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    1 settembre 2006 - Michele Altomeni
    Fonte: Bollettino Res Marche N°2 Anno1

    Le scelte energetiche

    parte prima

    Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore del Protocollo di Kyoto. I mezzi di informazione hanno molto parlato di risparmio energetico e i politici hanno fatto grandi proclami. Sono passati pochi giorni e l’argomento è uscito di scena, senza lasciare traccia. Eppure si tratta di uno dei principali problemi che la nostra civiltà si trova ad affrontare.
    Le problematiche energetiche e di inquinamento rientrano fra i temi di interesse dell’Economia solidale. Questa prima parte servirà ad inquadrare meglio il tema, per poi arrivare a proporre alcune possibili soluzioni.
    Fino ad appena due secoli fa la società si basava sull'energia solare e i sistemi biologici. Il lavoro dipendeva dalla forza umana e animale, integrata dall'utilizzo rudimentale del fuoco, del vento e dell'acqua. Nel 1700 nascono le macchine a vapore introducendo un profondo cambiamento culturale che trasforma la società da solare e agricola in società tecnologica. L'avvento della corrente elettrica produce un ulteriore salto antropologico, tanto che oggi l'energia tende ad identificarsi prevalentemente con essa, relegando in un secondo piano tutte le altre sue forme.
    Negli ultimi decenni lo sviluppo tecnologico moderno ha cominciato a rivelare il suo volto oscuro, la sua “controproduttività” [1]. Appare sempre più chiaro che non è possibile proseguire sulla strada intrapresa, a meno che non si decida di procedere serenamente verso il collasso del pianeta.

    Consumi

    Il consumo energetico può essere misurato con la quantità di petrolio necessario a produrlo. L'uomo primitivo, che non conosceva il petrolio, consumava una quantità energia equivalente a circa 50Kg di petrolio. Quando iniziò ad usare il fuoco per scaldarsi, cucinare e lavorare i metalli il suo consumo energetico raddoppiò. Con l’avvento dell'agricoltura il consumo raggiunse circa 250Kg di petrolio equivalente. In realtà la fonte principale di energia era quella solare accumulata sotto forma di legna. La situazione restò quasi immutata fino al 1700 quando la rivoluzione industriale fece esplodere i consumi energetici, portando il consumo pro capite annuale a circa 1800kg di petrolio equivalente. La seconda rivoluzione industriale (elettricità, automobile, chimica...) portò i consumi a 2800 Kg in Italia e 8000 negli Stati Uniti. L’uso di energia continua ancora a crescere in conseguenza all’aumento demografico, all’incremento dei consumi nelle società ricche e alla diffusione della tecnologica in nuove aree del pianeta. Rispetto all’equità si tenga presente che un cittadino di un paese industrializzato consuma in media 6 volte l’energia utilizzata da un cittadino del sud del mondo.
    Tra 1990 e 2001 la produzione mondiale annua di energia è cresciuta del 16.4%, con un ritmo annuo di +1,4%. In Italia i consumi sono cresciuti del 15%, mentre la media europea è stata del 12%.
    L’Italia è l’undicesimo Paese per consumi energetici a livello mondiale (2% del totale) e il quarto a livello Europeo (12%).
    Negli ultimi anni si è verificato un evento nuovo nella storia italiana: i consumi energetici estivi hanno superato quelli invernali. Il 17 luglio 2003 il consumo energetico ha raggiunto 53.105 Mw, mentre il precedente record di 52.590 Mw era stato raggiunto il 12 dicembre 2002. Ciò si deve alla massiccia diffusione di impianti di condizionamento che consumano quantità enormi di elettricità.
    Il settore che assorbe più energia è quello dei trasporti, con il 30,3% dei consumi, segue l’industria (29,7%), il residenziale (20,9%), il terziario (9%), e l’agricoltura (2,1). Il restante 8,1% riguarda altri usi.
    Rispetto alle fonti, oltre il 70% dell’elettricità in Italia è prodotto attraverso centrali termoelettriche. Le turbine idroelettriche producono circa il 15%, le fonti rinnovabili circa 1,9%, il resto viene importato dall’estero. Gran parte dell’energia che consumiamo deriva da fonti energetiche non rinnovabili (petrolio, gas, carbone). Dall’utilizzo di queste fonti, che in alcuni casi sono già in via di esaurimento, deriva una grossa quota di inquinamento atmosferico.
    Il settore della produzione energetica in Italia è responsabile del 35% delle emissioni di anidride carbonica (CO2), per la maggior parte provenienti dalle centrali termoelettriche. Si stima l’emissione di 552g di CO2 per ogni Kwh prodotto. Ma sono molte altre le sostanze inquinati emesse dagli impianti di produzione energetica da fonte fossile.
    A questo si aggiunga l’inquinamento legato a estrazione, trasporto, stoccaggio e raffinazione.
    Rispetto ai trasporti va considerato anche il rischio di incidenti che provocano versamenti in mare, provocando vere e proprie catastrofi ecologiche.

    Il petrolio

    In Italia il petrolio ed i suoi derivati coprono il 49% del fabbisogno energetico, mentre la media europea è del 40%. I consumi di petrolio, negli ultimi 10 anni, sono cresciuti del 13,6%, mentre non sono aumentate di pari passo le disponibilità che ammontavano a circa 992,5 miliardi di barili nel 1991 ed erano cresciute ad appena 1.028,4 miliardi nel 2001, cioè con una crescita de 3,6%. Si stima che i giacimenti attualmente conosciuti si esauriranno tra il 2035 e il 2050.
    L'intreccio tra politica e petrolio è ben rappresentato dall'amministrazione degli USA, dove il presidente George W. Bush è l'ultimo discendente di una dinastia petrolifera, Dick Cheney è un ex dirigente della Halliburton, società di servizi petroliferi, e Condoleeza Rice è ex dirigente della Chevron. Ma sono diversi altri i componenti dell'amministrazione Bush ad essersi formati nell'industria petrolifera. A ciò si aggiunga che i principali finanziatori della campagna elettorale di Bush sono statigli industriali texani del petrolio.[2]
    Dal 1950 in avanti, il controllo delle risorse petrolifere ha rappresentato un costante motivo di crisi internazionale. Nei primi 30 anni del XX secolo è partito lo sviluppo dell’industria petrolifera americana verso l’esterno. Tra 1950 e 1970 le “Sette sorelle” (Exxon, Mobil, Chevron, Texaco, Gulf, Royal Dutch/Shell, BritishPetroleum) promossero la penetrazione del petrolio nell’intero sistema energetico mondiale, scalzando il carbone, tanto che la domanda di greggio passò dai 10 milioni di barili al giorno del 1950 ai 46,8 del 1970. In quagli anni si è sviluppata la petrolchimica e la produzione annua di automobili è passata da 8 a 22 milioni. Da allora i consumi mondiali di petrolio hanno continuato a crescere, nel 1991 ammontavano a 66,8 milioni di barili al giorno e nel 2001 a 75,9.
    Negli anni 50 si comprese che le riserve di petrolio erano concentrate i pochi enormi giacimenti, e quindi che, per controllare la risorsa, occorreva controllare il territorio, facendo del settore militare lo strumento principale di questo controllo. Le cinque maggiori potenze petrolifere (Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Iran) sono concentrate nel ristretto territorio del Golfo Persico, le loro riserve ammontano a 658.250 milioni di barili, pari al 63% delle riserve mondiali. Forse non è un caso se questa area da decenni è martoriata da conflitti, se Iran e Iraq vengono classificate dagli Stati Uniti come forze del male mentre gli altri tre stati sono considerati amici proprio in virtù della loro disponibilità a scendere a patti con gli USA sulla gestione del petrolio. Una caratteristica del mercato petrolifero è proprio la distanza tra i luoghi di maggiore produzione e quelli di maggiore consumo. Il trasferimento del greggio avviene principalmente via nave o attraverso oleodotti. Numerosi nuovi oleodotti sono in via di costruzione e progettazione, con particolare attenzione al trasporto da est a ovest. A questo proposito è di grande interesse il cosiddetto “corridoio 8” che dal Mar Nero dovrà raggiungere l’Adriatico passando per la Bulgaria, la Macedonia, il Kosovo e l’Albania. Anche in questo caso le guerre degli ultimi anni ed in particolare gli interventi militari degli USA in questa area hanno un significato molto chiaro.

    Dipendenza energetica

    Oltre il 13% dell’energia elettrica consumata in Italia viene importata dall’estero nonostante la potenza prodotta nel paese sarebbe sufficiente per gran parte dell’anno. Alle importazioni si ricorre soprattutto di notte, quando l’elettricità importata (fino al 25/30% del fabbisogno) costa meno di quella prodotta. Ma anche per la produzione interna è dipendente dal mercato estero dato che si continua a produrre energia tramite il petrolio anzichè sfruttare le risorse rinnovabili di cui è ricca. La produzione nazionale di petrolio greggio nel 2000 è stata il 5% del totale e quella di gas il 23,5%. Nello stesso anno la fattura energetica di gas e petrolio importati dall’estero è stata di 36,2 mila miliardi di lire mentre la fattura energetica completa è stata di 56mila miliardi (il 2,5 del PIL).

    Energia nucleare

    In Italia, grazie ad un referendum popolare, è cessata la produzione di energia in impianti nucleari, ma sempre più spesso i tifosi di questa tecnologia propongono un ritorno indietro rispetto alla decisione presa dai cittadini.
    Nella centrale nucleare si ottiene energia attraverso la “rottura” di nuclei atomici di elementi come uranio o plutonio. Il problema principale di questo metodo è la gestione della radioattività che si genera nel reattore e che contamina sia le scorie che parti dell’impianto che vanno sostituite periodicamente. Scorie e componenti radioattive dismesse devono affrontare lunghi e pericolosi viaggi per raggiungere i pochi impianti di smaltimento esistenti. A questo si aggiunga il rischio degli incidenti dovuti ad errori umani o guasti tecnici che possono provocare catastrofi immani come già avvenuto più volte. La Catastrofe di Cernobyl, assieme alla morte ed al dolore, ha portato con se la consapevolezza dei rischi legati alla produzione di energia nucleare, proprio in una fase storica in cui questa veniva presentata come la soluzione ottimale ai problemi di scarsità energetica del pianeta terra.
    Il 26 aprile 1986, momento dell’incidente, ben 160 reattori nucleari erano in costruzione in tutto il mondo, a dieci anni di distanza il numero è sceso a 34. Gli impianti in costruzione hanno una capacità totale di 27mila megawatt, meno dell’1% della capacità energetica complessiva attualmente sfruttata nel mondo. Nel frattempo sono stati chiusi 84 reattori, molti prima del termine previsto. In pratica la crescita del nucleare è fortunatamente bassissima, mentre il ritmo di crescita dello sfruttamento delle energie rinnovabili, pur essendo ancora piccolissimo, è 20-50 volte tanto.
    Spesso si pensa che, al di là dei pericoli, il nucleare sia una fonte energetica economica. In realtà non è così, basti citare la crisi della società British Energy che in Inghilterra rilevò il comparto nucleare al momento della sua privatizzazione. Crisi dovuta al fatto che i prezzi dell’energia prodotta con altre modalità erano più bassi. In più nei costi del nucleare sono ampiamente sottostimate le esternalità.

    IL PROTOCOLLO DI KYOTO

    Il Protocollo di Kyoto è un documento redatto e approvato nel corso della Convenzione Quadro sui Cambiamenti climatici tenutasi in Giappone nel 1997. Nel Protocollo sono indicati per i paesi aderenti gli impegni di riduzione e di limitazione delle emissioni di gas serra. I paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990 nel periodo di adempimento 2008-2012. In sede di Unione Europea, che nel complesso ha un obiettivo di riduzione dell’8%, l’Italia si dovrà far carico di una riduzione del 6.5%.

    NOTE

    [1]Termine utilizzato dallo storico-filosofo Ivan Illich che nelle sue opere ha profondamente analizzato i guasti della tecnologia e delle istituzioni moderne.

    [2]La guerra del petrolio – Michele Paolini. Libelluli Altreconomia Editrice Berti

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