Prospettive per una globalizzazione sostenibile
I fondamenti dell’attuale modello di sviluppo
(L'autrice collabora con Fair [1] nella Campagna Abiti Puliti - Clean Clothes Campaign [2])
Siamo stati tutti cresciuti nel mito della crescita e dello sviluppo; sin da piccoli ci
hanno educati all’idea che per stare meglio bisognava crescere, espandersi, creare
più opportunità di reddito e quindi di lavoro. L’idea di fondo si basava su un mondo
fatto come una torta, che era possibile ingrandire all’infinito e suddividere in
maniera più o meno equa per dare di che nutrirsi a tutti. Certo vi era chi si batteva
perchè le fette fossero uguali per tutti, altri che invece sostenevano che era
sufficiente aumentare la dimensione della torta e lasciar fare ai membri del
banchetto; sicuramente tutti avrebbero beneficiato ma in misura diversa, perché i
più bravi meritavano di più. In questa visione espansiva, c’è stata possibilità di
aumentare il benessere di molti e anche di garantire occupazione e stato sociale.
Almeno per tutti coloro che stavano dalla parte giusta del mondo. Per i più poveri,
per i paesi del sud del mondo quel banchetto non è stato mai accessibile.
L’economia e il mercato sono diventati il centro propulsivo dell’agire umano in
virtù del quale ogni cosa ha valore in quanto merce. La ricchezza pertanto è un
concetto puramente materiale, che include la mera capacità di produrre beni e
servizi finalizzati allo scambio monetario. Il PIL, l’unica misura culturalmente
accettata della ricchezza così intesa, si presenta come un termometro quantitativo,
inadeguato a leggere la febbre qualitativa del nostro sviluppo; sviluppo che sta
producendo effetti drammatici e pericolosi per il futuro stesso del nostro pianeta.
Il fallimento strutturale del modello socio-economico dominante.
Oggi assistiamo ad un rapido sgretolamento delle certezze che hanno caratterizzato
la società occidentale degli ultimi tre secoli; la globalizzazione ha fatto il prepotente
ingresso nelle case di tutti, la crescita è ferma o molto limitata in tutti i paesi
industrializzati maturi mentre i paesi emergenti crescono a ritmi vorticosi che stanno
mettendo in crisi gli equilibri planetari. Grazie all’evidenza dei fatti, al coraggioso
lavoro di parti di comunità scientifica indipendente, di società civile organizzata e
movimenti sociali e ambientalisti di tutto il mondo, la prima certezza che è venuta
meno è che il pianeta è infinito, le risorse sono limitate e la velocità con cui l’uomo
le sta utilizzando ha superato ampiamente la capacità delle stesse di riformarsi. La
società capitalistica e di mercato sta intaccando in maniera irreversibile il capitale
naturale e, se tutti consumassero come l’Italia, avremmo bisogno di 2,3 pianeti[3] per
soddisfare i consumi della comunità mondiale. Il tema del limite è posto
drammaticamente in evidenza dai cambiamenti climatici dovuti alla produzione di
gas serra da parte dell’uomo. Oggi abbiamo già osservato un aumento della
temperatura globale di 0,6°, la riduzione del 10% della superficie coperta da nevi
(in relazione agli anni 60) e la progressiva scomparsa di intere superfici ghiacciate.
Le previsioni entro il 2100 sono ancora più preoccupanti[4]. Se le risorse non bastano
per tutti a questo ritmo di consumo, rimangono solo due opzioni: mantenere ed
anzi aumentare il numero degli esclusi e dei poveri nel mondo oppure pensare ad
una diversa redistribuzione delle risorse e ad una riduzioni dei consumi. La povertà
e la miseria endemiche che si sono accumulate a livello planetario sono il prezzo
sociale che il pianeta ha pagato per garantire al 14,25% della popolazione globale
di consumare il 78,5% delle risorse, lasciando all’85,75 della popolazione solo
21,5% dei consumi residui[5]. E la forbice aumenta. Squilibri sociali e ambientali di
portata planetaria che stanno mettendo a repentaglio il futuro delle giovani
generazioni, sono il frutto amaro di un modello economico strutturalmente
patologico che ha dimenticato almeno tre dimensioni vitali per la sopravvivenza del
genere umano: la prospettiva ecologica, la prospettiva etica e quella antropologica.
Effetti del modello sulla società
Tale modello economicista ha prodotto un progressivo appiattimento della società
sull’economia, nei fatti siamo passati da una società complessa ad una società di
mercato. La coincidenza delle dimensione mercantile ed economica con quella
della società ampiamente intesa, ha prodotto una progressiva e definitiva
separazione tra la dimensione economica e l’etica; lo sganciamento dell’agire
economico dai valori di riferimento di una società, dalla sua capacità di produrre
sistemi di regole e di governo finalizzati alla convivenza civile e al bene generale, ha
consolidato una separazione pericolosa che rende lecito e auspicabile tutto ciò che
risponde alle pure logiche di profitto che orientano i grandi interessi economici;
negli ultimi decenni, la vittoria del dogma liberista ha prodotto un ulteriore salto nel
livello di instabilità internazionale, dando alla finanza la possibilità di sganciarsi
dall’economia reale che ha consentito di produrre denaro attraverso denaro senza
l’intermediazione della merce. Oggi l’economia finanziaria si regge su movimenti
speculativi crescenti che, invece di investire il denaro in attività produttive legate
alla produzione di beni e servizi reali, creano un eccedenza di capitali finalizzati alla
pura speculazione di breve periodo che genera movimenti internazionali di capitali
30 volte superiore agli scambi reali. La necessità di mantenere l’attuale modello di
consumo si accompagna a forme di neo-colonialismo di tipo economico e finanziario
che hanno dato vita ad una precisa architettura internazionale, quella che guida la
comunità mondiale senza essere mai stata eletta: la triade composta dal Fondo
Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la WTO.
Gli effetti del modello economico oggi prevalente sul piano politico e culturale
possono essere meglio compresi attraverso l’analisi evolutiva di alcune dimensioni o
settori chiave che riguardano l’intera comunità vivente; la mercificazione di tutte le
forme di vita sta avvenendo oggi rapidamente attraverso l’utilizzo di meccanismi e
accordi internazionali che trattano i beni comuni e diritti fondamentali delle persone
come puri prodotti di scambio; non è un caso quindi che oggi l’acqua e il lavoro,
per utilizzare due dimensioni fondamentali, siano al centro di un conflitto mondiale
senza precedenti tra chi intende procedere per una definitiva liberalizzazione e
privatizzazione dei beni e chi ritiene che occorra porre un freno al mercato e
sottrarre tali aspetti alle sue leggi. Un’attenta analisi delle politiche economiche
internazionali, guidate dalla triade inseparabile del FMI, della BM e della WTO,
ci offre uno sguardo sulla contemporaneità che ci permette di evidenziare l’avanzato
stato di mercificazione della società; una società che fonda il suo patto
eminentemente sullo scambio monetario e materiale, rinunciando ad investire
in capitale sociale ed ecologico. Una società che si basa oggi sul flusso costante di
merci, informazioni e capitali e che spinge gli individui a forme di nomadismo
forzato; le due facce di tale evoluzione pericolosa sono le crescenti masse di popoli
migranti che inseguono il miraggio di un lavoro sottopagato e alienante e il
crescente numero di individui smaterializzati, a causa dello sgretolamento delle
relazioni sociali reali, orientati a vite sociali sempre più condotte in rete. Un “sud” di
miserabili disposto a tutto per una tazza di riso, un “nord” di consumisti compulsivi
incapaci di stringere relazioni affettive adulte e appiattiti su vite da reality. Stiamo
assistendo ad una definitiva vetrinizzazione della società, ove gli individui
atomizzati, sedotti dal consumo, provano piacere nella corsa incessante verso una
soddisfazione che non trova mai appagamento[6]: il piacere dello shopping è molto
più forte del possesso della merce una volta acquistata.
La visione economicista e meccanicista classica che ancora oggi guida la nostra
società, non ha tenuto conto dell’esperienza del limite e della finitezza delle risorse.
Ma non ha tenuto conto neanche della rivoluzione scientifica e culturale apportata
dalla termodinamica e dalla teoria dei sistemi[7]. I fenomeni biologici, economici
e sociali infatti, sono espressione di sistemi complessi, basati su meccanismi di
relazione non lineare. Abbiamo bisogno di fare un salto epistemologico per
comprendere chi siamo e come funziona l’ecosistema in cui siamo inseriti. E
abbiamo bisogno di cambiare sguardo, di adottare un nuovo paradigma,
innanzitutto culturale.
Premesse per una nuova società.
Cambiare sguardo significa mettere in discussione i fondamenti del proprio
pensiero, partendo dall’assunto antropologico dell’alterità. Non siamo soli e unici noi
occidentali; esistono molti altri modi di vivere e concepire il mondo. Esistono altre
società e culture che sperimentano un altro modo di fare economia, di credere, di
costruire rapporti parentali, di celebrare riti. L’alterità ci riporta al concetto di
biodiversità, di complessità, di differenza, l’esatto contrario del prodotto del
nostro sistema economico capitalista: la serialità, l’omogeinizzazione e
l’omologazione.
Cambiare sguardo significa oggi scegliere un modello di sviluppo che rimette in
equilibrio i rapporti tra le sfere della vita, sottraendo centralità all’economia e
reinserendola nella società, ripristinando una precisa gerarchia dei valori[8].
Ricostruire comunità e relazioni sociali autentiche finalizzate alla difesa e alla
promozione dei beni comuni, offre la possibilità di immaginare un nuovo patto
sociale tra le generazioni attuali e future. Il ribaltamento della logica economicista e
fallimentare che sta esaurendo il pianeta, chiede a ciascuno la responsabilità di
partire da sé e dal proprio ruolo sociale per imprimere un cambiamento non più
rimandabile.
Note:
[1] Fair è una cooperativa sociale impegnata nella promozione delle economia solidali http://www.faircoop.it
[2]La Clean Clothes Campaign è una campagna internazionale composta da più di 300 organizzazioni della società civile e
del sindacato impegnata nella promozione dei diritti umani nelle filiere globalizzate del settore tessile. Vedi sito italiano:http://www.abitipuliti.orge internazionale:http://www.cleanclothes.org
[3]Dati del Global Footprint Network 2007
[4]Dati dell’IPCC – International Panel on Climate Change
[5]World Bank -2003 in Nord Sud - EMI
[6]Codeluppi, Baumann
[7]Bateson, Geogescu-Roegen
[8]Polanyi
Allegati
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