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    28 gennaio 2008 - Rossella Andreazza (Dott.ssa)
    Fonte: Bollettino Rees Marche

    L'arte di aiutare

    Il desiderio di AIUTARE è una spinta istintiva legata alla sopravvivenza della specie e al senso di APPARTENENZA al GRUPPO.

    Il gruppo - famiglia, comunità - garantisce la vita del singolo,sia durante l'infanzia che oltre,non solo in condizioni di debolezza e di bisogno,ma sempre,perché sostanzialmente nessun essere umano è capace di totale autonomia,sia fisica che psicologica.

    Il gruppo dunque permette la vita del singolo e la continuità della specie:
    l'AIUTO e la collaborazione reciproca sono perciò comportamenti oggettivamente necessari,ma sono soprattutto sentiti interiormente come movimenti spontanei dell'anima.

    Vedere qualcuno che manifesta fragilità e bisogno d'aiuto ispira simpatia,commozione e tenerezza;poter aiutare efficacemente qualcuno è gratificante,proprio perché attraverso l'atto di aiutare viene soddisfatto un bisogno interiore profondo e naturale.

    Consolidare nel gruppo i legami che favoriscono la vita di quelli che vi appartengono ci fa sentire "al sicuro",perché appartenenti ad una RETE in grado di sostenere la vita di tutti. Si tratta di un sentire profondo,spesso non razionalizzato:semplicemente ci sentiamo attratti dalla possibilità di aiutare e dal piacere che questo atto comporta,quando riesce.

    Il bisogno di aiutare e collaborare bilancia l'altro istinto presente nell'essere umano,che chiamiamo "egoismo" e porta a cercare il proprio vantaggio,anche a spese degli altri; questo atteggiamento si condensa nel motto "Mors tua vita mea".

    Si tratta di due polarità che vi propongo di non definire a priori l'una "buona" e l'altra "cattiva":ognuno dei due atteggiamenti se spinto all'estremo porta squilibrio nel singolo e nella comunità,anche se la morale ci porterebbe a considerare l'altruismo come positivo e l'egoismo come qualcosa di negativo.

    In realtà quello che è difficile ma produttivo è mantenere un equilibrio fra i due poli.Infatti anche la mancata percezione dei propri bisogni e la difficoltà ad accettare dagli altri quello che ci necessita sono un limite alla vita e un impedimento a relazioni soddisfacenti.

    Può capitare che anche l'altruismo più evidente nasconda delle trappole perverse,in grado per esempio di impedire che l'aiuto sia efficace e dunque favorevole al benessere dei singoli e del gruppo,e diventi addirittura frustrante e distruttivo.

    Basta osservare quello che accade talvolta nella realtà di gruppi orientati all'aiuto e nelle persone che sentono una forte spinta in questo senso:è possibile che sorgano conflitti,incomprensioni,rivalità,atteggiamenti eccessivamente giudicanti e delusioni profonde insieme alla sensazione di essere "sfruttati". Così come in chi viene aiutato può esserci la percezione di non essere veramente ASCOLTATO nel proprio bisogno.

    Dall'esperienza vissuta in questo campo ho ricavato la convinzione che questo deriva soprattutto da un problema che ora vi mostrerò.

    Si tratta di quelle che potremmo definire relazioni SIMMETRICHE o ASIMMETRICHE.

    E' simmetrico un rapporto di scambio dove il dare e l'avere sono reciproci e che configura una sorta di parità: questo è per esempio il rapporto di COPPIA o quello che chiamiamo "amicizia".

    E' invece asimmetrico il rapporto genitore-figlio dove il primo dà la vita e l'altro la riceve,dove il genitore istintivamente e volentieri OFFRE le sue energie vitali per la crescita e il benessere del figlio e questi cresce bene se PRENDE quello che il genitore gli dà e lo utilizza per mantenere e far evolvere la sua vita.

    Questo rapporto non configura uno scambio,ma un movimento a senso unico.

    Infatti un padre o una madre di norma sono felici quando il figlio vive,cresce,utilizza bene per la propria vita quello che ha ricevuto; così un figlio è felice e si sente al sicuro quando può prendere dai genitori quello che non sarebbe in grado di procurarsi da solo.
    Naturalmente questo vale finché il figlio non è cresciuto,finché non è autosufficiente.
    Ma anche dopo,per quanto un figlio possa aiutare i propri genitori,non è in grado di restituire loro quello che ha ricevuto,semmai lo offrirà ai propri figli.

    Questa ASIMMETRIA garantisce la vita dei singoli e della specie,è perciò biologicamente fondata. Se le cose non funzionano in questo modo,la vita è in pericolo;se invece i genitori danno e i figli prendono, tutti si sentono "a posto" e soddisfatti.

    Nel caso in cui i genitori si sentano o si mostrino più deboli dei propri bambini,o quando i figli piccoli pensano di dover risolvere problemi esistenziali dei propri genitori,allora lì nascono i guai.
    Ma questo è un altro discorso e lo approfondiremo in un'altra occasione.

    Torniamo alla relazione di AIUTO:in questo tipo di rapporto chi offre aiuto è per definizione più "grande",più forte,più capace,dunque "superiore";chi riceve l'aiuto è più "piccolo",debole,bisognoso dunque "inferiore".

    Naturalmente questo tipo di relazione può verificarsi anche fuori del rapporto genitore-figlio,ma bisogna porre molta attenzione a far si che il rapporto di aiuto si avvicini il più possibile ad un rapporto SIMMETRICO, cioè di scambio,dove il dare e l'avere tendono all'equilibrio,altrimenti chi dà ed è già più grande lo diventa sempre di più e chi riceve ed è più piccolo diventa sempre più piccolo,cosa che ,fuori dalla relazione genitore-figlio,difficilmente è favorevole alla vita e dunque tende a non durare nel tempo.

    All'estremo di questa situazione chi aiuta può arrivare ad ignorare le proprie debolezze,i propri limiti ed i propri bisogni,per stare in questa posizione di "genitore",e chi viene aiutato,concentrandosi sui propri bisogni,può negare o quanto meno non sviluppare la propria forza,capacità e possibilità.Col risultato che questo rapporto fra "superiore" e "inferiore" si stabilizza a svantaggio di entrambi.

    Talvolta una persona viene da me e comincia il suo discorso con queste parole:"Io nella vita ho sempre dato tutto,mi sono fatto in quattro,mi sono sacrificato,ma non ho mai avuto niente in cambio,alla fine mi hanno sfruttato e poi mi hanno buttato via…" Quando sento questo tipo di considerazioni,anche da un genitore deluso,da una madre di famiglia che si lamenta,da qualcuno che parla in questo modo di amici e conoscenti,la prima cosa che percepisco forte è la rabbia,l'accusa,l'aspettativa delusa e anche soprattutto l'idea che quella persona col suo altruismo si sente dalla parte della ragione e gli altri,tutti quelli che ne hanno beneficiato vengono messi nel torto.

    Inoltre quello che ha aiutato si sente la vittima e coloro che hanno ricevuto le sue energie e il suo amore sono i carnefici. Così di colpo il rapporto asimmetrico si capovolge:chi era superiore e ha dato diventa quello che ha subito e chi era inferiore,bisognoso,diventa il più forte,colui che ha imposto qualcosa all'altro.

    Oppure può accadere che qualcuno,per esempio in una coppia, abbia ricevuto molto dall'altro, perché era in una condizione di inferiorità, economica o sociale o lavorativa, e che alla fine, pur riconoscendo di aver avuto molto dall'altro,non riesca più ad accettare questa posizione stabile di inferiorità, e sviluppi una sorta di rabbia e rifiuto verso l'altro, che in realtà è il rifiuto della propria posizione di inferiorità e dunque impossibilità di restare nel rapporto di coppia, che è per sua natura simmetrico,cioè fra pari.

    Chi dà sempre, e nel rapporto non si pone mai il problema di ricevere anche qualcosa,oppure si gratifica solo nel dare e della propria posizione di superiorità,chi non si accorge o non valorizza quello che riceve,oppure non chiede in cambio qualcosa che l'altro sarebbe in grado di dare,questa persona massimamente altruista che si chiede soltanto come dare sempre di più, che nega i propri limiti e i propri bisogni, che dà valore a se stesso soltanto quando si trova nella posizione di chi aiuta, ebbene questa persona corre un grosso rischio, che fra l'altro, psicologi, medici e terapeuti vari corrono più che mai:è il rischio dell' "ONNIPOTENZA".

    Non solo nel senso di pensare di essere in grado di risolvere i problemi altrui, ma anche nel senso di avere la sicurezza di essere nel giusto, di essere migliore, di avere ragione, mettendosi così interiormente in una posizione stabile di superiorità rispetto agli altri, dove, essendo l'altruismo il massimo valore, non viene messo in dubbio il fatto che AIUTARE non significa automaticamente essere nel giusto oppure essere migliori.

    In realtà l'AIUTARE è un'arte difficile,è una posizione che deve essere vista sempre come provvisoria,dove la debolezza dell'altro non può mai diventare la base per il mio sentirmi forte o se questo accade, devo essere consapevole che è qualcosa che io RICEVO da un altro, che dunque mi sta dando qualcosa di molto importante per me.

    Tanto più io posso aiutare un altro quanto più guardando la sua debolezza riconosco la MIA DEBOLEZZA, quanto più sono consapevole dei miei limiti e non pretendo di non averne, quanto più posso dire "noi due siamo UGUALI", non nel senso teorico o ideale del termine, ma perché anch'io soffro delle mie debolezze, anche io ho bisogno di aiuto, anche io chiedo qualcosa e sono disposto ad accettare quello che un altro mi dà.

    La realtà è che psicologicamente è più difficile ACCETTARE che dare.
    A tutti piace per esempio dare un'immagine positiva di se stessi, ma non è mai facile accettare di vedere, e che gli altri vedano, quello che noi siamo anche nelle nostre debolezze e difetti.

    Qualcosa che aiuta molto è la CONDIVISIONE,che non riguarda soltanto le cose belle e buone che possiamo condividere con gli altri, ma anche il fatto che condividiamo lo stesso livello umano, che siamo sullo stesso piano e che io posso capire la tua sofferenza solo se sono consapevole e posso accettare nella mia vita la mia sofferenza e la mia impotenza a risolvere ogni cosa; così posso pienamente accettare la tua debolezza solo se accetto la mia, posso GUARDARTI CON TENEREZZA e non con senso di superiorità solo se ho un sentimento di tenerezza e simpatia per me stesso quando non sono all'altezza, quando sono debole, ho bisogno di aiuto, sono triste, confuso, malato, incapace.

    Sviluppare uno sguardo di compassione verso questa parte di me, accettarla, riderci su, condividere questi sentimenti con altri, potermi sentire UGUALE a colui che aiuto, tiene al riparo dall'onnipotenza.

    E' anche necessario non pretendere di risolvere problemi che appartengono alla vita di un altro, ma guardare a questi problemi come un'occasione, per poter sviluppare qualche capacità di comprensione o di comunicazione, RISPETTARE la vita dell'altro senza ritenere di avere soluzioni in tasca, chiedersi cosa si sta ricevendo continuamente mentre si aiuta, e restare in una domanda che risulta buona in tutte quelle occasioni della vita in cui si viene a contatto con la sofferenza, propria o altrui,la domanda è:"Cosa mi sta insegnando?"

    Questa domanda riguarda qualcosa che vedo e di cui magari non comprendo pienamente il senso, riguarda anche la sensazione di impotenza che provo e tutta la gamma di sentimenti e comportamenti che osservo nell'altro e in me stesso.

    Qualsiasi relazione aiuta a conoscersi concretamente e in modo veritiero,senza barare, e il disagio che posso provare o le mie reazioni impreviste possono mostrarmi qualcosa di me, qualcosa che forse ancora non conosco e sicuramente ancora non controllo,forse mi mostrano una parte più fragile, più sofferente, di cui magari ho paura e che tengo a bada sforzandomi di fare le cose giuste.

    Ma spesso negli autentici problemi della vita, bisogna imparare a guardare semplicemente la realtà, prima ancora che cercare di modificarla e qualsiasi sia la situazione in cui si trova un altro essere umano, o posso trovarmi io stesso, la prima cosa che aiuta è guardare questo essere umano (anche me stesso) con SIMPATIA, con TENEREZZA, senza giudicare, senza ritenersi subito più forte della situazione di vita che ho di fronte, perché ogni situazione è sempre complessa e ha sempre le sue ragioni profonde, e se è normale NON provare simpatia e tenerezza per la sofferenza è invece molto UMANO provare simpatia e tenerezza per una persona sofferente:

    è proprio questa la base del rapporto di AIUTO, è nella parola SIM-PATIA che significa sentire insieme,sentire la stessa cosa, sentirsi simili.

    Anche così si tiene a bada il rischio del senso di superiorità, il peso dell'onnipotenza e della responsabilità di trovare a tutti i costi soluzioni che forse vanno bene teoricamente per noi ma non per i diretti interessati.

    In questo modo si diventa coscienti dei propri limiti e di quello che si riceve nel rapporto, ci si mantiene aperti al nuovo, si resta in ballo, in movimento, consapevoli di avere molto da imparare e umili.

    Così soprattutto diventiamo coscienti di noi stessi e di quanto la parte più preziosa di noi non è nelle nostre speciali capacità ma nell'essere in fondo assolutamente UGUALI, limitati, deboli, bisognosi, piccoli; e si impara così ad accettare questa dimensione non tanto fuori di noi, nell'altro che ci fa sentire forti, ma in noi stessi, come essenza della condizione umana.

    Questo credo sia un buon supporto per imparare ad aiutare gli altri e noi stessi: coltivare l'antidoto al sentirsi migliori, superiori, onnipotenti, giusti e magari "vittime" di coloro a cui diamo amore.

    Se non sta dando a noi stessi soprattutto serenità, se non ci unisce a loro intimamente facendoci sentire uguali, quello che diamo agli altri non è AMORE.

    Se il dare agli altri diventa una barriera contro la propria paura di essere in fondo deboli e vulnerabili, allora chiediamo agli altri di confermarci quello che vogliamo essere: forti e capaci.
    Invece l'aiutare gli altri è una delle poche occasioni in cui possiamo sperimentare che anche dal male può nascere concretamente il bene: affetto, legami, nuove capacità, scambio, comunicazione, esperienza per ognuno: chi aiuta e chi viene aiutato.

    Allora potremmo dire:"Si, mi ha insegnato qualcosa".

    Per contatti con l’autrice

    Rossella Andreazza:

    Studio: Recanati, corso Persiani, 45

    E-mail:

    studioacquadiluce@tiscali.it

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