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    Il cinismo delle industrie farmaceutiche

    Vendono pastiglie per combattere dolori da divorzio o l’ansia da capo ufficio dispotico. Malattie immaginarie da non curare pagando. Anche i medici hanno grande responsabilità: troppe volte si lasciano corrompere dalle regalie delle multinazionali che impongono medicinali inutili a persone sane, battage pubblicitari in concorrenza con la Coca Cola nel business più redditizio nel mondo
    9 ottobre 2010 - Eleonora Boscolo

    Le prescrizioni mediche sono fondamentali, quando permettono l’assunzione del farmaco giusto al momento giusto. “Dacci oggi le nostre medicine quotidiane” di Melody Petersen, saggio in uscita a settembre per la casa editrice Nuovi Mondi, rivela che negli ultimi 25 anni le multinazionali del farmaco (le “Big Pharma”), potenti forze economiche che gestiscono il business più redditizio del mondo, hanno fatto in modo che questo semplice ed efficace principio non venga sempre applicato come dovrebbe.

    Il meccanismo alla base di questa oliata “macchina per soldi” è facilmente spiegabile: più denaro l’industria farmaceutica spende nella propaganda di un farmaco – persino di un farmaco che non funziona come promesso – più si guadagnano miliardi di dollari. Attraverso la spasmodica ricerca di nuovi clienti-pazienti si realizza il business di produrre farmaci per persone sane e la conseguente ridefinizione delle patologie che permette così di abbassare le soglie per la prescrizione delle cure. Dacci oggi le nostre medicine quotidiane ci racconta inoltre di ricerche e sperimentazioni truccate, farmaci che cambiano nome e curano patologie diverse pur mantenendo inalterata la loro composizione, svelandoci che le “cure” mediche non hanno sempre come primo obiettivo la nostra salute.

    Le conclusioni della Petersen fanno paura. Ma in che mondi viviamo?

    “Le case farmaceutiche si sono trasformate in imperi commerciali capaci di vendere antidepressivi come il Paxil, anti-dolorifici come il Celebrex e farmaci anticolesterolo come il Lipitor con gli stessi metodi utilizzati da Coca Cola per vendere la Sprite o da Procter & Gamble per vendere il Dash. Vendere farmaci, invece di scoprirli, è diventata l’ossessione dell’industria farmaceutica. I venditori di medicinali hanno trasformato quelli che un tempo erano considerali eventi normali nella vita di una persona, come la menopausa, o naturali reazioni emotive, come il dolore provato a causa di un divorzio o l’ansia causata da un capo dispotico, in malattie che necessitano di trattamento medico. Dopotutto, quando i pazienti sono clienti e le medicine prodotti, l’industria prospera sulle spalle delle persone malate o convinte di esserlo.

    Nel mondo guidato dalla logica del profitto che è oggi la medicina, in poche occasioni ho sentito un dirigente parlare di cure. Le case farmaceutiche sembrano essere poco interessate a indagare le cause del cancro, dei disturbi cardiaci o del diabete, preferendo invece ronzare attorno a quelli che loro stesse definiscono “disturbi cronici” come le api attorno a un fiore. I medicinali non sono destinati a curare le malattie, ma a consentire ai pazienti di “gestirle” con una pillola al giorno per il resto delle loro vite.

    Le case farmaceutiche pagano centinaia di milioni di dollari di multe per la promozione illegale dei loro prodotti e altre centinaia di milioni di dollari di risarcimento alle famiglie delle vittime, siano esse morte o fisicamente debilitate, per poi alzare i prezzi dei farmaci e attuare campagne promozionali ancora più martellanti.

    Il tutto questo, i medici hanno una grande responsabilità, essendosi lasciati corrompere dalle regalie dell’industria farmaceutica a discapito della loro professionalità e della salute dei loro pazienti. Si potrebbe fare molto per prevenire l’insorgere delle malattie, ma mantenere in salute la popolazione non è una priorità per un sistema medico interessato solo al profitto come quello americano, che prospera sulla sofferenza delle persone.

    Le casseforti stracolme di denaro delle case produttrici di medicinali si sono rivelate un cappio al collo per la scienza medica. La maggioranza dei ricercatori di talento presto o tardi si è vista assoldare in qualità di consulente. Con la crescente influenza delle case farmaceutiche all’interno delle università, le priorità di ricerca hanno conosciuto un brusco cambio di direzione a discapito del pubblico interesse”.

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