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    Il boom del metano "non convenzionale": incubi geopolitici e ambientali di Maurizio Ricci

    Il mondo riscopre nell´argilla il metano "non convenzionale" e le riserve aumentano del 100%. Tremano i monopolisti: Russia e Iran.
    Nuova corsa globale per le compagnie: si cerca in Ucraina, Polonia, Australia, Cina e anche in Italia.
    12 luglio 2010 - Maurizio Ricci
    Fonte: La repubblica

    Il mondo riscopre nell´argilla il metano "non convenzionale" e le riserve aumentano del 100%. Tremano i monopolisti: Russia e Iran.
    Nuova corsa globale per le compagnie: si cerca in Ucraina, Polonia, Australia, Cina e anche in Italia.


    È una cosa che rende nervosi Putin, Medvedev e, soprattutto, Gazprom. Non è piacevole per il gigante monopolista del gas russo, grande fornitore d´Europa, vedere Big Oil che trivella alle frontiere del suo regno, fra Polonia e Ucraina. I francesi di Total si danno da fare sul versante ucraino. Gli americani di Exxon e di Chevron su quello polacco.

    Cercano proprio metano, dove non si pensava che ci fosse o, comunque, che fosse possibile estrarlo. È il gas che gli esperti chiamano "non convenzionale": metano contenuto negli scisti argillosi, nei letti di carbone, nelle sabbie compatte. Fino a ieri, estrarlo era troppo costoso. Da quattro-cinque anni, gli americani hanno scoperto che non è più vero. Di colpo, le riserve mondiali di gas potrebbero risultare aumentate del 50 o del 100%, rendendolo abbondante quanto il carbone. E altrettanto onnipresente, dagli Usa all´Europa, all´Australia.

    Il risultato che si intravede in prospettiva è una rivoluzione nella geopolitica dell´energia, perché spezzerebbe il monopolio di Russia e Iran che, da soli, possiedono più di metà delle riserve convenzionali. Ma è una rivoluzione che incide anche sulle prospettive del nucleare, sulla logica dei gasdotti che arrivano dalla Siberia o dall´Algeria, sul modo stesso di gestire fonti rinnovabili come sole e vento. In parte, tutto questo è già avvenuto.

    A Kitimat, non lontano da Vancouver, nelle prossime settimane inaugureranno un rigassificatore. Quando hanno cominciato a costruirlo, nel 2005, doveva servire per l´importazione di metano. Sei mesi fa, l´ha comprato un´azienda Usa, l´Apache Corporation, e lo ha riconvertito per l´esportazione verso i mercati asiatici.

    Cinque anni fa, infatti, il Nord America, di fronte ad una produzione in declino, si preparava a ricevere le metaniere che arrivavano dal Qatar o dalla Siberia. Oggi, quei rigassificatori prendono, per lo più, polvere. Solo il 20% della capacità totale viene utilizzata. E molti stanno pensando di copiare l´Apache.

    L´America, dicono i più entusiasti, ormai "annega nel gas". La più recente previsione ufficiale è che, nonostante l´aumento dei consumi, gli Usa, nel 2035, importeranno solo il 6% del fabbisogno.

    Dietro, c´è l´irrompere sul mercato del gas non convenzionale. Da due anni, la produzione americana di "shale gas" supera quella di metano convenzionale.

    Quanto basta per rispedire al mittente le metaniere partite dal Qatar e convincerle a puntare, invece, sull´Europa. In un periodo di recessione è difficile orientarsi, ma, sostiene una esperta americana, Amy Myers Jaffe, Gazprom ha già accusato il colpo. Secondo la Jaffe, c´è, infatti, la nuova indipendenza americana e la conseguente sovrabbondanza di gas sui mercati europei dietro la recente decisione del gigante russo di applicare uno sconto del 30% sul metano venduto all´Ucraina.

    Il gas non convenzionale è conosciuto da sempre: la differenza con quello convenzionale, in buona sostanza, è che, una volta raggiunto dalla trivella, non esce da solo. La novità è nell´applicazione contemporanea di due tecniche. La prima è la trivellazione orizzontale. Una volta raggiunta una certa profondità, la trivella si muove parallelamente alla superficie, aumentando l´area da cui può essere estratto il metano. Qui interviene il secondo passaggio: nel pozzo viene sparata acqua, mista ad acidi chimici, ad alta pressione, che frantuma le rocce e libera il metano che contengono.

    Il costo di estrazione è competitivo con quello dei giacimenti tradizionali. Lo hanno capito, con appena un attimo di ritardo, le sorelle di Big Oil. La più grande operazione finanziaria, in campo energetico, degli ultimi quattro anni è l´acquisizione da parte di Exxon, per la cospicua cifra di oltre 30 miliardi di dollari, di Xto, una società specializzata nel gas non convenzionale. Ma pure Shell, Bp, Total, la norvegese Statoil sono entrate nel settore. E anche l´Eni ha fatto un investimento in Texas, soprattutto per acquisire il know how.

    Ma quanto gas non convenzionale c´è? Le stime variano e non di poco. Secondo la Jaffe, che fa parte del partito degli entusiasti, i nuovi giacimenti quadruplicano le riserve di gas convenzionale americane e più che raddoppiano quelle europee. Fatih Birol, il capo economista della Iea, il braccio energia dell´Ocse, pensa che, a livello mondiale, la disponibilità di gas non convenzionale - che, oggi, nelle statistiche non compare - possa raddoppiare le riserve.

    In realtà, le differenze non riguardano la quantità di metano esistente nel sottosuolo, ma la possibilità di estrarlo a costi competitivi. Ogni giacimento, infatti, per motivi geologici, fa storia a sé e non mancano gli scettici. Jean Francois Cirelli, presidente di Gaz de France, pensa, ad esempio, che l´Europa non offra grandi prospettive e che trivellare a tappeto nel vecchio continente non sarà facile come in America.

    Anche le valutazioni prudenti, tuttavia, sono sufficienti a modificare profondamente il panorama energetico dell´immediato futuro. Secondo una grande società internazionale di consulenza, come Pfc Energy, «se anche solo il 10% delle riserve potenziali di gas non convenzionale si rivelasse economicamente sfruttabile, sarebbe sufficiente ad aumentare del 50% la disponibilità attuale». In Europa, oltre a Polonia e Ucraina, possibili giacimenti sono in Romania, Svezia, Austria e Germania.

    In Italia, piccole società indipendenti stanno lavorando in Toscana, in Sardegna e in Sicilia.

    Tutto questo fervore rischia, però, di scontrarsi con i dubbi e le preoccupazioni degli ambientalisti e delle autorità pubbliche, già emersi negli Stati Uniti.

    A Caddo Parish, un villaggio nell´angolo nord ovest della Louisiana, centinaia di persone sono state evacuate, due mesi fa, perché l´acqua potabile era stata inquinata dalla trivellazione di un pozzo di gas non convenzionale vicino al paese. Il pozzo, adesso, è chiuso a tempo indefinito. Frantumare interi strati rocciosi nel sottosuolo può, infatti, compromettere la stabilità geologica, Se, finora, nessuno ha mai registrato terremoti, il problema più grosso è l´acqua.

    Anzitutto, per aprire un singolo pozzo occorre sparare sottoterra circa 10 milioni di litri d´acqua, che non dovunque è così facilmente disponibile. Inoltre, l´acqua, carica di additivi chimici, che risale insieme al gas è inquinata, va raccolta e smaltita. Soprattutto, la frantumazione delle rocce può mettere in comunicazione l´acqua sparata nel pozzo e i suoi additivi chimici con le falde di acqua potabile. Fra Pennsylvania e New York, lo sfruttamento di uno dei più grossi giacimenti americani è bloccato per le preoccupazioni sulle falde acquifere.

    Per una parte del movimento ambientalista, tuttavia, questo non basta a fare del gas non convenzionale una rivoluzione mancata. Secondo Christopher Flavin, presidente del Worldwatch Institute, i problemi dell´acqua possono essere risolti con regolamentazioni più stringenti sulla lavorazione nei pozzi, salvaguardando le opportunità che la nuova abbondanza di gas fornisce al futuro dell´energia. Come tutti i combustibili fossili, infatti, anche le centrali elettriche a metano rilasciano anidride carbonica e contribuiscono all´effetto serra, ma in misura inferiore a quelle a carbone.

    Bruciare una tonnellata di carbone produce due tonnellate di Co2, una di metano ne produce una. In realtà, in termini assoluti, la differenza è inferiore a quello che sembra. Se tutte le centrali a carbone del mondo passassero al gas, le emissioni globali di anidride carbonica scenderebbero di 5 miliardi di tonnellate l´anno, circa il 18% in meno. Una riduzione importante, ma non decisiva. Il nucleare è a zero Co2: se le centrali a carbone diventassero tutte atomiche, la riduzione della Co2 sarebbe del 36%, a metà strada verso l´obiettivo "meno 80% nel 2050". Eppure, dice Flavin, se l´obiettivo è l´energia rinnovabile, meglio il gas dell´atomo. Le centrali nucleari sono investimenti pesanti, destinati a durare per decenni. Una centrale a gas, invece, costa cinque-dieci volte meno di una nucleare e, al contrario di un reattore, può essere accesa e spenta a volontà.

    Uno strumento perfetto, secondo il presidente del Worldwatch Institute, per colmare i buchi di produzione di una energia volatile come il vento o il sole. È il gas, conclude Flavin, il ponte verso un futuro di energia 100% rinnovabile. La soluzione, del resto, è tutt´altro che inedita: la prima centrale termosolare italiana, che l´Enel sta ultimando a Priolo, in Sicilia, affianca all´energia creata dagli specchi solari una normale centrale a gas.

    Tratto da: la Repubblica

    Titolo originale: Negli Stati Uniti i nuovi pozzi hanno reso inutili le importazioni ma si teme per gli effetti negativi sull'ambiente.

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