Il costo energetico della guerra in Iraq
tratto da una mail di Amalia Navoni
Nei primi due anni la guerra all’Iraq è costata circa 200 miliardi di dollari. Stando ai dati dell’OPEC, sono stati pompati dai pozzi iracheni circa 650 milioni di barili di petrolio all’anno, con un ricavo di circa 30 miliardi di dollari. Dal punto di vista energetico, questo petrolio potrebbe fornire qualcosa come 400 terawatt-ora di energia elettrica, immettendo 300 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.
Ma l’energia bruciata dalla guerra stessa, diretta ed indiretta, è enormemente superiore al contenuto energetico, anche termico, del greggio e, grosso modo, corrisponde ad emissioni di CO2 di 2 miliardi di tonnellate.
Siamo di fronte ad un autentico cataclisma ambientale per mantenere in vita il sistema delle fonti fossili.
Comunque, si favoleggia che i meno realisti siano quelli che vogliono il cambiamento e l’abbandono di un modello di sviluppo scellerato. Proviamo a fare qualche conto.
E’ un discorso teorico, ma se i 200 miliardi di dollari buttati nella guerra fossero stati utilizzati per comperare dei pannelli fotovoltaici, si sarebbero potuti installare 40 gigawatt di energia solare, capaci di produrre 1000 terawatt-ora di energia elettrica, 2,5 volte l’energia proveniente dal petrolio iracheno.
La cosa più sconvolgente è che per via dell’economia di scala, una tale quantità di pannelli sarebbe sufficiente a ridurre il prezzo del kilowatt-ora fotovoltaico da 20 a 8 cents, rendendolo competitivo col petrolio nella generazione di potenza su larga scala.
Addirittura, se questi 200 miliardi di dollari fossero stati utilizzati per installare fattorie eoliche offshore, si sarebbero potuti produrre circa 5000 terawatt-ora di energia elettrica, come dire il 5% del fabbisogno energetico italiano primario corrente, per 50 anni.
Le emissioni di CO2 verrebbero ridotte così di circa 3700 milioni di tonnellate, una quantità sufficiente a mantenere l’intera Unione Europea entro i limiti di Kyoto per i prossimi 10 anni.