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    Il Collegato lavoro ed i diritti dei lavoratori

    Il Parlamento sta approvando un disegno di legge che farebbe tornare indietro di 60 anni le leggi di tutela dei diritti dei lavoratori
    27 maggio 2010 - Stefano Rizzo
    Fonte: Attac Italia - 15 maggio 2010

    Promemoria

    Dal 1° gennaio al 28 maggio 2010:

    425 morti sul lavoro
    10.643 invalidi
    425.730 infortuni

    Indice degli argomenti

    1) Il collegato lavoro e i diritti dei lavoratori
    Il Parlamento sta approvando un disegno di legge che farebbe tornare indietro di 60 anni le leggi di tutela dei diritti dei lavoratori

    2) L'Italia senza politica
    Di Stefano Rizzo
    Afghanistan, sono morti altri due soldati italiani. Ora, come altre volte ogni qual volta vi sono caduti italiani, si riaprirà il dibattito su cosa ci stiamo a fare, con quelli che chiederanno (già lo chiedono) il ritiro e quelli che insisteranno sull'importanza della missione di pace

    3) Rapporto 2010 sull'export di armi: dati e prime analisi!
    Il 29 marzo 2010 la Presidenza del Consiglio ha reso pubblico il Rapporto sull'Esportazione di armamenti italiani relativi all'anno 2009 (L'intera Relazione sarà disponibile appena consegnata al Parlamento). Segnaliamo qui le prime analisi e commenti

    4) La "mano morta" del capitalismo all'attacco di Euro, dollaro e governi "amici"
    Di Bankor*
    C'è uno spettro che si aggira per l'Europa: non è il comunismo di marxiana memoria. E' la "mano morta" del capitalismo di Adam Smith!

    5) Cari lettori, sapete che per mantenere in Italia 113 basi Usa e 90 bombe atomiche noi contribuenti spendiamo mezzo miliardo di dollari all'anno?
    di Marco Cedolin (scrittore, collabora a vari siti web, appartiene al Movimento No Tav, vive in Val di Susa)


    SUGGESTIONI DI LETTURA
    MEZZO MILIONE
    di Ugo Mattei

    Potrebbe essere stata raccolta in uno dei banchetti lungo l'itinerario della marcia per la pace Perugia-Assisi la simbolica firma 500.000 (mezzo milione) che ci consente di entrare in una nuova fase della nostra campagna per l'acqua bene comune. Naturalmente continueremo a raccogliere firme fino al 21 luglio perché il peso politico è direttamente proporzionale al loro numero, ma...


    1) Il collegato lavoro e i diritti dei lavoratori


    Il Parlamento sta approvando un disegno di legge che farebbe tornare indietro di 60 anni le leggi di tutela dei diritti dei lavoratori. Gli aspetti più devastanti sono: • la possibilità (o l'obbligo a seconda di quanto deciderà in via definitiva il Parlamento) di una rinuncia preventiva a rivolgersi al giudice nelle controversie col datore di lavoro e l'impegno ad accettare la decisione di arbitri privati; • la possibilità per gli arbitri di decidere secondo equità, disapplicando le norme di legge ed i contratti collettivi di lavoro; • l'obbligo del lavoratore di pagare un compenso anticipato agli arbitri (il processo del lavoro è gratuito) • la possibilità per i "contratti individuali certificati" (anche dai consulenti del lavoro che stabilmente collaborano con i datori di lavoro) di derogare alla legge ed ai contratti collettivi, aprendo lo spazio alla contrattazione privata in deroga a quella collettiva; • la possibilità dei contratti individuali certificati di individuare ulteriori cause di licenziamento oltre quelle stabilite dai contratti collettivi; • la retroattività dell'effetto vincolante per il giudice delle certificazioni rispetto anche ai contratti in corso; • il divieto del giudice di sindacare le valutazioni tecniche organizzative e produttive dei datori di lavoro (e quindi di entrare nel merito delle ragioni dei licenziamenti, dei trasferimenti, dei contratti a termine); • l'impossibilità di impugnare tutti i contratti precari esistenti, trascorsi due mesi dall'entrata in vigore della legge; • il termine di due mesi per impugnare il licenziamento orale (ad oggi non esiste un termine anche perché è impossibile al lavoratore provare quando è stato licenziato "a voce"); • il termine di due mesi per impugnare un trasferimento o un contratto a termine illegittimo (oggi non c'è alcun termine); • un termine di sei mesi per iniziare la causa (oggi non c'è alcune termine); • la riduzione del risarcimento per i contratti a termine illegittimi da due a dodici mensilità mentre oggi non vi è alcun limite al risarcimento danni a favore del lavoratore. Questo ddl - che rispolvera una concezione ottocentesca della contrattazione, quando ogni lavoratore era solo davanti al padrone - ha il consenso dei sindacati concertativi (CISL, UIL, UGL, CISAL) e vede solo una tiepida opposizione della CGIL che ha lanciato l'allarme solamente all'ultimo momento, dopo avere taciuto durante il percorso parlamentare durato quasi 2 anni! D'altro canto, il PD ha presentato una proposta di legge (del tutto in linea con la politica "riformatrice" del governo), che prevede che nei primi tre anni dall'assunzione tutti i lavoratori, possano essere licenziati senza alcuna giustificazione con un risarcimento danni risibile ed una liberalizzazione di tutti i contratti a termine con retribuzione annua di oltre 25 mila euro. E il salario orario minimo sarebbe stabilito con decreto presidenziale su proposta del governo! Nessuno di quelli che hanno accesso ai mezzi d'informazione ha fatto nulla per informare i lavoratori. Forse perché questo provvedimento si pone in continuità con le leggi e gli accordi sindacali concertativi che, a partire dal 1993, hanno favorito il dilagare della precarietà del lavoro? Al momento, il Presidente Napolitano si è rifiutato di firmare la legge e ha chiesto alle Camere alcune modifiche. Quindi, per ora, quel disegno di legge è provvisoriamente bloccato ma nessuno lavora per costruire la mobilitazione dei lavoratori! Questa vicenda è una manifestazione di una "democrazia" sempre più manipolata (e autoritaria quanto basta), con un'opposizione che non si oppone ed è portatrice di pesanti responsabilità riguardo al progressivo affermarsi della cultura della destra. Tutto questo nel quadro strutturale del capitalismo globalizzato, della finanziarizzazione dell'economia, della delocalizzazione del lavoro, della privatizzazione di tutto ciò che può produrre profitti. La UE incarna l'ufficializzazione del neoliberismo come ideologia comune europea. Non è un caso che le politiche del liberismo si affermino in modo crescente, in particolare in Italia, dal 1992, l'anno del Trattato di Maastricht. Esso "impone" ai ben consenzienti governi nazionali solo parametri monetari e relativi al bilancio dello stato, senza alcun riferimento a parametri di tipo sociale o all'occupazione. La politica economica è dettata dalla Banca Centrale Europea, che non ha mai nascosto di privilegiare gli interessi della rendita finanziaria e ha sempre imposto tassi d'interesse altissimi per attirare capitali e rafforzare l'euro rispetto al dollaro. Anche se ciò danneggia le esportazioni e quindi la produzione e l'occupazione nella UE! Nonostante la grave crisi economica mondiale dimostri proprio il fallimento di quelle politiche e l'attacco della speculazione finanziaria internazionale alla Grecia (in preda ad una crisi economico-finanziaria profondissima) faccia cadere anche il mito della UE come ombrello protettivo degli Stati membri, nessuno azzarda qualche autocritica per i mal riposti entusiasmi. Questo quadro d'insieme e l'esperienza quotidiana possono far pensare che la normalità in materia di diritti, di salari e di pensioni sia quella di subirne la riduzione, contemporaneamente e inesorabilmente. Come un fatto naturale e ineludibile. Ma non è così e ce n'è testimonianza nella nostra storia recente. Trent'anni non sono, in assoluto, tantissimi, anche se sembrano secoli. Eppure alla fine del ciclo di lotte dal '62 al '75, salari e diritti erano fortemente cresciuti, l'orario di lavoro era stato ridotto ed era stato introdotto un sistema previdenziale che garantiva pensioni dignitose. Il tutto come risultato dell'onda alta del movimento operaio di quegli anni. Naturalmente, non è sostenibile che quella fase sia ripetibile con le stesse modalità. Tutto è anche strutturalmente cambiato, a partire dall'organizzazione del lavoro. Ma nulla, neppure l'attuale evidente sconfitta deve essere vissuto come definitivo e irreversibile!!! L'affermarsi del pensiero unico del Mercato, assunto come unica ideologia autorizzata ad esistere, (visto che anche i soggetti politici e sindacali che hanno detenuto il quasi monopolio della rappresentanza dei lavoratori, ormai da decenni hanno accettato e condividono i principali cardini della teoria liberista, applicando nel migliore dei casi la teoria del contenimento del danno) ne ha cancellato persino la memoria storica, proprio perché essa costituisce un pericolo per il potere. Ma ripercorriamo sinteticamente la parabola dei diritti dei lavoratori dagli anni '50 ad oggi.

    Gli anni cinquanta Le imprese potevano scegliere liberamente se assumere i lavoratori con contratto a termine o con contratto a tempo indeterminato e potevano licenziare anche i lavoratori assunti a tempo indeterminato senza dover addurre nessuna motivazione, con un breve preavviso o la corresponsione di una piccola indennità di mancato preavviso. Le tre leggi fondamentali per la tutela dei diritti dei lavoratori L.230/1962 sul contratto a tempo determinato (ne limita l'applicazione a cinque casi ben precisi: lavori stagionali, straordinari, nello spettacolo, in sostituzione di lavoratrice in maternità o lavoratore in malattia); L.604/1966, detta "sulla giusta causa" (subordina il licenziamento al sussistere di una giusta causa o di un giustificato motivo, nelle imprese con più di 35 dipendenti); L.300/1970 lo "Statuto dei lavoratori": oltre a "far entrare la Costituzione nei posti di lavoro", col diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo rende "reale" la tutela dei lavoratori, nelle imprese con più di 15 dipendenti: l'art.18.

    I primi scricchiolii Nel 1978 viene parzialmente estesa per la prima volta la possibilità di stipulare contratti a termine per i giovani (legge cd. "sull'occupazione giovanile", sostenuta in prima persona dall'allora segretario CGIL Luciano Lama). Nel 1984 vengono introdotti i "contratti di formazione - lavoro" che estendono sensibilmente questa possibilità. Il '93 é la svolta. Negli anni '90 la flessibilità viene assunta dai sindacati confederali come un elemento che favorisce l'occupazione e, a seguito della politica concertativa, viene inserita negli accordi governo - sindacati - confindustria del 1993 (quello della "politica dei redditi"), che per la prima volta afferma la "necessità" dell'introduzione del lavoro interinale e del 1996 ("patto per il lavoro"). Quest'ultimo si traduce, nell'ambito della politica di concertazione, nel "pacchetto Treu" (L.196/1997), che introduce, tra l'altro, il lavoro interinale, sia pure con una serie di paletti che ne impedirono il decollo nel '98. I sindacati concertativi, quindi, nel 1999, fecero pressione sul governo D'Alema (certo ben disposto!) affinché il lavoro interinale fosse esteso ai settori lavorativi per i quali era escluso (agricoltura ed edilizia) ed ai lavoratori dal 2° livello.

    Poi, col governo Berlusconi, il diluvio D.lgs.n.368/2001 sul contratto a termine (abroga la L. 230/62, eliminandone la limitazione a specifiche e precise tipologie di lavoro e permettendo al datore di lavoro di ricorrervi per "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo"). D.lgs.n.66/2003 sull'orario di lavoro (si rende possibile una giornata lavorativa anche di 13 ore, si eliminano tutte le garanzie relative al lavoro notturno per minori, donne ed inabili al lavoro. Il part-time può avere ogni giorno durata diversa. Ciò flessibilizza la gestione del tempo di lavoro, sottraendola al controllo del lavoratore e dei sindacati.!). D.lgs. n. 276/2003, attuativo della L.30 sul mercato del lavoro (che, da un lato, mette a disposizione delle imprese una quarantina di tipologie contrattuali e, dall'altro, introduce l'istituto della certificaz ionedel contratto). Queste leggi sembravano travolgere qualsiasi parvenza di diritto per i lavoratori. Ma il Collegato lavoro dimostra che quello non era il peggio possibile! L'obiettivo dichiarato, nel più completo ossequio alla globalizzazione capitalistica, era (ed è) quello di rendere l'Italia più accogliente possibile per il capitale finanziario nei suoi flussi internazionali, proponendosi come oasi di flessibilità assoluta ("il paese più americano", come lo definì allora un raggiante Berlusconi durante un suo pellegrinaggio negli USA).

    Il governo di centro-sinistra ribadisce la legislazione della destra. Col "protocollo sul welfare" (poi trasformato in L. 247/2007) il centrosinistra e i sindacati confederali tornano alla politica concertativa. Il fenomeno sociale più colpito è quello della precarietà. I danni che ne derivano ai precari sono così sintetizzabili:
    - si lascia inalterata la loro condizione giuridica (che resta sottoposta alla L. 30, nel 2003 attaccata dalla CGIL come una delle maggiori nefandezze di Berlusconi)
    - si peggiora la condizione strutturale dei precari nel mercato del lavoro, da un lato aumentando l'età pensionabile e dall'altro incentivando il ricorso delle imprese agli straordinari. Diminuiranno le occasioni di lavoro
    - si aumentano i contributi sociali dei più precari tra i precari (co.co.pro e co.co.co)
    - si diminuiscono ulteriormente le pensioni future, diminuendo i coefficienti di trasformazione. Con l'assoluto silenzio sui D.lgs. su contratto a termine ed orario di lavoro (a suo tempo non condivisi dalla CGIL) il centrosinistra e la CGIL fanno sostanzialmente propria l'intera legislazione della destra! La destra continua la sua opera con l'approvazione del cd Collegato lavoro alla finanziaria 2009, poi rinviato al 2010. Come è facile constatare, l'andamento dei diritti dei lavoratori segnala con precisione lo stato dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Abbiamo già ricordato, che nel periodo ascendente (anni '60-'70) le lotte dei lavoratori ottennero, attraverso i rinnovi contrattuali, anche sensibili aumenti del salario reale e la riduzione dell'orario di lavoro, mentre a partire dalla seconda metà degli anni '70 iniziarono gli attacchi alla scala mobile ed al salario, che si velocizzarono negli anni '80, ed in particolare negli anni ‘90. Così come non è un caso che la riforma delle pensioni che introduceva un sistema pensionistico a ripartizione e con sistema di calcolo retributivo (appunto ciò che viene smantellato nel 1995 da Dini e da reiterati attacchi legislativi) venga varata nel 1969! Con la possibilità di stipulare contratti individuali di lavoro di contenuto difforme rispetto alla legge ed ai CCNL si tornerebbe sostanzialmente alla situazione precedente gli anni '60, prima dell'affermarsi di un Diritto del lavoro autonomo dalle esigenze delle imprese. Quando i diritti dei lavoratori erano regolati principalmente dal Libro V del Codice Civile del 1942, lo stesso che costituiva la fonte principale del Diritto commerciale. Esso era il Diritto delle imprese e, solo in quanto tale, regolava anche i rapporti di lavoro. E, ripercorrendo la parabola dei diritti dei lavoratori, siamo tornati all'attuale contesto, nel quale si assiste già ad un altro attacco, sferrato, ancora una volta, nel silenzio generale. Al momento ben tre ddl si stanno contendendo in Parlamento una nuova limitazione al diritto di sciopero, dopo quella introdotta dalla L. 146/1990 (modificata dalla L. 83/2000)!!!
    - Il 14 aprile 2010 è iniziata la discussione congiunta del ddl n. 1473 (presentato dal governo) "Delega al governo per la regolamentazione e prevenzione dei conflitti collettivi di lavoro con riferimento alla libera circolazione delle persone" e del ddl n. 1409 (presentato da Ichino ed altri senatori) "Disposizioni per la regolazione del conflitto sindacale nel settore dei pubblici trasporti", presso la commissione affari costituzionali e la commissione lavoro del senato.
    - Il sen. Giuliano (PDL) nella relazione in commissione lavoro ha affermato la necessità "dell'accertamento da parte dell'opinione pubblica della giustezza delle rivendicazioni degli stessi lavoratori". Durante la seduta, il sen. Ichino (PD) ha avanzato la richiesta di assegnare congiuntamente alle stesse commissioni l'esame del ddl n. 1170 "Disposizioni in materia di sciopero virtuale" (sempre firmato da lui!)
    - Il disegno di legge delega del governo (messo a punto da Sacconi) è stato approvato in CDM il 27 febbraio del 2009 e punta a una stretta fissando una serie di paletti ai conflitti. Le nuove regole prevedono, per i conflitti che riguardano "la libera circolazione delle persone", che i sindacati per poter proclamare uno sciopero abbiano una soglia del 50% di rappresentatività, mentre le sigle che hanno il 20% sono tenute a indire un referendum preventivo, e poi a ottenere almeno il 30% dei consensi allo stop tra i lavoratori per poter scendere in piazza. Viene anche previsto un giro di vite contro le proteste "selvagge" (con multe sino a 5 mila euro), i blocchi della circolazione ed i fermi dei tir. Ma le novità non finiscono qua. Arrivano infatti anche l'adesione preventiva individuale e lo sciopero virtuale (che potrà essere obbligatorio se il servizio è necessario) che saranno disciplinati per via contrattuale. Per quanto riguarda lo sciopero virtuale, spiega Ichino, «noi lo proponiamo come possibilità aggiuntiva rispetto allo sciopero tradizionale, attivabile nel quadro di un accordo collettivo preventivo, che definisca la quota dell'esborso orario a carico delle imprese per ciascuno lavoratore aderente all'iniziativa»." Infine, Marchionne, presentando il piano di ristrutturazione Fiat, ha posto questo ricatto: il successo del suo piano industriale (peraltro pieno di incognite per i lavoratori) è legato alla flessibilità della forza lavoro e dei dirigenti. «è un elemento indispensabile - ha sottolineato - perché gli stabilimenti possono funzionare solo se lavorano a piena capacità». Di conseguenza si rende necessario «ridefinire gli accordi con i sindacati, perché quelli in vigore non sono più adeguati alla realtà attuale». Promette, a questa condizione, che gli impianti italiani della Fiat nel 2014 produrranno 1,4 milioni di vetture anziché 900mila. E agli analisti che gli chiedevano se, a suo parere, sindacati e governo avrebbero condiviso il piano per l'Italia, il supermanager ha ammonito minaccioso che «è già pronto un piano b, e vi assicuro che non è un piano molto bello». In compenso ha ribadito la necessità di un sostegno alla produzione attraverso nuovi incentivi, cioè finanziamenti pagati, attraverso le imposte, quasi totalmente dai lavoratori! Insomma i lavoratori dovrebbero finanziare un piano che prevede un'ulteriore precarizzazione del lavoro! Si tratta dell'eterna visione asimmetrica del cosiddetto libero mercato: da un lato si richiede il rispetto delle sue "leggi" (lavoro flessibile), ma dall'altro si chiede di poterle violare, chiedendo finanziamenti pubblici! CONTRO QUESTO ATTACCO GENERALIZZATO AL LAVORO UNIAMO LE NOSTRE FORZE E LOTTIAMO PER: • contrastare i licenziamenti e la precarietà e assicurare il diritto al lavoro stabile e a tempo indeterminato • ridurre l'orario di lavoro a parità di salario e abbassare l'età pensionabile • sviluppare l'idea di servizio pubblico (sanità, educazione, cultura, casa, trasporti, acqua, energia...), contro la logica delle privatizzazioni • ricavare le risorse necessarie a questi obiettivi attraverso:una vera lotta all'evasione fiscale e contributiva, una drastica riduzione delle spese militari, una seria tassazione dei patrimoni e delle rendite finanziarie • cambiare davvero il modello di produzione, di distribuzione e di consumo, creando lavoro che abbia valore per la collettività.

    ATTAC Genova, Confederazione Cobas Genova, CUB Genova, RdB-CUB Liguria, USIAIT Liguria 15 maggio 2010

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