Bioedilizia oggi: nelle Marche e in Italia
Proviamo a dare un po’ di dati sul segmento di mercato bioedile, ormai assunto a linea miliardaria. Tanto per cominciare internet. Se si digita la parola bioedilizia sul motore di ricerca Google, vengono fuori ben 66600 risultati (sembra quasi un numero esoterico).
Ovviamente per i non specialisti il navigare su internet non risolve tutti i problemi, anzi non si riesce ad avere facilmente neanche la risposta alla domanda primordiale. Tralasciando il confusionario mare magnum della rete e consultando i primi “testi sacri” delle pionieristiche associazioni nazionali come A.n.a.b. e I.n.b.a.r. (specializzate in corsi per architetti ed ingegneri) e l’ormai defunta Unibioedilizia (primo tentativo di lobby “buona” di piccoli produttori), si evince subito che gli “archetipi” sono solamente due. Il primo è “la totale esclusione di componenti di sintesi petrolchimica e nocivi in genere”. Il secondo archetipo è “la completa autodichiarazione in etichetta e in scheda tecnica di tutte le sostanze componenti del prodotto finito” (magari in abbinamento alla disponibilità ognitempoluogo a controlli di associazioni di consumatori).
Queste due discriminanti che dieci anni fa erano banalmente ovvie, oggi non esistono più. Il “libero mercato” non poteva mica tollerare una turbativa del genere e quindi è passato ai ripari. La conseguenza è che ormai sono decine le certificazioni di bioedilizia, anche se ancora non si è arrivati al capolavoro dell’agricoltura biologica: un ente ministeriale che certifica i certificatori…
Inutile dire che in questo modo i piccoli produttori (gli unici che fanno veramente ricerca in Italia) sono penalizzati a causa del costo di queste certificazioni: se ad esempio una piccola azienda che produce una trentina di tipi di finiture bioedili dovesse certificare tutti i suoi prodotti ad un costo medio annuo di 5.000 euro cadauno, dovrebbe mettere a budget una spesa annua di 150.000 euro, che magari corrispondono al 10% (!) del fatturato complessivo. E’ evidente che alla lunga una azienda del genere non può sostenersi. Si può dire perciò tranquillamente che le certificazioni bio non sono “sostenibili”. A meno che non si è convinti che la causa dei mali, della stagnazione e della recessione italiota sia il “nanismo” delle aziende del Belpaese. Purtroppo per quegli economisti così tanto convinti, non stiamo parlando di industria “pesante” e, nei settori del “bio”, quella teoria fa acqua da tutte le parti. Il modello infatti è destinato a funzionare con filiere economiche che prevedono produttori cannibalizzatori, trasporti schizofrenici di materie prime e prodotti finiti, consumo di carburanti fossili e inquinamenti vari, grande distribuzione organizzata, precarietà dei lavoratori, informazione delegata alle agenzie pubblicitarie, mode omologanti e consumistiche, usurpazione delle originali regole restrittive ed eco-sostenibili, economia nelle mani di pochi potentati finanziari. Non c’è bisogno comunque di essere no-global. Basterebbe riflettere e pensare a cosa stanno facendo ora gli ex pionieri illuminati dell’agricoltura biologica e della sorella minore bioedilizia, mica tutti si sono fatti bere il cervello e inglobare dal “libero mercato”. Soprattutto nell’Italia Centrale, stanno prendendo forma in vari modi (anche radicali) e organizzati da vari gruppi, dei laboratori economici fondati sul concetto di filiera bioregionalistica. Ad esempio una vera bioedilizia con esclusivo utilizzo di materiali preferibilmente del posto e reperibili facilmente in natura, nel pieno rispetto delle architetture della tradizione locale.
Quindi piccole aziende collegate per piccoli mercati, senza che qualche terzo ci lucri, con tutti che più o meno si conoscono e se uno è un faccia di cavolo viene allontanato (anche se è certificato). Per quanto riguarda le Marche alcune organizzazioni come l’associazione BioArs, l’arcipelago del R.E.S. (rete di economia solidale) ed il nuovo eco-consorzio bioregionalistico Marche-Eque (pubblico-privato) stanno lavorando in questa direzione e oltre a censire le aziende, informare i cittadini e le associazioni di settore, stanno organizzando filiere economiche integrate multisettoriali. I settori allevamento e agricoltura sono, ad esempio, integrabili con quello dell’edilizia. Storicamente come componenti per colle, malte, pitture, vernici si sono sempre utilizzati latte, uova e loro derivati, oli vegetali, cere, amidi, alcol, strutto, pule di cereali, fibre di canapa, piante officinali tintorie. In agricoltura si è sempre usato un materiale edile come la calce per neutralizzare concimi naturali come la pollina. Attualmente da circa tre anni, c’è un’interessante integrazione tra la Cooperlat di Jesi (produttrice di latte, panna, yogurt) e la Spring Color di Castelfidardo. Quest’ultima azienda è diventata impianto tecnico regionale di smaltimento di eccedenze non più alimentari e riutilizza il latte scaduto che la Cooperlat recupera dai supermercati, come componente di colle, malte e vernici. Solo negli ultimi tre anni almeno 50.000 cantieri hanno utilizzato queste finiture “al latte scaduto”, che rispettano la salute degli operatori edili, l’ambiente e le architetture (conferendo traspirabilità ai muri senza spellare con il tempo e garantendo la piena reversibilità, caratteristica essenziale per il settore del restauro). Certamente questa esperienza sarebbe da riproporre a livello più generale. Qualche dato: 500 milioni di litri di latte in eccedenza annua dalle quote comunitarie; circa 200 milioni di euro di multa per gli allevatori; volumi imprecisati di latte scaduto e recuperato irregolarmente con sostanze tossiche per ricicli vari anche alimentari; enormi problemi di smaltimento per le centrali del latte; 600 aziende produttrici di colle, malte e pitture di cui solo una decina utilizzanti la caseina (in polvere e importata).
E’ evidente che ricerca e sviluppo, nonché gli esempi eco-sostenibili vengono solo dal basso e non da chi non ha nessun interesse a modificare gli equilibri di potere economico-finanziari (grosse aziende e classe politica). Per completare il discorso indichiamo alcuni dati che ci sembrano piuttosto oggettivi. Nelle Marche (i dati provengono da una ricerca di Aprile 2003 dell’associazione BioArs e tengono in considerazione il censimento in arrivo delle realtà dell’economia solidale marchigiana) abbiamo:
- circa n. 30 imprese e applicatori di malte, pitture e vernici bio [An 10; Ap 5; Mc 10; Pu 5];
- circa n. 20 produttori di strutture, mobili e impianti in bioedilizia [An5; Ap 5; Mc 5; Pu 5];
- circa n. 20 produttori di cotto, calce e di finiture in bioedilizia [An 5; Ap 5; Mc 5; Pu 5];
- circa n. 30 restauratori e artigianato artistico bio [An 15; Ap 5; Mc 5; Pu 5];
- circa n. 30 architetti, ingegneri e geometri progettisti in bio [An 10; Ap 5; Mc 10; Pu 5].
A livello nazionale, prendendo un’indagine Federabitazione - Confcooperative insieme all’Associazione dei comuni (Anci), Legambiente e l’Istituto nazionale di bioarchitettura (Inbar) del 2004, sono 135 (su un campione di quasi 250) gli enti locali a prevedere agevolazioni o sconti per una casa “bio” (v. tabella con il dettaglio delle agevolazioni, per ciascun Comune). Sconto degli oneri di urbanizzazione; possibilità di realizzare una volumetria maggiore rispetto ai limiti dei regolamenti edilizi; “riserva” esclusiva sulle aree; sconto Ici. È questo il ventaglio delle principali opportunità di risparmio che gli enti locali offrono a promotori immobiliari ed acquirenti - proprietari per rendere più attrattiva l’alternativa ecologica. A Milano, da due anni è in funzione nel quartiere Bovisa un condominio bioedile il cui grado di “ecologicità” è stato studiato e verificato dal Politecnico. La provincia di Bolzano ha elaborato un marchio di qualità (“CasaClima”) per gli immobili che utilizzano al meglio l’energia e sta addirittura sperimentando le celle ad idrogeno in alternativa al metano. Tra gli esempi citati dall’indagine c’è Faenza, che premia con un aumento degli indici di edificabilità i progetti in linea con i principi della bioarchitettura (orientamento dell’immobile, risparmio energetico, utilizzo di materiali naturali). La forma di incentivo preferita dai Comuni consiste nello sconto sugli oneri di urbanizzazione (attuata dal 28% degli enti locali). Un Comune su cinque (il 21%) incentiva invece la bioedilizia concedendo la possibilità di aumentare le cubature degli edifici. Il 16% degli enti locali vincola l’edificabilità di alcune aree all’edilizia sostenibile. E, per finire, il 12% concede uno sconto sull’Ici e un altro 12% mette a disposizione finanziamenti attraverso bandi ad hoc. Anche tra i Comuni che stanno valutando quali forme d’incentivo attuare, lo sconto sugli oneri di urbanizzazione rimane la tipologia favorita, segnalata dal 44% delle amministrazioni, seguito dallo sconto sull’Ici (35%), da obblighi specifici nelle convenzioni per le aree (34%), dall’incentivo volumetrico (32%), dai bandi (29%) e altre forme (5 per cento). Si tratta di iniziative importanti, come osservano i dirigenti di Federabitazione, tanto più perché riguardano iniziative particolari di ciascun Comune; ma il vero salto di qualità arriverebbe con una forma di incentivo a livello nazionale, magari legato alle agevolazioni fiscali del 41% sulle ristrutturazioni. Del resto, il sostanziale fallimento della legge 10/1991 (“Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, ndr) conferma che l’obbligo di legge è molto meno efficace dell’incentivo”.
Comune |
Comune |
Comune |
Comune |
Comune |
SCONTO SULL’ICI |
Bedonia |
AUMENTO DI VOLUMETRIE |
PRIORITA’ NELLA CONCESSIONE DI AREE |
Cavalese |
Abbiategrasso |
Massa Lombarda |
Pesaro | ||
Scalea |
Ferrara |
Udine | ||
Cusano Milanino |
Spezzano della Sila |
Cassano d’Adda |
Vimercate |
Teramo |
Cesate |
Vigarano Mainarda |
Abbiategrasso |
Abbiategrasso |
Cremona |
Bedonia |
Bagnacavallo |
Montignoso |
Faenza |
AGEVOLAZIONI CON BANDI |
Bollate |
Argenta |
Schio |
Cesate |
|
Spezzano della Sila |
Conselice |
Faenza |
Praia a Mare |
Abbiategrasso |
Oristano |
Felino |
Bologna |
Martellago |
Bologna |
Vigarano Mainarda |
Portamaggiore |
Brisighella |
Moena |
Nonantola |
Pontremoli |
Marchirolo |
Nonantola |
Montalcino |
Castenaso |
Monopoli |
Sondrio |
Calenzano |
Ozzano dell’Emilia |
Castiglione del Lago |
Albenga |
Cavalese |
Roma |
Pesaro |
Spezzano della Sila |
Montalcino |
Ozzano dell’Emilia |
Castiglione del Lago |
Teramo |
Nichelino |
Stagno Lombardo |
Rignano sull’Arno |
Cesate |
|
Casalecchio di Reno |
Gessate |
Gessate |
Solbiate Olona |
CONCESSIONE DI OBBLIGHI NELLE CONVENZIONI |
Schio |
Cosenza |
Bolzano |
Nichelino |
|
|
SCONTO SUGLI ONERI DI URBANIZZAZIONE |
Grosseto |
Casalecchio di Reno |
Bolzano |
|
Cremona |
Rovereto |
Vimercate |
Cesate |
|
Cassano d’Adda |
Torino |
Marchirolo |
Abbiategrasso |
Taino |
Abbiategrasso |
Ro |
Cavalese |
Carugate |
Praia a Mare |
igonovo |
Forlì |
Casola in Lunigiana |
Stra |
Pesaro |
Faenza |
Imola |
Ozzano dell’Emilia |
Faenza |
Cremona |
Bologna |
Solarolo |
Gessate |
Bologna |
Imola |
Brisighella |
Orvieto |
Pesaro |
Nonantola |
ALTRO |
Nonantola |
Formigine |
Teramo |
Castenaso |
Cassano d’Adda |
Cadenzano |
Castelvetro Piacentino |
Cosenza |
Cesate |
Bobbio Pellice |
Castiglione del Lago |
Ravenna |
Ro |
Brescia |
Nonantola |
Cesate |
|
Solarolo |
Verbania |
San Giovanni d’Asso |
|
|
Verbania |
Praia a Mare |
Taino |
|
|
Orvieto |
Nichelino |
Conselice |
|
|
|
Casalecchio di Reno |
Sondrio |
|
|
|
Carate Brianza |
Napoli |
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|
|
Montalcino |
Piozzano |
Fonte: indagine 2004 Federabitazione, Anci (Associazione nazionale Comuni), Legambiente, Inbar (Istituto nazionale di Urbanistica)
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