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    Contratto mondiale: Non rubateci l'acqua, molti comuni resistono

    Intervista di Vittorio Bonanni a Roberto Fumagalli esponente di spicco della sezione italiana del Contratto. Il "Contratto mondiale per l'acqua" è un'organizzazione internazionale che si batte contro la privatizzazione di uno dei beni essenziali per la sopravvivenza di uomini, donne e di tutti gli esseri viventi.
    31 marzo 2009 - Vittorio Bonanni
    Fonte: da Liberazione - 17 marzo 2009

    Il "Contratto mondiale per l'acqua" è un'organizzazione internazionale che si batte contro la privatizzazione di uno dei beni essenziali per la sopravvivenza di uomini, donne e di tutti gli esseri viventi. Roberto Fumagalli  classe 1964, è un esponente di spicco della sezione italiana del Contratto. Ha partecipato lo scorso fine settimana al seminario organizzato dal Prc sull'ambiente tenuto a Riccione. Lo abbiamo intervistato per capire che sta succedendo in Italia su questa tematica. «In questi ultimi due anni - dice Fumagalli - si è passati da un impegno da parte del movimento, esteso anche ai partiti e alle varie forme rappresentative della società civile, verso la ripubblicizzazione ad una lotta, oggi, contro la privatizzazione».

    Un arretramento dunque. Che cosa è successo nel frattempo?Partirei da due scenari diversi. Il primo lo farei durare fino all'autunno 2007, in pieno governo Prodi. Che cosa si era riusciti ad ottenere fino ad allora? Nonostante il disegno di legge Lanzillotta, che definiva la liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, si era riusciti almeno a portar fuori l'acqua da questa ondata di privatizzazioni. Nel frattempo, in maniera molto forte, estesa e trasversale su tutto il territorio italiano, nel 2007 si era riusciti a raccogliere le quattrocentomila firme a sostegno della legge di iniziativa popolare, che era arrivata, dopo la consegna nelle mani del Presidente della Camera, all'inizio della discussione in Commissione ambiente. Poi, come sappiamo, il percorso si è interrotto. Non erano tuttavia tutte rose e fiori, perché nel frattempo si stavano notando quelli che erano gli effetti delle privatizzazioni in Toscana e Lazio, con esempi quali Arezzo e Aprilia, dove le tariffe aumentarono di quattro volte tanto, tre euro e mezzo al metro cubo contro nemmeno un euro dove l'acqua non era stata privatizzata. Nell'ultimo periodo, siamo sempre nel 2007, Veltroni, nella sua funzione di sindaco ma anche di azionista di maggioranza di Acea, stipulava un accordo con i sindaci delle principali città della Toscana per costituire un unico Ato (Ambiti Territoriali Ottimali, un'aggregazione di comuni con il compito di governare il servizio idrico, ndr) in questa regione da consegnare direttamente nelle mani della più grande lobby della privatizzazione dei servizi idrici in Italia che è appunto l'Acea. E questo nonostante nello stesso periodo l'antitrust comminasse quella multa milionaria ad Acea e a Suez, la più grande multinazionale nel mondo di gestione dei servizi idrici, avendo loro costituito un cartello che aveva il compito di "inquinare" - più o meno l'antitrust usava questi termini - tutti gli affidamenti dei servizi idrici, partendo dalla Toscana e, in maniera estesa, in tutta Italia.

    In che misura, questo quadro, già preoccupante, è mutato con l'arrivo della destra al governo?
    Si è partiti, subito dopo l'insediamento di questo esecutivo, con una prima azione, forse passata un po' sotto tono, ovvero un'inchiesta da parte di una non meglio conosciuta "autorità per i contratti e i servizi pubblici", che metteva in discussione i 64 affidamenti in house , cioè diretti a società totalmente pubbliche, da parte di altrettanti Ato italiani. Diciamo che era la prima forma di messa in discussione del percorso pubblico. Sappiamo anche che la formula "Spa in house" non è il massimo. Il movimento chiede altro, chiede l'ente di diritto pubblico, quindi le aziende speciali o i consorzi come forma migliore per la gestione del servizio idrico. E' chiaro invece che la Spa risponde a criteri privatistici, ed è dunque un po' un ibrido tra il diritto privato e quello pubblico.

    È stata la prima forma di aggressione da parte di questo governo alle gestioni pubbliche. Per quale ragione hanno messo in atto questa politica?
    Si è visto qualche mese dopo. Quando il Parlamento, questa volta in maniera unanime, ha votato il famigerato articolo 23 bis della legge 133. Per la quale i servizi pubblici locali, e dunque non solo l'acqua ma anche i trasporti, l'energia, il gas e quant'altro, sono beni di rilevanza economica. Per la prima volta in Italia in una legge, il titolo dell'articolo 23 bis è proprio questo, si parla di servizi pubblici locali appunto di rilevanza economica. E' di questi giorni la bozza di regolamento applicativo dell'articolo 23 bis che attesta ancora una volta quanto aveva già votato il Parlamento in maniera unanime nell'agosto 2008, e cioè che la forma normale di gestione del servizio idrico deve avvenire tramite la gara. E quindi con la privatizzazione. Con in più un'altra cosa: rientrano dalla finestra, dopo esserne uscite dalla porta, società miste quotate in borsa. Evidentemente la lobby di Federutility, che riunisce le principali aziende ormai pubbliche quotate in borsa, come Acea, è riuscita a far inserire in quella che oggi è solo una bozza in discussione di regolamento applicativo dell'articolo 23 bis, il fatto che loro otterranno un salvacondotto per poter continuare le gestioni e quindi non andranno a gara. A gara, paradossalmente, ci dovranno andare solo le gestioni totalmente pubbliche. Un vero paradosso, appunto anche perché la normativa comunitaria ti dà due opportunità di scelta: o il mercato, quindi la totale liberalizzazione secondo i princìpi della concorrenza e dunque la gara europea; oppure il mantenimento della gestione pubblica, e questo non è mercato, e si può fare tramite l'affidamento ad enti di diritto pubblico o società in house . Non rientrano in queste definizioni le società miste e in Italia, con il regolamento che si sta discutendo adesso, e che si spera non verrà approvato, si fanno rientrare - ripeto dalla finestra - quelle società miste create in borsa, dandogli un apposito salvacondotto. Questo perché sono le lobby a decidere anche le normative. Il tutto è costruito ad uso e consumo di chi, già oggi, gestisce in maniera privatistica e se vogliamo utilitaristica rispetto al loro interesse economico i servizi pubblici.

    Sono tutti negativi gli scenari in Italia a riguardo?
    C'è, malgrado tutto, qualche segnale positivo. Tra questi l'inizio della discussione parlamentare, sempre in Commissione ambiente, della legge di iniziativa popolare. A fatica, perché a fatica si è trovato un relatore e chi ha voglia di portare avanti questa battaglia. Poi il nuovo assessore napoletano che ha fatto delle aperture ad una gestione pubblica del servizio; il ricorso di tre regioni, Liguria, Piemonte ed Emilia Romagna, contro l'articolo 23 bis; la lotta dei sindaci siciliani contro le gare e in Lombardia la battaglia vittoriosa di 144 comuni che, tramite un'azione di richiesta di referendum, sono riusciti, il 27 gennaio, a far cancellare quelle parti della legge regionale che anticipavano a livello lombardo lo stesso articolo 23 bis, cioè la totale liberalizzazione e l'obbligo di gara. Una sfida dunque per i movimenti e per quegli enti locali più vicini ai cittadini e più attenti alla gestione vera del servizio pubblico locale.



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