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    Beni comuni

    Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    La riscossa del cittadino solidale


    Conoscere e scegliere bene l'impatto sociale ed ambientale dei nostri acquisti e consumi, ridurne attentamente la nocività ed aumentarne invece l'equità e la compatibilità ecologica, organizzare e usare circuiti capaci di promuovere e di diffondere scelte accettabili, contribuire a finanziare - sia con le scelte di acquisto, sia con l'investimento dei propri risparmi - strutture solidali ed attente anche agli equilibri naturali, denunciare e boicottare commerci e prodotti iniqui e nocivi (e sono la vasta maggioranza), approfondire e diffondere l'informazione e la consapevolezza di fatti e circostanze: ecco un piccolo programma di sostegno ad una "lotta di liberazione" che la gente nel Sud del mondo conduce anche per noi.

    (Alexander Langer)

    Indifferenza, disperazione e pietà

    A questo punto della lettura ci si potrebbe far prendere dallo sconforto. A partire dai cinque elementi naturali abbiamo passato in rassegna una buona parte dei problemi che opprimono il pianeta Terra e gli esseri che lo popolano.
    Alcune sono informazioni che molti conoscevano già, perché anche i mezzi di informazione di massa riservano piccoli spazi a questa realtà, ma il più delle volte lo fanno con modalità e atteggiamenti che, anziché favorire l’inversione di tendenza, contribuiscono al perdurare dei problemi. Questi vengono quasi sempre affondati in un ottica di emergenza, o perché siamo di fronte ad un’emergenza vera (catastrofe naturale, disastro ecologico, epidemia, carestia…) o perché l’emergenza viene creata ad arte dagli stessi mezzi di informazione, a vantaggio di qualche interesse (politico o economico) o semplicemente per “vendere” meglio la notizia.
    Parlare di problemi con l’enfasi dell’emergenza fa sì che non li si affrontati mai nella loro complessità, che non si vadano ad indagare le connessioni ed i legami di vario tipo, che non si arrivi mai a capirne le cause più profonde. In emergenza ci sono due scelte possibili: disperare o impietosirsi. Di norma sono queste le reazioni che i mezzi di informazione provocano in lettori e spettatori quando decidono di trattare questioni sociali o ambientali. Di fronte alla sofferenza, alcuni, forse assuefatti, restano indifferenti; altri si sentono del tutto impotenti e cadono vittime della frustrazione, sempre più convinti che non si possa fare nulla; altri ancora corrono all’ufficio postale a versare qualche spicciolo sui conti correnti di associazioni e organismi che si fanno carico di intervenire nell’emergenza.
    Indifferenza, disperazione e pietismo superficiale producono lo stesso risultato: le radici del problema restano solide e prosperose. Mentre l’indifferenza è indice di immaturità e povertà di spirito, la disperazione e il pietismo sono moti di coscienza, atteggiamenti assunti da chi è capace di sentire almeno un po’ il dolore altrui, ma da questo dolore cerca una via di fuga, adottando meccanismi difensivi che permettono di affrontare il disagio giusto per la durata dell’allarme. Di solito le emergenze create dall’informazione hanno vita breve, perché nell’era consumistica anche le notizie si consumano velocemente e, se ci si sofferma troppo, si rischia di annoiare il lettore/spettatore e perderlo. Passata la notizia sembra che anche il problema non ci sia più: l’indifferente, il disperato e il pietista tornano alla loro quotidianità.
    Indifferenza, disperazione, rassegnazione e pietà superficiale sono ottime alleate dello status quo, perché evitando una lettura profonda della realtà, permettono che tutto resti immutabile, o al massimo, tutto cambi per non cambiare nulla.

    Una nuova cittadinanza

    Nella cultura occidentale, ognuno di noi ha diversi ruoli. Abbiamo appena detto che rispetto al mondo dell’informazione siamo lettori e spettatori. Nel mercato siamo consumatori e lavoratori. Di fronte alla politica siamo elettori e contribuenti. Per le istituzioni siamo utenti o pazienti. La caratteristica che accomuna tutti questi ruoli è la passività, e forse la passività è proprio l’elemento che contraddistingue l’attuale società occidentale, una società che, a causa di tecnologie e istituzioni ipertrofiche, ha espropriato l’essere umano delle sue capacità naturali, rendendolo sempre più dipendente da fattori esterni al suo essere e alle sue strette relazioni.
    Politica, mercato, istituzioni, mondo della cultura poggiano le loro basi sulla passività delle persone, inquadrate come ingranaggi con un ruolo preciso da interpretare, nell’ambito di schemi ben delimitati. Un manipolo di “vincenti” riesce ad emergere, a ricoprire ruoli di potere in queste quattro sfere, ma si tratta di persone che rispettano alla lettera le regole, cosicché il loro emergere non fa che confermare il sistema che prevede una stretta minoranza di potenti ed una enorme massa di individui passivi. Buona parte di questa massa pensa che la società sia immutabile, quindi non aspira a cambiarla, ma solo a migliorare la propria condizione personale, il che purtroppo avviene in una logica di competizione e non di cooperazione, raggiungendo, nella migliore delle ipotesi, un miglioramento fittizio, come abbiamo visto parlando di felicità e benessere.
    Dopo decenni di illusioni, sempre più persone cominciano ad avvertire un disagio profondo rispetto alla società e prendono coscienza di vivere in maniera troppo passiva rispetto alle potenzialità umane. Queste persone, di fronte al dolore proprio e altrui e rispetto alla devastazione del pianeta, sfuggono sia all’indifferenza, che alla rassegnazione che alla pietà superficiale e si sforzano di recuperare un ruolo attivo. Rifiutare di farsi etichettare come consumatori, utenti, elettori e così via è il primo passo per diventare cittadini.
    Il cittadino è colui che sente di far parte della comunità e del territorio in cui vive, ma allo stesso tempo non limita l’idea di comunità e territorio a confini ristretti, perché sa che la comunità dei suoi affetti e il territorio in cui risiede sono strettamente legati alle sorti della comunità umana e del territorio globale. Sentirsi parte di una comunità e di un territorio significa partecipare alla sua storia, assumersene la responsabilità, farsene carico, ossia, essere attivi. Il cittadino non delega, non si limita a brontolare perché altri non fanno ciò che ritiene giusto, ma si unisce ad altri cittadini per dare forma ai sogni comuni. Piuttosto che chiedersi che cosa dovrebbero fare politici, istituzioni e imprese, il cittadino pensa cosa può fare lui in prima persona, sapendo che ogni suo gesto produce delle conseguenze e che tanti singoli gesti possono modificare la realtà.
    La seconda parte di questo libro è dedicata ai cittadini, più precisamente, ai cittadini solidali, ossia alle persone che vogliono fare la loro parte per porre rimedio alla situazione descritta nella prima parte perché è da loro stessi che partirà un cambiamento più grande.

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