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    Tre condizioni per essere felici

    Scritto da Alberto Simone - http://www.facebook.com/pages/alberto-simone
    "Un giorno, durante uno dei miei viaggi in Africa, la mia jeep attraversava lunghi tratti di strada assolati, lussureggianti e deserti.
    29 gennaio 2010 - Redazione Rees Marche
    Fonte: Tratto da: http://www.stampalibera.com - 15 gennaio 2010

    Scritto da Alberto Simone - http://www.facebook.com/pages/alberto-simone

    "Un giorno, durante uno dei miei viaggi in Africa, la mia jeep attraversava lunghi tratti di strada assolati, lussureggianti e deserti. Poi, d'improvviso appariva qualche agglomerato di capanne di paglia, fango, lamiere. E subito gruppi di bambini, seminudi, sporchi, di ogni eta', richiamati dal passaggio dell'auto, ci correvano incontro salutandoci con esplosioni di risate e allegria. Ogni tanto, ordinati nelle loro divise scolastiche, incrociavamo gruppi di giovani studenti di ritorno da scuole lontane, forse chilometri. E anche questi si aprivano in sorrisi accoglienti, scherzando tra loro ed esprimendo una felicita' palpabile. Ad ogni passaggio, questi incontri mi lasciavano pieno di stupore e di domande. Come poteva albergare quella felicita', quell'entusiasmo, quella gioia incontenibile in quei luoghi cosi poveri, degradati e, ai nostri occhi. cosi spaventosi e deprimenti. I pensieri volavano via, evocando le nostre case confortevoli, perfino tra quelli di noi meno abbienti, in cui nessuno piu' si chiede perche' c'e' luce premendo un interruttore, c'e' acqua pulita aprendo un rubinetto, c'e' cibo nel frigo e sulle tavole, calore d'inverno e fresco d'estate. Perche' ci sono vestiti, automobili, telefoni, televisori, decoder, computer, lavatrici, frigoriferi, e lavastoviglie.

    Niente ci sorprende piu' davanti a questi autentici miracoli per avere i quali non abbiamo poi fatto molto. Pensavo alle facce della gente per strada, bambini compresi, a Roma, come a New York, a Parigi o a Londra. Facce chiuse, tese, preoccupate, incazzate, tristi, depresse o allucinate. Che razza di dicotomia era questa? Se non hai niente riesci ad essere felice, se hai tutto, molto di piu' di quello che ti serve, sei insoddisfatto, depresso, infelice, incapace di guardarti intorno e provare un filo di meraviglia e gratitudine? Dopo essere tornato a casa, ho ripensato spesso a quei bambini africani. E ho continuato a interrogarmi sulla loro felicita'. E finalmente ho capito che loro, a dispetto di quella oggettiva poverta' e totale precarieta', sono "naturalmente" felici perche' il segreto della loro felicita', sta in tre condizioni che rispondono ad altrettanti bisogni naturali, e che noi nella nostra folle corsa alla sicurezza, al benessere, al possesso, al successo e al potere, abbiamo momentaneamente, ma non irreparabilmente, perduto: 1) il senso di appartenenza, 2) la volonta' di condivisione, 3) la capacita' di contribuire. La felicita' di quei bambini e' addirittura inevitabile. Senso di appartenenza: si sentono pienamente parte della loro comunita', del loro villaggio, della loro tribu', della loro nazione. Celebrano gli stessi riti, onorano le stesse tradizioni, credenze e spiritualita'. E questo da loro la sicurezza di cui hanno bisogno per crescere e strutturare la loro identita' di persone. Possiamo dire lo stesso? La volonta' di condivisione: quei bambini condividono con gli altri la stessa condizione esistenziale, e anche quel poco che hanno e' di tutti, il cibo, l'acqua, il fuoco, il raccolto. Tutto viene condiviso, anche le emozioni, i sentimenti, le speranze e le paure, riguardano tutti. E nessuno si appropria di niente, privandone gli altri. Facciamo cosi anche noi? Capacita' di contribuire: per loro e' naturale servire la propria comunita' di appartenenza e fare a turno cio' che serve, aiutare la propria famiglia e il proprio villaggio, andando a prendere acqua e legna da ardere anche lontano chilometri, aiutando gli anziani o i malati anche solo facendo loro compagnia, offrendo il proprio tempo e le proprie capacita' agli altri quando serve, senza nemmeno doversi chiedere se si ha voglia di farlo o no. La pensiamo e ci comportiamo nello stesso modo? Da piu' di trent'anni studio gli esseri umani e posso dire di avere conseguito molte esperienze e specializzazioni. Ma sono rimasto sorpreso e colpito io per primo dalla semplicita' e dalla verita' di questa naturale e antica "ricetta della felicita'". Queste tre condizioni sono necessarie ad ogni essere umano. Siamo stati creati e progettati con questi bisogni, che rispondono intelligentemente anche alle nostre leggi di sopravvivenza e di conservazione della nostra specie. Quando anche una sola di queste condizioni viene meno nella nostra vita cominciamo a vivere contrastando la nostra vera natura. E ci ammaliamo. Prima di infelicita' e poi di un infinito elenco di sintomi e malattie fisiche e psicologiche. E per non stare male, non sentirci soli, non avere paura o terrore, mettiamo in atto antidoti sempre piu' inutili e perversi, farmaci, droghe, potere sugli altri, culto del'Ego, avidita' e possesso. Dunque, se vogliamo guarire e provarci davvero ad esser felici, non domani, non all'altro mondo, ma qui ed ora, non accontentiamoci dei medici, degli ospedali, dei preti e degli psicologi. Proviamo a fare cosi: Passo 1): cominciamo ad analizzare la nostra vita alla luce di queste tre condizioni "Appartenenza", "Condivisione", " Servizio" e diciamoci spassionatamente cosa manca. Siamo ancora in tempo per imparare di nuovo quello che gia' sapevamo e che abbiamo dimenticato. E scoprire, sperimentando un po' alla volta l'effetto che fa, quanto la nostra vita e le nostre comunita' possono essere infinitamente migliori.

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