavorano nella casa per godere degli avanzi della festa, sognando che un giorno avranno anche loro diritto di partecipare al ballo di cui giunge la musica alle loro orecchie. E invece succede sempre più spesso che qualcuno di loro venga cacciato fuori dal muro di cinta e lì abbandonato ad arrangiarsi. Questo perché da oltre il fiume arrivano patate già pelate, piatti pronti surgelati, e lavoratori disposti a servire accontentandosi di meno avanzi, così rimangono più avanzi per i cani feroci lasciati ai cancelli della casa per impedire ai disperati oltre il fiume di entrare. Infatti oltre il fiume le cose non vanno molto bene, il grande sogno di Sapienza non si è ancora realizzato a pieno e nessuno sa quando succederà, ma tutti sono convinti che bisogna avere pazienza e attendere un futuro radioso che permetterà anche a quei disperati di smettere di lavorare e soffrire per dedicarsi solo al ballo.

    Alla capanna del saggio, nel villaggio sulla collina, giunge un giovane viaggiatore di nome Alì, ha la pelle nera, e gli occhi azzurri, figlio di un poeta assassinato. Il saggio lo accoglie e gli offre un pasto e un giaciglio per riposarsi. Il saggio accoglie sempre i viaggiatori perché anche lui, in tempi lontani, fu uno di loro. Mentre prepara la tavola entra nella capanna una fanciulla dagli occhi verdi e i lunghi capelli neri. Il vecchio presenta Saggezza ad Alì.
    Alì racconta i suoi viaggi avventurosi. In ogni luogo ha trovato gioia e dolore, bellezza e orrore, odio e accoglienza. Il viaggio che più lo ha colpito è stato quello alla casa occidentale perché in quel luogo, gioia, dolore, bellezza, orrore, odio e accoglienza erano disposti secondo un ordine incomprensibile e mostruoso. Un ordine diverso da quello che regola la rotazione dei pianeti, l’avvicendarsi delle stagioni, il susseguirsi di nascita, crescita, decadenza e morte.
    Prometeo e Saggezza annuivano con il capo al suo racconto.
    Il giovane viandante descrisse nei minimi dettagli tutto quello che aveva visto nella casa, comprese le cucine fumose, i sotterranei bui e polverosi, le officine abbandonate e cadenti, i campi desertificati. Raccontò che quando stava per ripartire da quel luogo assurdo, un bambino lo chiamò. Voleva fargli vedere una cosa. Alì lo seguì sul retro della casa. Il retro era molto diverso dal resto. La casa era circondata su tre lati da un grande giardino curato e accudito da meticolosi giardinieri. Il retro sembrava appartenere ad un altro mondo, invaso da sterpaglie e rovi quasi impenetrabili. Il bambino condusse Alì dentro una specie di galleria scavata tra la vegetazione, e da lì arrivarono fino al muro posteriore della casa. Il bambino alzò il dito ed indicò una profonda crepa che tagliava in diagonale l’intera parete. Il bambino disse di avere provato molte volte ad avvertire gli abitanti della casa, ma nessuno lo aveva voluto ascoltare e seguire sul retro. Alì corse a sua volta, e a sua volta venne respinto, dapprima deriso e poi, data la sua insistenza, cacciato in malo modo fuori dai cancelli.
    “Ciò che deve accadere accade” disse Saggezza.
    Alì chiese cosa avesse voluto dire. E lei raccontò una storia.

    Venne per Gaia il tempo di procreare. Un giorno di luna piena il suo corpo si ricoprì di filamenti d’argento formando una fitta rete attraverso la quale ogni punto del suo corpo era collegato a qualunque altro punto. Tra gli intrichi di quella rete cominciarono a formarsi piccole gemme verdi, e da quelle piante, fiori, alberi, cespugli, muschi e infinite forme di vita vegetale. Poi si formarono animali di ogni specie, che abitarono il suolo, il sottosuolo, l’aria e l’acqua. E infine Gaia generò la stirpe umana. Al termine della creazione la rete di filamenti d’argento divenne invisibile, ma restò ad avvolgere ogni cosa ed ogni vita, pechè ogni cosa e ogni vita continuassero ad essere unite e restassero in armonia tra loro.
    A custodire la rete, Gaia mise le sue due figlie, Sapienza, generata dalla testa, e Saggezza, generata dal petto. Loro compito era vegliare affinché la rete non si rompesse, a là dove si rompeva, esse la riparavano. Saggezza presidiava al primo compito e Sapienza al secondo, ma sempre lavorando assieme.
    Passarono le ere e venne il tempo in cui un giovane volle attraversare la palude che delimitava il mondo degli umani. Altri ci avevano provato prima di lui, ma tutti erano stati risucchiati nella melma. Il giovane che era dotato di grande intelligenza trovò il sistema, con corde e zattere, per compiere l’impresa, nonostante tutti lo sconsigliassero e gridassero alla sua pazzia.
    Attraversata la palude il giovane trovò un bosco di piante sconosciute e vi si addentrò. Là in mezzo incontrò due fanciulle di una bellezza mai vista. Erano le figlie di Gaia, con i loro gomitoli di argento e gli attrezzi per riparare la rete. Il giovane cadde a terra folgorato. Saggezza e Sapienza lo raccolsero e lo portarono alla loro dimora per curarlo. Rimase a letto diversi giorni senza riprendere conoscenza mentre le due giovani lo accudivano. Gaia osservava in silenzio.
    Quando il giovane riprese conoscenza le due fanciulle erano accanto al giaciglio. Lo stavano osservando senza parlare, immerse ognuna nel proprio mondo interiore. Un mondo che da qualche giorno stava mutando forma, lasciando spazio a pensieri e sentimenti che prima di allora non avevano conosciuto. Germogliava e si faceva virgulto un amore nuovo, diverso da quello che le legava l’una all’altra, diverso da quello che provano per la loro madre e per le sue creature. Giorno per giorno quel sentimento crebbe e divenne sete, una sete che non si riusciva a spegnere, che diventava insopportabile ogni volta che dovevano allontanarsi dal giovane per adempiere ai loro doveri.
    Intanto il giovane era preda a sua volta di un amore travolgente. Vissero a lungo assieme amandosi alla follia. Poi venne il tempo in cui il giovane percepì in fondo al suo cuore un'altra forma di amore, quella che gli uomini chiamano nostalgia. Dapprima erano flebili segnali, poi sempre più intensi. Desiderava rivedere i suoi cari, le sue genti, i luoghi in cui era nato e cresciuto. Quando il desiderio divenne insopportabile chiese a Saggezza e Sapienza di seguirlo nel mondo umano. Saggezza risposte che non era possibile, perché avevano un dovere da compiere, che da loro dipendeva la rete che teneva assieme tutte le forme di vita e in armonia la Terra. Sapienza fu meno intransigente. Lei era stata sempre più curiosa della sorella, più portata all’avventura. Le piaceva l’idea di vedere il mondo dal punto di vista degli umani, e soprattutto non voleva separarsi dal giovane. Così decisero di chiedere consiglio alla madre. Gaia le ascoltò e poi disse.
    “Il tempo è una ruota. Io vivo in un punto di questa ruota. Infinite volte ho osservato questo orizzonte ed ho ascoltate le mie figlie farmi questa domanda. Ogni volta ho provato a dissuaderle, argomentando con tutte le mie forze il mio rifiuto. Ogni volta ne è nata una storia che si è dipanata sulla ruota del tempo, ogni volta diversa, eppure ogni volta uguale. E ogni volta la ruota mi ha riportato al tempo di procreare nuova vita, una nuova rete, e voi due ad accudirla. Oggi io so che non serve argomentare, che non serve rifiutare, perché ciò che deve accadere accade”.
    Saggezza capì e provò un dolore enorme. Sapienza non capì, ma lesse nelle parole della madre un assenso. Saggezza, trafitta da cento spade, abbracciò il giovane e la sorella. Restò, con il gomitolo in mano, ad osservare i due compagni allontanarsi da lei, attraversare il bosco e poi la palude.
    Nei primi tempi che seguirono Saggezza si sforzò di continuare da sola il suo lavoro, ma dovette accorgersi che non poteva riuscirci senza Sapienza. Era ancora abbastanza brava a prevenire le rotture, e correva da una parte all’altra della rete ogni volta che qualche strattone rischiava di spezzarla, ma quando due strattoni avvenivano allo stesso tempo in due punti diversi della rete, lei poteva prevenire solo una rottura e dall’altra parte si apriva una falla. E quella falla, senza Sapienza, lei non era in grado di ripararla. Strappo dopo strappo la rete fu ridotta a brandelli. Saggezza chiese a Gaia come fare, e la madre rispose che ormai la ruota del tempo aveva ripreso il suo giro, che la rete si sarebbe distrutta e che a nulla valeva il suo affanno.
    Saggezza capì allora che non le restava altro che andare anche lei tra gli umani, nei luoghi in cui la rete era ancora resistente e sana, e con loro tentare di mantenerla.
    Così Saggezza giunse alla casa occidentale quando la casa ancora non esisteva e con gli umani che vivevano lì attorno costruì la prima capanna e il tempo trascorse armonioso secondo i palpiti del cuore della Terra.
    Poi venne il tempo in cui le due sorelle dovevano tornare ad incontrarsi. Sapienza e il giovane con cui era partita arrivarono alla casa occidentale. Erano entrambe molto cambiate dal corso della ruota del tempo. Sapienza era diventata più superba, quasi dominata dalla propria curiosità, generava sogni e sapeva sempre come convincere gli umani a realizzarli. Saggezza si era fatta più dimessa, quasi rassegnata, se ne stava in disparte. Il suo aiuto agli umani non era fatto di consigli, seppure tanti ne avrebbe potuti dare, ma di segni. Saggezza credeva che gli uomini dovessero imparare, e sapeva che non si impara dai consigli, ma solo dall’esperienza, e per questo si limitava a disseminare segni, segni che non sempre gli umani sapevano interpretare.
    Rivedere Prometeo fu per Saggezza una grande gioia, ma subito capì che quell’incontro segnava un nuovo orizzonte sulla ruota del tempo. Prometeo da parte sua covava in cuore ancora l’amore per entrambe le sorelle. Ma mentre Sapienza la sentiva ormai lontana, presa dalla sua superbia e dalla furia di generare sogni, Saggezza gli apparve come nei ricordi più belli.
    Il resto della storia che Saggezza raccontò ad Alì è noto

    Alì era come pietrificato. Non riusciva a capire interamente il senso di quella storia, ma percepiva un disagio interiore. Pensava a quella ruota del tempo, al ripetersi dal suo corso, ogni volta diverso, ma allo stesso tempo uguale. Pensò alla casa occidentale, alla crepa sul muro che si faceva sempre più profonda e che di certo avrebbe prodotto, prima o poi, un crollo catastrofico, che avrebbe massacrato non solo gli abitanti della casa, ma anche le popolazioni oltre il fiume, ormai rese dipendenti dal commercio. Perché nel tempo avevano smesso di produrre come sapevano e quello di cui avevano bisogno, per produrre ciò di cui aveva bisogno la casa occidentale. E un po’ alla volta avevano anche perduto le loro conoscenze, i loro saperi.
    Con le lacrime agli occhi Alì chiese se aspettare la catastrofe fosse realmente l’unica cosa da fare.
    Saggezza rispose di avere rivolto questa domanda a sua madre. La risposta di Gaia fu “Non mi è dato sapere se la ruota del tempo possa cambiare il suo percorso. In ogni era ho provato con tutte le mie forze a cambiare il corso della storia per salvare le mie creature, e i miei tentativi hanno ogni volta determinato la modifica degli eventi, ma mai hanno mutato la conclusione della storia, che è sempre stata una fine a cui è seguito nuovo inizio. A volte ho prolungato l’agonia, a volte l’ho abbreviata. Spesso mi sono illusa di essere risuscita nel mio intento per poi scoprire che non era così. Io so solo che amo le mie creature e ad ogni giro della ruota sento di dovere fare tutto il possibile per salvarle, e ogni volta il mio fallimento mi provoca un dolore insopportabile. Io so che ciò che deve accadere accade, ma non posso sapere cosa deve accadere. Per questo continuo a sperare che prima o poi accada qualcosa che cambi il giro della ruota e che mi permetta di vedere salve le mie creature. Tu e tua sorella forse avete il potere di modificare il percorso della ruota, ma non tu da sola, e non tua sorella da sola.”

    Alì volle leggere in quelle parole una speranza. Forse bastava riunire le due sorelle, ricondurle al loro lavoro di ricucitura delle rete. Forti della loro esperienza, più sagge e più sapenti di quando non avessero ancora incontrato l’umanità, forse avrebbero potuto evitare gli errori fatti e spostare la ruota della storia in marcia verso la fine, forse solo un attimo prima del crollo della casa occidentale e dell’avvento del caos.
    Saggezza ascoltò Alì e non potè dire altro che ciò che deve accadere accade.

    Per chi è interessato,

    il libro continua sul sito dell’autore http://www.altomeni.info ,
    quello che avete letto è infatti un racconto che fa da introduzione ad un vero e proprio libro elettronico, con il seguente indice:

    Ballando verso il precipizio
    Le crisi cicliche del capitalismo
    • La crisi nella teoria di Marx
    • cicli di Kondratieff
    • cicli sistemici nell’analisi del sistema-mondo
    Speculazioni e crolli
    • Ottobre 1929
    • Fine millennio
    La fase attuale
    • Crisi ideologica del capitalismo globale
    • La crisi ambientale
    • L’esaurimento delle risorse
    • Il ruolo delle nuove tecnologie
    • Finanziarizzazione dell’economia
    • Signoreggio e sovranità monetaria
    • Interdipendenza
    • Guerre
    La crisi dell’impero americano
    Nascita e declino di un impero
    Declino economico e indebitamento
    Delocalizzazione e declino tecnologico
    Lavoro e consumi
    Il declino sociale
    Il declino della democrazia
    Il declino del dollaro
    Guerra infinita
    La guerra infinita per rilanciare l’economia
    • L’affare delle armi
    • Le spese militari per il 2007
    • L’affare della ricostruzione
    Il controllo del petrolio del Golfo
    La guerra infinita per salvare il dollaro
    La costruzione del nemico
    Attacco nucleare all’Iran
    Guerra suicida
    La Cina è vicina
    La conquista dell’America
    Le sorti del sistema
    Lo scenario italiano
    Fine corsa
    Annunci economici
    • Win Dierckxsens e la fine della modernità
    • Le tinte fosche delle speculatore
    • Debiti italiani
    • L’allarme del Financial Times
    • Bolla speculativa immobliare
    Inflazione o deflazione
    Crollo imminente
    Che fare?
    • Economia non monetaria, locale e reale
    • La nuova economia

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