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    Il prato DELLE ALTERNATIVE

    Autogestione, ottime idee e buone pratiche. Per tre giorni in un villaggio vallone ottocento attivisti da tutta Europa hanno sperimentato un modo di vivere ecocompatibile e fuori dal capitalismo. Tra tante luci e qualche punto debole
    11 settembre 2010 - Marinella Correggia (Redazione del Manifesto)
    Fonte: ilmanifesto.it - 04 settembre 2010

    NETHEN (BELGIO)

    Autogestione, ottime idee e buone pratiche. Per tre giorni in un villaggio vallone ottocento attivisti da tutta Europa hanno sperimentato un modo di vivere ecocompatibile e fuori dal capitalismo. Tra tante luci e qualche punto debole.


    Benvenuti in un futuro per tutti. Ovvero come per tre giorni ottocento persone di tutte le età in un grande prato belga a ridosso di un orto hanno vissuto imparato scambiato costruito mangiato lavato mettendo in pratica idee e tecniche che sarebbero alla portata anche dei più poveri al mondo e fermerebbero il caos climatico e la crisi idrica. Livello quasi zero di emissioni, consumo di acqua, inquinamento e capitalismo (soprattutto per chi è arrivato in bici). Saggezze del mondo unitevi: nella forma e nei contenuti. Per un risultato serio e gioioso: autogestito con regole. È stato al festival della Permacultura Living and taking care of life («Vivere e prendersi cura della vita») nella regione vallona, a Nethen, villaggio rurale non esente dalla circolazione di fuoristrada e circondato da boschi, pascoli, campi di orzo, orti.
    Permacultura deriva da Permanent culture (cultura permanente) e si definisce come «la progettazione e la conservazione consapevole ed etica di ecosistemi produttivi che hanno la diversità, la stabilità e la flessibilità degli ecosistemi naturali». In primo luogo pratica (la teoria ne discende), si può applicare a un balcone, a un piccolo orto, a un grande appezzamento o a zone naturali, così come ad abitazioni isolate, villaggi rurali e insediamenti urbani, ma anche alle strategie economiche e alle strutture sociali. Sul lato agricolo, «nessun dogma, la permacultura è l'insieme di tutti quelli che coltivano in modo durable, durevole», riassume Sylvain, vivaista francese e volontario al raduno di Nethen.

    Giornate amiche del clima
    Buone idee e pratiche da copiare e generalizzare quanto più possibile. Da copiare lo stile di vita indirizzato dalla "logistica" che trenta volontari attivi nel movimento della permacultura belga hanno predisposto con cura. Da copiare i numerosi laboratori per imparare un'autoproduzione che aiuti la fuoriuscita dal modello estrattivo, fossile e iniquo. Da copiare i seminari e le conferenze di permacultura: foreste di frutti, organizzazione degli ecosistemi per il clima, permacultura in città, rinverdire il deserto (illuminante il breve video Greening the desert su un progetto in Giordania, ora replicato in Darfur). Da copiare la gratuità degli scambi di conoscenze e perfino di oggetti e beni, salvo i 30 euro per l'ingresso per i tre giorni, e un'offerta libera e facoltativa per i pasti. E da copiare l'autogestione, che i promotori hanno più volte definito «la parola chiave per la riuscita dell'incontro: la capacità di un gruppo di funzionare senza coordinamento né gerarchia; il che richiede responsabilità, coscienza del proprio ruolo e disponibilità ai compiti comuni».
    La logistica è quasi sempre un elemento di incoerenza di molti raduni; si pensi ai Social forum o alle feste dei partiti di sinistra. Eppure diceva Gandhi che «nei mezzi si ritrova il fine». Prova del nove di un assembramento collettivo è quel che si mangia (e dentro cosa). Volontari e cuochi militanti hanno cucinato porzioni abbondanti e varie di ottimi piatti semplici e vegetali a chilometro quasi zero (coloniali a parte): dai cereali con erbe selvatiche ai legumi con spezie, dalla puré di rape rosse alla maionese di sesamo, dalla pasta con verdure di stagione alle crocchette con nocciole e tofu, per finire con le torte di frutta. Niente cadaveri, nemmeno luccicanti (i pesci, nella canzone L'atomica di Guccini). Non che la permacultura come sistema di coltivazione organizzata prescinda dall'allevamento, ma gli organizzatori spiegano che nutrire con prodotti animali di terra, aria o acqua una tale folla avrebbe aumentato di molto l'impronta ecologica del festival. Il cibo è servito, invece che in traballanti e purtroppo eterni piatti di plastica usa e getta, su un colorato esercito di piatti e scodelle di ceramica o melanina spaiati. A ciascun iscritto era richiesto di portarsi piatto, bicchiere, posate borraccia. Autogestito anche il lavaggio a mano dopo i pasti, in un ben organizzato e tutto sommato igienico sistema di vaschette. Il gazebo-bar offre bevanda di zenzero, succo di mela e birra alla spina in bicchieri durevoli su cauzione. Niente acqua industrialmente imprigionata in bottiglia, niente lattine, niente coca cola o assimilati, niente superalcolici. Salute!
    Nel dormire in tenda non c'è niente di nuovo, ma è inusuale che le infrastrutture igienico-sanitarie siano tali da limitare il consumo idrico pro capite a pochi litri al giorno e da produrre suolo fertile anziché rifiuti solidi e liquidi. Il raduno ha mantenuto la promessa del foglietto di istruzioni consegnato ai partecipanti: «Vi offriamo il piacere di non sporcare né sprecare l'acqua: toilette a secco e docce indiane». La doccia all'indiana, che non richiede più di tre o quattro litri a testa; ne La città della gioia, Dominique Lapierre descriveva il talento di arrangiarsi negli slum di Calcutta, i cui abitanti erano capaci di fare una doccia completa con meno di un litro. La privacy è assicurata dentro capannette di legno, alle quali ci si reca con una bacinella dopo aver attinto a un grande bidone via via riempito dai volontari.
    E il wc? Chi è abituato a bagni pubblici collettivi chimici o a flusso d'acqua, gli uni e gli altri ridotti dopo dopo poco a latrine maleodoranti, stenterà a credere quanto sia pulita una toilette compostante a secco. In questa lo scroscio d'acqua è sostituito da una manciata di segatura che mescolandosi allo humanure («letame umano») lo rende inodore, lo mimetizza - anche per i volontari che periodicamente svuotano e portano a un cumulo - e permette di compostarlo per un felice uso negli orti. Due miliardi di persone nel mondo non hanno tuttora accesso ai servizi igienici e in un futuro di crisi idrica non appare possibile dotare sette miliardi di terrestri di wc a scroscio. Le toilette a secco ben organizzate sono un'alternativa agli sciacquoni, ma anche alle orrende latrine tradizionali che in India sono svuotate a fresco dai fuoricasta.
    Lo humanure è usato da millenni dai cinesi; e lo decantò Victor Hugo ne I miserabili. Gli omologhi belgi delle Asl italiane devono essere stati tolleranti, perché ad esempio da noi le toilette secche sono vietate. In Svezia al contrario ci sono modelli omologati perfino per gli appartamenti.

    Prove di autoproduzione ecologica
    Così spartanamente soddisfatti dei pasti tanto da non avanzare nulla nei (loro) piatti, e delle infrastrutture igieniche tanto da usarle con cura, i partecipanti - fra i quali molte famiglie con bambini piccoli - hanno avuto tre giorni pieni per seguire corsi di autoproduzione nelle varie tende; una delle quali era un'artistica fuga verso il cielo di fondi di cassette da sostenute da un'intelaiatura di canne di bambù.
    L'assunzione creativa di responsabilità nella gestione dell'acqua, dell'energia, degli elementi e del lavoro è la chiave per un futuro ecologico ed equo. Molte le idee pratiche per l'indipendenza e l'autogestione dell'energia, da quella umana (le bici produttrici di corrente, le mani artigianali) a quella solare, eolica e comunque rinnovabile e semplice. Davide, che studia architettura a Bruxelles, vive in un centro sociale occupato e «no, a tornare in Italia non ci penso nemmeno», spiega, a chi si sofferma, come si costruisce un impianto minieolico. Yussef è invece un appassionato di stufe «del futuro», quelle che funzionano per radiazione anziché per convezione, e sono adatte - come le cucine solari - a tutti i luoghi del mondo perché consumano pochissima legna, non fanno fumo e miracolosamente convertono i residui in pezzi di carbone (biochar) capaci di ammendare il suolo, sterilizzare l'acqua e altre virtù. Dice che in Africa si stanno diffondendo (e quanto all'Europa?). Algerino-belga, Yussef si sta autocostruendo la casa in terra cruda e si informa su come funziona il «frigo solare» costruito da un maestro africano.
    Utile all'autocostruzione è sapere come si fabbricano materiali di bioedilizia, come i mattoni con calce e carta, oltre a quelli di terra e canapa; un seminario di un intero giorno permette di portarne a casa un esemplare dopo aver seguito e si spera memorizzato tutta la lavorazione. Ecco lì vicino un bel forno da pizze e pane, sempre in terra cruda. E soprattutto un efficace essiccatoio solare per frutta e ortaggi, artigianale e di facile fattura. Meno facili ma "imparabili" i gioielli vegetali, le sedie con legni di recupero, i gazebo con fondi di cassette per la frutta, i cesti di salici.
    La ragazzina Anne sta scegliendo una camicetta per la mamma che farà il compleanno; rovista nella tenda del "prendi e porta", piena di abiti e bijoux a libero prelievo e a libero conferimento. Non lontano dal gazebo bar, su un tavolinetto attira l'attenzione un boccale pieno di liquido chiaro e con qualcosa che galleggia stile museo zoologico con animali in formalina. Sonop per fortuna fichi e limoni a galleggiare in acqua. Alina, belga, spiega le virtù del kefir, lo "champagne del Caucaso". È un'antica frizzante bevanda fermentata a tasso alcolico di meno di un grado che si prepara con fichi secchi, zucchero, limone e altra frutta a scelta e lieviti generosi che nei tanti paesi in cui si sono diffusi non fanno oggetto di scambio commerciale ma solo di baratto, passaggio amicale e via dicendo. Anche Alina non vende niente, fa assaggiare il kefir e poi a chi ha un vasetto con coperchio regala un po' di lieviti («magari in cambio di una ninna nanna italiana»: le piacerà quella di Trilussa contro la guerra?).
    Se il kefir è considerato elisir di lunga vita, di quanto migliorerebbe il livello nutrizionale degli europei come del resto del mondo se con pochi minuti al giorno e zero spesa mantenessero un orto sul lavello, ovvero la produzione di germogli da ogni sorta di semi, grani di cereali e legumi, perfino erbe aromatiche? Un'esperta spiega come si fa; bastano barattoli di vetro, un pezzo di velo da sposa, un elastico e pochissima acqua, a parte la materia prima. Si mangiano poi crudi o al vapore, perfino se ne fanno gallette cotte al sole. Facile! Rapidissimo.
    Molto meno facile e per niente rapido - un intero giorno e non basta - il seminario di tinture vegetali su cotone e canapa, a partire dalla raccolta di erbe selvatiche la cui bollitura dà i tannini coloranti, fissati poi con mordenti fatti con ferro arrugginito, aceto e allume. Peccato che l'insegnante, che a Bruxelles vende abiti e borse colorati da lei stessa, non riesca a farne un reddito; deve lavorare part-time da segretaria.
    A proposito: ma dà lavoro l'alternativa? O è solo bricolage per chi poi fa un lavoro qualunque nel sistema? Non si cambia il sistema capitalistico e fossile con un po' di autoproduzione dilettante, anche se questa ne permette parziali fuoriuscite. Ma ecco una proposta forte, locale e globale al tempo stesso: Tony Andersen, dell'Accademia danese di permacultura, parla di una campagna per la giustizia e sopravvivenza climatica che prevederebbe fra l'altro un'immensa riforestazione mondiale con alberi autoctoni, resistenti alla siccità e possibilmentre fruttiferi (il "bosco fruttifero" è pratica corrente in permacultura, come la gestione creativa dell'acqua e del suoli. Ebbene, la piantumazione e la cura degli alberi sarebbe affidata a persone pagate con un tassa internazionale. «Sarebbe il principale lavoro del futuro in molte regioni del mondo».
    Tuttora in permacultura, ovvero nell'organizzazione durevole di ecosistemi produttivi, lavorano agricoltori, architetti e insegnanti della materia. Il Festival è anche un momento di formazione per interscambio di esperienze ed esperimenti, in seminari o sul campo, nella fattispecie l'orto sinergico di 3.000 metri quadrati che da Nethen rifornisce diversi gruppi d'acquisto.
    Un punto debole dei raduni internazionali anche più riusciti (come questo, e ce ne sono pochi) è il "trasporto da e verso". A Nethen in molti sono arrivati con il treno, un certo numero fieramente in bici dalle regioni vicine, ma altri in auto (troppi secondo François Schneider, ricercatore e praticante del movimento francese della decrescita) e alcuni perfino dall'Italia in aereo, un mezzo decisamente non permaculturale. Eppure esistono da tempo i pullman internazionali, un modo di viaggiare, almeno intercontinentale, a basse emissioni (la parte francese del consorzio Eurolines reca sul proprio sito il contatore di emissioni), non costoso (anche se più costoso dei low cost aerei i cui costi non rispecchiano le distruzioni), e interessante per gli incontri che si fanno e lo studio che si può fare dei paesaggi attraversati. Ad esempio, viaggiando da Roma a Bruxelles e ritorno con Eurolines (25 ore) si vede bene che l'Italia è il paese più cementificato d'Europa... Benvenuti nel passato recente.

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