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    24 giugno 2007 - Michela di Ciocco
    Fonte: Bollettino di Primavera Rees Marche anno 2007

     

    Risvegliarsi Sognando

     

    10 Dicembre 2006
    Intervento di Roberto Mancini, filosofo,
    durante il primo incontro della Scuola delle alternative della REES Marche
    Il titolo non è originario del relatore, ma è stato preso da una delle frasi del testo.

    Sintesi a cura di Michela Di Ciocco

    Il testo che segue è frammentario, quasi come fosse un insieme di aforismi, anche se con un filo conduttore. L’intervento di Roberto Mancini è stato intenso e ricco. L’impossibilità dell’appuntare tutto – dovuta alla mancanza dei potenti mezzi tecnologici – non ne riduce però l’importanza e profondità del tema trattato. Nonostante le lacune, il messaggio appare chiaro.

     

     

    Globalizzazione:

    mutazione genetica delle istituzioni (scuola, carcere, ecc.). Ad esempio, riforma Moratti: scuola – azienda europea.

     

     

    “Globalizzazione” non è un termine qualsiasi: non è neutro, ma è portatore di meccanismi ingiusti.
    Non si può credere che basti sostituire ciò che non funziona e rendere questo processo uno strumento per il conseguimento di obiettivi giusti: la globalizzazione è di per sé, nel suo intimo essere e funzionare, irriformabile. Più che un termine, la globalizzazione è una grammatica. E le sue regole ne fanno una metastasi: una parte mangia il tutto, rendendolo uguale a sé. E’ una visione del mondo che nasce da schemi automatici ed impliciti, inscindibili dal suo stesso funzionare; un processo di omologazione di fronte al quale le diverse culture sono ridotte al folklorismo.
    Eppure, non si tratta di uno stato di fatto, di un meccanismo naturale – come invece viene propagandato; ad esempio, a livello economico, il protezionismo negli scambi commerciali è la prova di come la libertà e la globalità dei rapporti non siano poi così spontanee.
    Oggi assistiamo all’emersione delle radici spirituali nel modo umano di stare al mondo, di bisogni che vanno oltre il materiale; siamo già nella post-globalizzazione?
    L’anelito è quello, ma attenzione, perché ci può sempre essere una risposta capitalistica.

    Il sistema in cui viviamo è un sistema acefalo: non percepisce il valore dell’umano. Ossia, non vede al proprio centro l’uomo, ma meccanismi, dinamiche che rimandano ad elementi inanimati, come il profitto. Inoltre, il gioco che questo sistema rappresenta è truccato: si inneggia alla crescita, eppure l’occupazione non fa e non può far altro che ridursi. Da riferimento ultimo, l’uomo è stato trasformato in risorsa; oggi, si sta trasformandosi in esubero.

     

    Economia della liberazione:

    risponde ad un’ansia, un’angoscia (appunto, ai nuovi bisogni spirituali).
    Economia della Liberazione

     

    Antropologia come emersione dell’identità umana.
    Risveglio: antropologia alternativa.

    Il fondamento della teoria economica è la teoria del valore. Il valore ti chiede energie, cura; il valore chiede di essere ricreato. La teoria del valore mette in luce come questo dia l’orientamento fondamentale ad una società, un’epoca.
    • uomo medioevale: non sporge dalla natura, poiché vi è completamente immerso. In questo contesto, il valore è dono: di Dio, della natura.
    • Uomo moderno: la natura è divenuta materia. In questo contesto il valore è il lavoro umano e si concretizza nella proprietà privata. Nasce il primato dell’economia e del profitto.

    All’interno del linguaggio economico, si trovano due forme di valore:
    • valore d’uso
    • valore di scambio
    Nei secoli precedenti la modernità, il valore d’uso rappresenta l’unità di misura fondamentale. A partire dalla modernità, invece, si ha l’affermazione del valore di scambio. La presenza dell’uno o dell’altro influenza e coinvolge non solo l’assetto dell’economia, ma l’intera società; infatti, la centralità del valore di scambio porta il profitto a principio primo. Da mezzo di comunicazione quale era, lo scambio diviene mera funzione del profitto.

    Da ciò appare come sia fondamentale cambiare lo sguardo sui valori.
    Liberare la realtà dai concetti in cui è stata ingabbiata. Giustizia, pace: nel momento in cui vengono trasformati in concetti, vengono sviliti. I valori non sono concetti, ma valori incarnati; chiuderli nei concetti ne cancella la forza e la realtà, li rende strumentali, quando essi costituiscono valori in loro stessi.
    E’ necessario ripensare l’economia e per farlo, bisogna iniziare dal ripensare le premesse, cioè proprio la categoria del valore.
    Panikkar afferma come il mito rappresenti un insieme di premesse non consce, non razionali (ossia, le premesse). La globalizzazione è un mito. L’assoluta fede che il meccanismo automatico del mercato risolva tutti i problemi, ne è una prova. Ormai non crediamo più in noi come fautori della nostra vita e della nostra salvezza, ma nel meccanismo del mercato.

    Il corso della vita va verso una profezia (rivelazione del/nel tempo): l’essenzialità. Ad esempio, la vecchiaia è ridursi all’essenziale, mentre il meccanismo del mercato è incentrato sull’accumulazione. La proprietà privata è collegata all’angoscia: angoscia legata all’alterità, alla presenza dell’altro che non può mai rappresentare una certezza. Questa è l’angoscia radicale dell’uomo occidentale.
    La razionalità, tipico elemento dell’occidente, è collegata al bisogno di controllo e di ordine: l’eliminazione del caos e dell’incertezza, soprattutto quella legata alla presenza dell’altro. Ad esso si sostituisce la proprietà, poiché il possesso da più sicurezza, stabilità ed ordine. La proprietà privata rappresenta lo spazio in cui non devo temere nessuno: un nido tranquillo dove le possibili fonti di dolore vengono eliminate.
    La proprietà sostituisce la relazione, al fine di rimuovere la sicurezza, l’angoscia, il dolore. Proprio questa fondamentale funzione la rende sacra ed intoccabile.
    L’uomo ha la particolarità di essere mortale ed autocoscienze; ciò lo porta alla coscienza della morte. A sua volta - come un virus nel computer – questa consapevolezza crea angoscia.
    L’obiettivo primario diviene quello di rimandare l’appuntamento fatidico, proiettando fuori da sé, sull’altro, l’elemento che non si riesce ad affrontare. Da qui, nasce il meccanismo di produzione delle vittime.
    Al cuore della razionalità c’è un’economia dell’angoscia. Essa rappresenta uno dei meccanismi messi in atto dall’uomo al fine di non affrontare il problema della morte; egli lo esorcizza creando appunto delle logiche mortifere che proiettano fuori l’angoscia, al fine di evitare di affrontarla dentro di sé. In questo quadro, l’economia rappresenta una guerra a bassa intensità.

     

    Il dominio è una struttura mentale.

     

    Bisogna riconoscere la natura religiosa del nostro modello economico.
    Il sacrificio è una distruzione ritenuta creativa (scambio economico con la divinità). Il cristianesimo innova la cultura umana, non volendo il sacrificio. Eppure l’uomo lo sovrappone al dono.
    Dono diverso da sacrificio: nel primo non c’è perdita e non c’è distruzione.
    L’economia fonda e giustifica la morte e la vita col meccanismo del sacrificio.
    Modernità: religione = economia

    L’essere umano stenta a riconoscere i valori viventi e si appoggia a quelli artefatti, immaginari.
    Ad esempio, il valore della scarsità – alla base dell’economia - è un prodotto umano e non un elemento naturale. Vi è una produzione dolosa che crea e giustifica i meccanismi della concorrenza e dell’esclusione.

    Se assumo la relazione come fondamento, il conflitto è inevitabile, ma ci vivo dentro e lo so gestire.
    Le alternative che vogliono superare lo stato di cose sino ad ora descritto, devono essere alternative in maniera non superficiale.
    Nell’esperienza del voler bene, al centro, vi è l’altro e non la morte. Il bene cresce attraverso la sua condivisione. Molte coppie, per esempio, esplodono perché troppo chiuse nel loro mondo esclusivo. C’è una profonda creatività transitiva nel bene, che permette di relativizzare l’angoscia di morte: non si è più concentrati solo sulla propria esistenza, ma - attraverso la relazione – ci si proietta nell’altro e si vive col suo vivere (nelle persone amate, nelle generazioni successive, ecc.). Al posto della lotta con la morte, c’è la cura dell’altro: ecco che compare la fioritura umana.
    Si tratta di pensare diversamente l’intero stare al mondo. Ad esempio, dare vita ad un’economia non più basata sul profitto, ma sul dono. Il dono non è il regalo, il dono è condivisione.
    La relazione di condivisione inizia con l’imparare a ricevere. La soglia di coscienza del dono è la gratitudine, che prende il posto dell’angoscia come sottofondo alla vita stessa. Ciò che noi stessi siamo è stato ricevuto e poi rielaborato: la vita si esprime attraverso il dono.
    In questo diverso stare al mondo, in questa diversa modalità di economia, non c’è più la proprietà privata; al suo posto c’è l’affidamento responsabile. Ad esempio, la dignità non è una caratteristica o una dote che si possiede, è una responsabilità; la responsabilità di rispettare e coltivare ciò che siamo.

    avere ricevere

     

    Gandhi: trustship

    Ciò che ognuno ha non è in proprio possesso, ma in affidamento; inoltre, ciascuno di noi è in affidamento all’altro. L’essere è relazione, il reale è una rete di connessione.
    Bisogna sostituire i valori: la dignità al posto della flessibilità, l’ospitalità al posto dell’esclusione. Il termine “ospite”indica sia chi viene accolto che chi accoglie: mette bene in evidenza come la relazione unisca e coinvolga tutti i soggetti che vi partecipano, allo stesso modo il bene si moltiplica attraverso la sua condivisione. Bisogna cambiare le cose a partire dalla base. Ciò significa la trasformazione del soggetto dell’economia: dall’homo homini lupus, atomo bellicoso, all’uomo come nucleo relazionale. Allo stesso modo, l’economia è un’economia di relazione. Qui, il lavoro si trasforma da giogo a strada verso la fioritura. L’umanizzazione dell’economia consiste proprio nel porre i soggetti, i valori incarnati, l’uomo, al posto del meccanismo acefalo che guida oggi la nostra realtà. Non si tratta di rivalutare le singole strategie, ma di ridisegnare l’orizzonte sullo sfondo del quale ognuna di esse si staglia: l’orizzonte è la base sulla quale si stabiliscono misure, priorità, rapporti. Esso è la chiave della partecipazione dell’essere umano, del suo coinvolgimento. Ed è per questo che un vero cambiamento non può non partire da qui; inoltre, solo un orizzonte attraente, riesce ad avvincere l’uomo, a scatenare il suo pathos e quindi la sua azione.

     

    Quindi, non globalizzazione, ma interdipendenza economica. Non monocultura, ma intercultura. Ciò proprio perché l’economia è cultura: inscindibile dagli stili di vita, dagli ‘usi e costumi’ e dalle credenze di una società. I modi del legame sociale sono un altro elemento fondamentale da modificare: al posto del divario individuo/massa - al fine di avviare la trasformazione - bisogna creare reti di esistenza comunitaria. Il discorso della trasformazione ha più livelli e diversi registri: dal mondo interiore individuale, alla realtà sociale, dall’economia al modo con cui ognuno si relaziona con l’altro. La trasformazione si può rendere con un ossimoro: risvegliarsi sognando. La veglia è simbolo della razionalità con cui il mondo delle pratiche alternative gioca la sua quotidiana partita; è realtà della società di mercato. L’invito è quello di accompagnarla con la forza del sogno, della passione, del pathos: sono queste le forze che fanno svegliare l’uomo, che lo muovono e lo rendono capace di grandi cose. Perciò, svegliarsi da questo sonno insalubre costituisce un atto unico col sognare un altro mondo. E’ già costruirlo, a partire dall’assunzione della responsabilità delle proprie scelte, del proprio stile di vita e della trasformazione di essi.
    Si tratta di piccoli passi progressivi:
    • Cambiare lo sguardo interiore
    Dall’io superficiale, all’io profondo. Dall’ego alla connessione con l’altro. “L’anima cambia la storia”, afferma Gandhi.
    • Essere relazione
    La natura umana si definisce attraverso la relazione con l’enigma della vita. La relazione è modalità fondamentale dell’uomo.
    Relazione = prossimità e distanza ne consegue non certezza, rischio.
    Per riuscire a comprendere la complessità della relazione, come essa sia due opposti contemporaneamente, si può fare l’esempio del parto. Il parto è nel medesimo tempo espulsione dall’unità con la madre ed accoglienza nelle braccia che l’hanno voluto, in un’atmosfera amichevole, nel mondo.
    Ed è proprio alla luce della relazione, che si deve leggere l’angoscia. E’ la sfiducia nell’altro, la paura di quella distanza che è tutt’uno con la prossimità. L’occidente ha scelto la via della proprietà proprio per esorcizzare l’angoscia proveniente da questa incertezza che è costitutiva della relazione, dunque, dell’uomo stesso. Ad esempio, nella nostra lingua non sono presenti termini per indicare le relazioni tra soggetti, al di fuori della famiglia (genero, cugino, fratello, ecc.): ciò è indicativo della sfiducia - soprattutto dello scudo protettivo costruito contro di essa – della nostra cultura verso la relazione con l’altro.
    La morte è il simbolo massimo dell’angoscia dell’uomo: vista come fine e distruzione. Come massima forma di quel nulla avvertito nella relazione e che ne fa un rischio. La morte vista tappa della vita, come un mistero che ci invita ad una conoscenza partecipativa, è la tappa finale di un lavoro profondo su se stessi, sui valori e modi della propria vita; a partire dall’angoscia nascosta dietro le nostre abitudini.

    La fecondità nasce dalla profondità del soggetto
    •nonviolenza: è la scelta dell’incarnazione.
    Non uccidere e non lasciar uccidere.
    La fioritura umana, quello sbocciare e realizzarsi di tutte le caratteristiche, le capacità, i tratti portati come promesse in lui, non può avvenire senza la condivisione del bene. Dunque, bisogna rischiare le proprie difese, entrare in comunione con gli ultimi. Avere il coraggio di condividere con gli scartati, non per sacrificio ma per autenticità.
    • Forze di guarigione: Compassione, misericordia, cura. Esse prevengono e rispondono al male. Intelligenza della speranza: sperare nel nome e per l’altro. Ecco la natura relazionale dell’uomo! Non concetti, ma facce e pance: valori incarnati. Dal singolo all’umanità: passaggio.

     

    Esistenza comunitaria:

    basate sulle persone e non sul luogo. Comunità = evento: riconoscimento dell’altro e della relazione con esso. Delicatezza della vita, scelta della sua forma…

     

    Noi pensiamo in base alle nostre radici: radici psicologiche, radici antropologiche, ecc. Da qui bisogna partire a modellare la vita, noi stessi: non puoi dare frutti diversi dalle tue radici!

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