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    Beni comuni

    6 agosto 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Inquinamento del suolo

    L’inquinamento del suolo è spesso meno considerato rispetto all’inquinamento dell’aria o dell’acqua, perché ha effetti meno immediati sull’uomo, eppure produce conseguenze altrettanto gravi per la salute attraverso il consumo di prodotti agricoli coltivati su terreni inquinati o tramite l’utilizzo dell’acqua che ha ricevuto in falda l’inquinamento.
    L’industria può inquinare il suolo direttamente, immettendo nell’ambiente residui solidi più o meno tossici, oppure, indirettamente, attraverso l’inquinamento dell’acqua e dell’aria che poi tornano nel terreno. Tra le sostanze inquinanti derivanti da produzioni industriali ci sono i metalli pesanti, gli acidi, e i solventi.

    Inquinamento agricolo

    L’agricoltura moderna, basata sull’utilizzo di sostanze chimiche, è causa di un forte inquinamento del suolo e, di conseguenza, dell’acqua. Principali responsabili sono pesticidi e fertilizzanti.
    I pesticidi sono sostanze chimiche create, a partire dagli anni ’40, per sterminare insetti, funghi e malerbe che possono danneggiare o ridurre la quantità dei raccolti agricoli. Si calcola che ogni anno vengano immesse nella biosfera 250.000.000 di tonnellate di prodotti organici di sintesi, tra cui 2.000.000 di tonnellate di pesticidi. Una serie di studi condotti da agenzie olandesi affermano che almeno il 65% delle terre agricole europee supera abbondantemente il limite di contaminazione stabilito dall’Unione, con gravi ripercussioni sulle acque che scorrono sopra e sotto il suolo. L'Italia è uno dei paesi in cui l'uso di pesticidi è più massiccio: 175.000 tonnellate, cioè circa 3 kg a testa. Il giro d'affari relativo ai fitofarmaci ammonta a oltre 15 miliardi di euro. Secondo alcuni studi solo una piccola parte di queste sostanze (circa lo 0,1%) raggiunge il bersaglio, il resto produce effetti dannosi sia per l'ambiente che per le persone (intossicazione dei lavoratori del settore, morte di uccelli e insetti predatori dei parassiti, inquinamento idrico, residui tossici nei prodotti alimentari con conseguenze sulla salute dei consumatori).
    Il Consiglio Nazionale delle Ricerche degli Stati Uniti afferma di conoscere con esattezza la tossicità di solo il 10% degli oltre 1500 principi attivi utilizzati in agricoltura in tutto il mondo; di un altro 24% si è in grado di fare una valutazione parziale; del restante 66% si sa ancora molto poco. Ogni giorno, attraverso il cibo, ingeriamo sostanze che potrebbero essere pericolose per il nostro organismo. Una ricerca di Legambiente (pubblicata nel marzo 2002) denunciava che il 50% della frutta analizzata dalle Agenzie Ambientali e dalle Asl presentava residui di pesticidi. Su 3502 campioni ben 1748 contenevano uno o più principi attivi. Un po’ meglio gli ortaggi: con 662 campioni contaminati su 3239 esaminati (il 20% del totale).
    L’uso indiscriminato dei pesticidi in agricoltura accresce le "resistenze". In altre parole le piante infestanti col tempo si adattano ai veleni fino a diventare immuni. Ne consegue che per combatterli occorre aumentare le dosi e la tossicità delle sostanze. Si è calcolato che le piante resistenti ai pesticidi sono passate da 10 nel 1938 a 402 nel 1980 a 650 nel 1991. Dagli anni '40 la tossicità dei pesticidi utilizzati è aumentata di 10 volte. Lo stesso discorso vale per gli insetticidi. Dal 1940 l’uso è aumentato di circa dieci volte, ma nello stesso periodo le perdite di raccolti dovute agli insetti è passata dal 7 al 13%.
    Nel sud del mondo, il costo di queste sostanze dovrebbe essere un disincentivo al loro impiego massiccio. Purtroppo non è così perché questi paesi sono diventati i mercati di sbocco di veleni micidiali, ma economici, da anni banditi dall’occidente, come il D.D.T..

    Rivoluzione verde e multinazionali
    Negli anni '60, la “rivoluzione verde” voluta dalla FAO e dagli USA favorì l'agricoltura intensiva, con un massiccio ricorso alla chimica, la meccanizzazione e l'introduzione di sementi ibride.
    La promessa era la sconfitta della fame nel mondo. Ben lungi dal mantenerla, la “rivoluzione verde” ha accresciuto la dipendenza economica del sud del mondo rispetto al nord e gli squilibri internazionali. Ciò si è realizzato anche attraverso la concentrazione del mercato globale della produzione alimentare nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di multinazionali che, in nome del profitto, non si fanno scrupoli nello sfruttamento dei lavoratori e nell’uso di prodotti dannosi per la salute e l’ambiente.
    Sul piano ambientale le conseguenze si sono rivelate nefaste e lampanti: dall’impoverimento dei suoli alla perdita di biodiversità, dall’inquinamento idrico alla diffusione di numerose patologie legate all’alimentazione.

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