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    Beni comuni

    4 ottobre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Comportamenti Solidali

    Cittadinanza nella polis

    Secoli di corruzione, scandali e abusi di potere hanno contribuito ad allontanare i cittadini dalla politica. La globalizzazione ha fatto il resto allontanando la politica dai cittadini, ossia trasferendo il potere decisionale all’interno di istituzioni completamente svincolata dai luoghi e dalle persone che subiscono le loro decisioni. Politica significa prendersi cura del luogo in cui si vive, e non occorre diventare sindaci o parlamentari per farlo, basta essere cittadini, esercitare quella sovranità che il termine democrazia riconosce ad ognuno.
    Le persone che si dedicano alla politica ufficiale e che vanno a ricoprire incarichi pubblici rappresentano uno spaccato della società che li elegge. Non sono particolarmente colte o dotate e nemmeno più disoneste della media. Chiunque può decidere, un giorno, di fare politica attivamente, candidandosi ad entrare nelle istituzioni, o anche semplicemente seguendo le vicende e impegnandosi per migliorare le cose che non vanno.
    Una parola molto usata in politica è “partecipazione”. Tanti politici se ne riempiono la bocca, ma sono molti meno quelli che la attuano o che la rendono possibile. La partecipazione in politica richiede un doppio impegno: da un lato i cittadini devono avere voglia di partecipare, ma dall’altra devono essere le istituzioni che favoriscono questo processo e lo utilizzano al meglio. Entrambe queste condizioni sono spesso assenti dalla politica locale, perché i cittadini sono disillusi e perché i politici preferiscono fare di testa propria o, al limite, creare consenso attorno a decisioni già prese piuttosto che partecipazione rispetto a decisioni da prendere. Se è vero che per creare un processo di democrazia partecipativa serve la volontà sia dei cittadini che delle istituzioni, è altrettanto vero che nessuna delle due parti in causa può limitarsi ad accusare l’altra di non voler stare al gioco, e attendere. Un politico che crede nella partecipazione può in ogni momento avviare un percorso di democrazia partecipativa. Forse all’inizio saranno in pochi i cittadini a collaborare, ma con costanza, onestà, coerenza e i giusti strumenti, la dinamica prenderà vita. Allo stesso modo, un gruppo di cittadini stanchi di essere spettatori passivi può rivendicare maggiore partecipazione e cominciare a costruirla dal basso: sa saranno capaci di coinvolgere altri cittadini i politici non potranno che adeguarsi.
    Dal punto di vista della solidarietà, del rispetto dell’ambiente e della qualità della vita in genere, esistono nel nostro paese e nel mondo innumerevoli buone pratiche che però sono spesso poco conosciute e quindi poco replicate. Conoscere le esperienze positive fatte da altri, può indurre un amministratore sensibile o un gruppo di cittadini attivi a riproporre nel proprio comune le stesse iniziative. In queste pagine possiamo solo fare una sommaria rassegna e fornire alcune indicazioni per l’approfondimento, ma sul nostro sito internet intendiamo aprire una sezione dedicata proprio alla promozione delle buone pratiche anche grazie alle segnalazioni dei lettori.

    Bilancio partecipativo

    Da alcuni anni diverse amministrazioni locali, a partire da Grottammare, hanno iniziato a sperimentare il Bilancio Partecipativo, sul modello della città brasiliana di Porto Alegre. Si tratta di un percorso in cui, attraverso assemblee aperte ai cittadini e ai soggetti della società civile, vengono individuate collettivamente le priorità su cui orientare i capitoli di spesa del bilancio comunale. I modelli adottati dalle varie amministrazioni sono diversi e ognuna ha cercato di adattare alla propria specificità il concetto di fondo che è quello di coinvolgere attivamente i cittadini nelle decisioni importanti.

    Urbanistica partecipata

    Il modello del bilancio partecipativo può essere adottato anche nella pianificazione urbanistica, coinvolgendo i cittadini nelle decisioni relative alla destinazione di una particolare area del territorio, al tipo di modalità costruttiva, all’utilizzo degli edifici e così via. Anche in questo campo esistono numerose esperienze e organizzazioni di architetti specializzate.

    Agenda 21 locale

    L’Agenda 21 locale è un processo partecipativo finalizzato all’elaborare di piani di azione per la sostenibilità a livello locale. Esperienze di questo tipo sono state avviate già da tempo da numerosi enti locali, che hanno dato vita a forme di coordinamento a livello nazione e internazionale. Esistono diversi manuali e raccolte di “buone pratiche”, ma in molti casi si tratta di pure operazione di facciata, mentre un’Agenda 21 locale applicata seriamente e secondo processi realmente partecipativi è in grado di trasformare profondamente la politica di un ente locale.
    Alla base del processo di Agenda 21 locale c’è lo studio della situazione ambientale di un territorio che serve ad individuare le emergenze. Il secondo elemento è la costituzione di luoghi di partecipazione (detti forum) in cui gli amministratori dialogano con i diversi “portatori di interessi” della comunità, dalle categorie economiche al volontariato. Sulla base delle emergenze individuate il forum dovrebbe definire azioni concrete per intervenire sui problemi e darsi obiettivi ed indirizzi.

    Rete del Nuovo Municipio

    La Rete del Nuovo Municipio è un coordinamento di Enti Locali che si riconoscono nella Carta del Nuovo Municipio, elaborata nel 2002 in occasione del Forum Mondiale Sociale di Porto Alegre. La Carta, scritta da amministratori pubblici, docenti universitari ed esponenti della società civile, sancisce alcuni principi su cui orientare la politica amministrativa, a partire da un approccio partecipativo alla democrazia e alla valorizzazione delle società locali.
    La Rete, che ha lo scopo di condividere esperienze e dar vita a progetti comuni, si basa sull’idea che a molti dei problemi provocati dalla globalizzazione si possa rispondere ripartendo dalle comunità locali e dalla loro valorizzazione, cominciando dalla restituzione ai cittadini di quella sovranità che la globalizzazione ha espropriato.
    Il neomunicipalismo è esattamente il contrario dell’isolamento e dalla chiusura della comunità su se stessa. Esso si basa piuttosto sull’idea di territori federati e solidali capaci di dar vita ad una “globalizzazione dal basso” e di attivare reti sociali non gerarchiche e non competitive.

    Traffico e inquinamento

    Rispetto a traffico e inquinamento atmosferico gli enti locali potrebbero fare molto di più, e gli esempi non mancano.
    Più avanti parleremo di mobilità alternativa e di carburanti meno inquinanti. Un comune potrebbe incentivare l’utilizzo d mezzi pubblici, ad esempio sperimentando i sistemi di trasporto flessibile. Anche il maggiore o minore utilizzo delle biciclette o delle gambe per gli spostamenti è spesso legato a scelte politiche. Se il traffico automobilistico non viene moderato, se gli attraversamenti sono pericolosi e i percorsi ciclabili e pedonali non esistono o non sono protetti, i cittadini saranno meno disposti ad andare a piedi o sulle due ruote.
    Per quanto riguarda i mezzi pubblici (non solo i bus, ma anche le auto del comune, dei vigili, i mezzi per la raccolta dei rifiuti e così via) diversi comuni hanno già fatto la scelta di usare carburanti a minor impatto ambientale, come metano e biodiesel.
    Per liberare le aree più congestionate può essere utile la realizzazione di parcheggi scambiatori periferici, ossia luoghi in cui è possibile lasciare l’auto e prendere un mezzo alternativo (bicicletta o bus navetta) per raggiungere il centro della città.

    Cooperazione decentrata, Enti locali per la pace e diplomazia dal basso
    Nella cultura amministrativa è stata per lungo tempo radicata l’idea che gli enti locali dovessero occuparsi solo di ciò che riguarda strettamente il loro territorio ed i cittadini residenti al suo interno. Oggi questa visione comincia ad essere superata e molti comuni, province e regioni decidono di giocare un loro ruolo anche sulle grandi tematiche globali, dando vita ad esperienze di solidarietà internazionale e ad iniziative sulla pace.
    Numerosi enti locali, singolarmente o in consorzio tra loro, hanno iniziato ad impegnarsi attivamente in progetti di cooperazione internazionale con altre comunità di paesi poveri. Questo tipo di attività, che prende il nome di cooperazione decentrata, è una sorta di partenariato tra due enti (uno al nord e uno al sud del mondo) che concertano tra loro per dar vita ad un progetto di sviluppo locale con il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile di entrambe le comunità (associazioni, movimenti, università, scuole, sindacati, ASL, imprese) nelle fasi di ideazione, progettazione ed esecuzione dei progetti di sviluppo. Per questo coinvolgimento attivo dei soggetti presenti sul territorio e per il fatto di partire dalle reali competenze che si hanno a disposizione, la cooperazione decentrata si discosta dalla logica dei macro-interventi promossi dalla cooperazione governativa e istituzionale che hanno prodotto spesso più danni che benefici. La piccola scala dei progetti ne garantisce una maggiore sostenibilità ed integrazione nella comunità, mentre la partecipazione diretta dei cittadini ne valorizza l’aspetto di sensibilizzazione e di conoscenza interculturale. Il limite di questi interventi sta nel loro carattere spesso occasionale e discontinuo.
    La normativa italiana riconosce la cooperazione decentrata fin dal 1987, con la Legge n° 49 del 26 febbraio e con il relativo Regolamento di esecuzione (DPR n.177 del 12 aprile 1988, art.7). Per il finanziamento delle iniziative le amministrazioni possono accedere a contributi e a finanziamenti di organismi internazionali di sviluppo, dell’Unione Europea e di privati nonché finanziamenti governativi qualora il loro intervento si inserisca nel contesto della programmazione della cooperazione governativa. Per quanto riguarda i fondi propri, l’articolo 19 della legge n° 68 del 19 marzo 1993 stabilisce la possibilità di destinare un importo non superiore allo 0,80% della somma dei primi tre titoli delle entrate correnti dei bilanci di previsione.
    Mentre si diffondevano le prime esperienze di cooperazione decentrata, nel 1986 si è costituito il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani (http://www.entilocalipace.it), un'associazione che oggi riunisce circa 600 tra Comuni, Province e Regioni impegnate in Italia a promuovere la pace, i diritti umani, la solidarietà e la cooperazione internazionale. Oltre a favorire lo scambio delle esperienza dei vari associati, il coordinamento lavora per la promozione dell’educazione alla pace e ai diritti umani nella scuola, lo sviluppo della solidarietà internazionale e della cooperazione decentrata, l’organizzazione della Marcia per la pace Perugia-Assisi e dell’Assemblee dell'Onu dei Popoli, l’impegno per la pace in Medio Oriente, nei Balcani e nel Mediterraneo. Nell’ambito della Tavola per la Pace il Coordinamento trova un luogo di confronto e collaborazione con le organizzazioni della società civile.
    Accanto all’esperienza degli Enti Locali per la Pace, con l’imporsi della guerra globale permanente, ha cominciato a prendere vita una riflessione sulla “diplomazia dal basso”, cioè sul ruolo che le comunità locali e i “nuovi municipi” possono svolgere, in rapporto tra loro, per opporsi concretamente al dilagare dei conflitti e all’esclusione.

    Città dei bambini e della bambine

    Le città dei bambini e della bambine rappresentano una realtà ormai collaudata e diffusa, ma sono molte le esperienze avviate più con spirito propagandistico che con la reale volontà di imprimere una svolta alle modalità di governo cittadino.
    La filosofia che ispira queste iniziative è che una città a misura di bambino è una città più vivibile per tutti, ossia anche per tutte le altre fasce deboli della popolazione (anziani, portatori di handicap e così via) e per i comuni cittadini. Da questo nascono laboratori in cui i bambini sono chiamati ad esprimersi su come organizzare gli spazi, il traffico, gli edifici, l’assetto urbano. Spesso vengono costituiti consigli comunali composti da bambini eletti all’interno delle scuole, con il compito di elaborare iniziative ed esprimere indirizzi da rivolgere al consiglio comunale degli adulti.
    Il limite di queste esperienze sta spesso nel fatto che le proposte avanzate dai bambini sono troppo avanzate e ragionevoli per essere messe in atto da amministratori e strutture burocratiche legate a vecchi schemi mentali. Oppure accade che tutto si riduca all’attuazione di singole iniziative sporadiche anziché assumere la filosofia della città dei bambini come indirizzo generale della politica cittadina.

    Mense bio-eque

    Molte amministrazioni locali gestiscono mense scolastiche o altre strutture di accoglienza. Sempre di più sono quelle che si sforzano di convertirle in senso ecologico e solidale inserendo nei menù prodotti provenienti dall’agricoltura biologica o dal commercio equo. Sia a livello nazionale che in alcune regioni esistono leggi e contributi per favorire questa conversione.
    A volte l’iniziativa parte da amministratori attenti, in altri casi sono i cittadini o le mamme ad organizzarsi per rivendicare un alimentazione più sana e sostenibile.

    Acquisti verdi e solidali

    La stessa logica degli acuisti bio e equi per le mense può essere applicata ad ogni altro capitolato di spesa dell’ente pubblico, scegliendo di volta in volta, per le propri forniture, beni e servizi che rispondono a requisiti ecologici e sociali. Anche in questo campo le esperienze sono numerose e si vanno sempre più diffondendo.

    Bioedilizia

    Un comune può fare molto per indirizzare le modalità costruttive sul territorio utilizzando strumenti urbanistici come i regolamenti edilizi o le norme tecniche dei piani regolatori generarli. Si possono inserire meccanismi premianti (aumento dei volumi o riduzione degli oneri di urbanizzazione) per chi adotta determinate soluzioni, o norme penalizzanti per chi ne adotta altre.
    Attraverso questi accorgimenti è possibile favorire scelte che riducono i consumi idrici ed energetici e che garantiscono un maggior comfort abitativo e, nel tempo, un consistente risparmio economico agli abitanti.
    Un’indagine compiuta nel 2004 da Federabitazione - Confcooperative insieme all’Associazione dei comuni (Anci), Legambiente e l’Istituto nazionale di bioarchitettura (Inbar), ha rilevato che, su un campione di quasi 250 enti locali, 135 hanno previsto agevolazioni e incentivi per la bioedilizia.
    La provincia di Bolzano ha elaborato un marchio di qualità (“CasaClima”) per gli immobili che utilizzano al meglio l’energia e sta addirittura sperimentando le celle ad idrogeno in alternativa al metano. La forma di incentivo preferita dai comuni consiste nello sconto sugli oneri di urbanizzazione (attuata dal 28% degli enti locali). Un comune su cinque (il 21%) incentiva invece la bioedilizia concedendo la possibilità di aumentare le cubature degli edifici. Il 16% degli enti locali vincola l’edificabilità di alcune aree all’edilizia sostenibile. E, per finire, il 12% concede uno sconto sull’Ici e un altro 12% mette a disposizione finanziamenti attraverso bandi ad hoc.

    Migranti

    Sull’accoglienza e l’inclusione dei migranti un’amministrazione locale può assumere iniziative molteplici. Alcune possono essere rivolte ai bambini, a partire dalla scuola, dove occorrono programmi di mediazione culturale, interculturalità e iniziative di accompagnamento. Per gli adulti possono essere utili corsi di italiano e l’istituzione di sportelli di mediazione con le istituzioni, capaci di fornire informazioni di base relative alle principali problematiche degli immigrati.
    Per agevolare l’”incontro” tra stranieri e popolazione locale possono svolgere un ruolo positivo feste e manifestazioni culturali e campagne informative.
    Al fine di dare rappresentanza politica alle comunità straniere alcuni comuni hanno scelto strade diverse, dall’istituzione di consulte e forum degli immigrati all’elezione di consiglieri comunali aggiunti votati dagli stranieri residenti. Il successo e i risultati di queste iniziative dipendono dal grado di reale ascolto e cooperazione che l’amministrazione riesce ad esprimere.

    Software libero

    Molte amministrazioni comunali, così come altre istituzioni, imprese e singoli cittadini, stanno sostituendo nella loro rete di computer i programmi coperti da “licenza” con programmi “open source”. In alcuni paesi, come la Francia, il Portogallo e la Germania, questa scelta viene incentivata con apposite leggi.
    Tra i diversi vantaggi che questa scelta comporta c’è anche quella dei notevoli risparmi: si calcola che i costi siano circa un sesto rispetto all’utilizzo di programmi soggetti a licenza. In una fase in cui gli enti locali vivono una costante ristrettezza di bilancio non si tratta di un aspetto di poco conto.

    Altre buone pratiche

    Per proteggere e promuovere i prodotti tipici locali alcune amministrazioni hanno adottato un regolamento che istituisce la Denominazione Comunale di Origine (DeCO). Questi regolamenti non solo prevedono procedure e registri per certificare prodotti locali, ma anche iniziative volte a riconoscerne il valore, a tutelarli e a promuoverne la conoscenza, l’uso e gli aspetti culturali collegati.
    Cercando di ridurre sia l’impatto ambientale che la spesa pubblica alcune amministrazioni hanno iniziato ad intervenire sui propri consumi energetici. Uno strumento utile allo scopo, sul versante sia elettrico che termico, sono le cosiddette “ESCo” (Energy Service Company) ossia imprese per la riduzione delle inefficienze energetiche. Si tratta di società che possono essere chiamate da un comune per fare uno studio. Attraverso questo studio le ESCo valutano di quanto è possibile ridurre gli sprechi energetici dell’ente attraverso investimenti su impianti più efficienti e fonti energetiche più economiche. Questo risparmio diventa un guadagno che può essere ripartito tra ESCo e comune, producendo anche benefici per l’ambiente. In cambio di un contratto di una certa durata queste imprese mettono in atto diverse soluzioni di risparmio energetico che resteranno in capo all’amministrazione anche al termine della convenzione.
    Anche in campo finanziario gli enti locali possono fare una scelta responsabile. Molti sono già soci di Banca Etica ed hanno contribuito a farla nascere e conoscere. Alcuni hanno iniziato ad inserire discriminanti etiche nei capitolati di appalto per le tesorerie comunali, ad esempio escludendo quegli istituti di credito che accettano di farsi intermediari per il traffico di armi. Un’iniziativa interessante che può nascere dalla collaborazione di un ente locale con un istituto bancario sensibile sono i prestiti d’onore a favore di famiglie temporaneamente in difficoltà economica.
    Altra esperienza da replicare è la consociazione degli acquisti, sperimentata dal comune di Monsano, che attraverso la convenzione con una cooperativa di giovani e lo stanziamento di fondi, ha stimolato i propri cittadini ad unirsi per organizzare i consumi in modo da ridurre i costi.

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